Guerra o pace nel golfo Persico?


di Marco Pondrelli per Marx21


Le rinnovate tensioni nel golfo Persico sono esplose con l'incendio di due petroliere (una norvegese ed una giapponese) e successivamente con l'abbattimento di un drone statunitense da parte dell'Iran. Gli Usa hanno prontamente accusato Teheran sia della responsabilità dell'attentato sia di avere abbattuto il drone nello spazio aereo internazionale. Questa sequenza di avvenimenti è caduta in un momento particolare, ovverosia mentre il Primo Ministro giapponese, Shinzo Abe, era in Iran. Era la prima volta che un capo del governo nipponico visitava la Repubblica Islamica. L'obiettivo di questa visita era mediare con gli Stati Uniti dopo la loro uscita dall'accordo sul nucleare, sul quale Trump aveva espresso dure critiche già in campagna elettorale.


La politica dell'inquilino della Casa Bianca potrebbe sembrare contraddittoria, nel momento in cui apre al dialogo con la Corea del Nord e accetta di stabilizzare la Siria (chiudendo con la stagione del sostegno più o meno diretto al terrorismo islamico), inasprisce e radicalizza la posizione verso l'Iran.


Come si spiegano scelte apparentemente contraddittorie come queste? La risposta la si può trovare solo allargando lo sguardo a tutta l'area, segnata dalla contrapposizione fra Arabia Saudita e Iran. I due paesi si combattono su più fronti: Yemen (dove una guerra ignorata dall'Occidente sta facendo scempio di vite umane), Libano e Siria. Questo scontro si sovrappone a quello che nel mondo vede contrapporsi gli Stati Uniti da una parte e Cina e Russia dall'altra.


Le guerre di Bush e Obama lungi dal portare i vantaggi sperati agli Usa consegnano una situazione mondiale in cui la Cina continua a crescere, una situazione regionale in cui la Russia è tornata protagonista e l'Iran si è rafforzato. Per quanto riguarda la Repubblica Islamica sia in Iraq che in Libano si sono create condizioni favorevoli, che hanno portato Vali Nasr ha parlare di 'rivincita sciita', una definizione giusta se si coglie il valore politico della stessa e non ci si ferma ad una contrapposizione religiosa.


Gli sciiti in Iraq come in Libano si contraddistinguono per la difesa della Patria con un ruolo oggettivamente anti-imperialistico, emblematico il ruolo che Hezbollah (ma è riduttivo considerare questo solo un movimento sciita) svolse nel 2006 durante l'aggressione israeliana.


Si delinea così un asse regionale legato ad uno scenario mondiale, non è casuale il ruolo che l'Iran svolge nello SCO ed il rapporto positivo che intrattiene con la Cina. In Siria questa alleanza si è rafforzata per difendere uno Stato sovrano e non per costruire un califfato (che era l'obiettivo dello stato islamico).


La vittoria maturata grazie all'intervento russo è stata riconosciuta dal nuovo corso trumpiano che ha abbandonato le scelte di Obama. Il progetto statunitense, benedetto dall'idolo della sinistra nostrana Hillary Clinton, vedeva nell'Arabia Saudita (ed in altre monarchie del golfo a partire dagli Emirati Arabi Uniti) il finanziatore, nella Turchia la base logistica e nell'Isis la manovalanza, uno schema che ricordava da vicino quello che venne utilizzato contro l'Urss in Afghanistan e che ha rappresentato la controffensiva sunnita filo-occidentale.


Trump ha preso atto della sconfitta, allo stesso tempo ha voluto dare un segnale rassicurante sia ai suoi alleati nella regione (Israele e Arabia Saudita), sia alla lobby israeliana che, assieme a Netanyahu, lo aveva sostenuto in campagna elettorale. Ha dato questo segnale colpendo l'Iran, con l'abbandono dell'accordo sul nucleare e con le sanzioni. Questa scelta che apparentemente mette d'accordo l'intero establishment Usa e gli alleati nasconde grandi divisioni.


Sull'Iran si confrontano due posizioni. Bolton, all'interno dell'Amministrazione Trump, è il più duro verso la Repubblica islamica, favorevole ad un regime change. Lo stesso si può dire per i sauditi, che hanno colpito il Qatar con le sanzioni proprio perché, fra le altre cose, considerato troppo accondiscendente verso Teheran. Trump è invece favorevole ad un accordo, vorrebbe fare con l'Iran quello che sta tentando di fare con la Corea del Nord: realizzare un patto più avanzato del precedente (dal punto di vista statunitense), in grado di rassicurare gli alleati, a partire da Israele. Come è stato scritto il un articolo de 'ilpost.it', 'il governo statunitense ha detto più volte di voler riscrivere pesantemente i termini dell’accordo sul nucleare, includendo settori che erano stati esclusi nel testo del 2015 e puntando a una versione molto più favorevole agli Stati Uniti [1]'.


Alla luce di queste divisioni convince poco l'ipotesi che le petroliere siano state colpite dall'Iran, non è l'Iran che ha alzato la tensione. Su di un sito molto bene informato (analisidifesa) si legge 'non è da escludersi che dietro gli attacchi possano esserci gli alleati locali degli Stati Uniti, in primis Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, allo scopo, proprio, di scongiurare ogni possibile accordo fra Teheran e Washington [2]'.


Se volessimo provare a riassumere quello che sta succedendo potremmo dire che il tentativo di mediazione del Primo Ministro giapponese non era un'iniziativa autonoma, esso era stato avallato ed incoraggiato direttamente dalla Casa Bianca. L'incendio delle due petroliere è stata una mossa degli oltranzisti per bloccare il dialogo sul nascere. Gli Stati Uniti, come scrisse Zbigniew Brzezinski ne 'la grande scacchiera', non possono tollerare che emerga in quell'area una potenza egemone e men che meno possono tollerare che questa potenza abbia stretti legami con Cina e Russia. Questa affermazione è condivisa da tutti a Washington ma sulla tattica da seguire le opzioni divergono. Bush e Obama non avendo raccolto i risultati previsti con la guerra erano propensi a raggiungere l'obiettivo creando instabilità, impedendo così a chiunque di stabilizzare ed egemonizzare la regione. Trump è invece convinto della necessità di perseguire gli scopi statunitensi creando stabilità, la quale però deve rafforzare gli Usa e i suoi alleati. Come finirà questa partita è difficile dirlo. Al momento i venti di guerra si sono placati ma le tensioni rimangono come dimostrano gli ultimi accadimenti fra Iran e Gran Bretagna.


NOTE

[1] https://www.ilpost.it/2019/07/15/salvare-accordo-nucleare-europa-iran/
[2] https://www.analisidifesa.it/2019/06/sfida-nel-golfo-e-petroliere-chi-punta-sullescalation-della-crisi/

Le più recenti da L'Analisi

On Fire

Alessandro Orsini - Una risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre

  di Alessandro Orsini*  Risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre. Il dibattito sul genocidio a Gaza, reale o presunto che sia, non può prescindere dalle scienze sociali. Nel suo...

La doppia Waterloo della Francia

   di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico In più di una circostanza ho scritto che oltre agli USA a vivere una situazione estremamente complessa in materia di conti con l'estero (debito/credito...

L'Europa ha perso la guerra in Ucraina (ma potrebbe finire anche peggio)

  di Clara Statello per l'AntiDiplomatico L’Unione Europea è stata sconfitta nella guerra in Ucraina. Lo ha detto domenica sera il premier ungherese Victor Orban parlando al canale...

Cosa significa l’assassinio di Kirillov per il conflitto in Ucraina

di Clara Statello per l'AntiDiplomatico   Esattamente una settimana fa, il premier ungherese Viktor Orban, di ritorno da un incontro con Donald Trump a Mar-a-Lago, annunciava che queste sarebbero...

Copyright L'Antidiplomatico 2015 all rights reserved
L'AntiDiplomatico è una testata registrata in data 08/09/2015 presso il Tribunale civile di Roma al n° 162/2015 del registro di stampa