di Demostenes Floros* - AboutEnergy
Il 26 agosto 2019, Bloomberg ha scritto che “L’associazione delle nazioni produttrici di petrolio ha visto pochi risultati tangibili dai tagli alla produzione iniziati a gennaio. Sebbene i prezzi si siano mossi verso l’alto a 66 $/b ad aprile, da allora il greggio WTI è sceso del 19,5% e alcuni membri dell’OPEC+ hanno paura ad agire. L’Arabia Saudita ha accettato di sobbarcarsi la maggior parte dell’onere dei tagli fino a settembre, ma il rallentamento della domanda globale potrebbe portare all’abbandono dell’intera strategia”.
In virtù di tale contesto, Bloomberg ritiene che i produttori di petrolio abbiano dinnanzi a loro due opzioni al fine di sostenere i prezzi del barile.
In primo luogo, possono aumentare i tagli (a luglio, il tasso di conformità alla riduzione dell’output ha toccato il 159%).
In secondo luogo, nel caso in cui i produttori convenzionali ritenessero che lo shale USA fosse “allo stremo delle forze” – come Oilprice.com ha scritto l’8 agosto 2019, mettendo in luce il forte rallentamento della crescita della produttività del fracking americano – potrebbero ingoiare il rospo ed estrarre più petrolio, vendendolo però a un prezzo minore nel tentativo di rimpinguare comunque le proprie entrate. In realtà, ad agosto 2019, la produzione OPEC è aumentata di 200.000 b/g a 29.990.000 b/g.
Né la prima opzione, né la seconda paiono così semplici da intraprendere da parte dell’OPEC+, in quanto all’interno dell’Organizzazione alcuni estrattori non hanno alcuna intenzione di implementare ulteriori tagli e l’Arabia Saudita non può sobbarcarsi l’intero peso. Per di più, nemmeno il trend della produzione non convenzionale USA è facilmente prevedibile.
Quindi, esiste una soluzione? Se sì, quale?
In primo luogo, è importante evidenziare che i prezzi correnti sono tuttora più alti rispetto a quelli quotati il 1° gennaio 2019 quando i produttori OPEC+ decisero di tagliare il proprio output di 1.200.000 b/g.
In secondo luogo, in base alle statistiche del Global Times, ad agosto 2019, l’Indice Manifatturiero USA ISM è diminuito a 49,1 per la prima volta in tre anni – il livello più basso dal 2016 – rispetto al precedente dato di 51,2 e a quello stimato di 51,4.
Nel contempo, l’Indice cinese dei Servizi Caixin è incrementato al 51,2, rivelando che le politiche di stimolo della domanda e le riduzioni fiscali decise dalle autorità cinesi il 24 dicembre 2018 sono state le risposte appropriate ai dazi americani, in aggiunta alla completa sospensione delle importazioni di petrolio USA, le quali avevano approssimativamente toccata i 500.000 b/g ad agosto 2018.
Il 29 agosto, Tom J. Donohue, direttore esecutivo della Camera di Commercio Usa, ha scritto che “il Presidente Trump – e il Presidente cinese Xi Jinping – dovrebbero ritirare le misure protezionistiche addizionali in procinto di entrare in vigore il 1° settembre e il 15 dicembre e ritornare al tavolo negoziale in buona fede”.
Il 5 settembre, il vice Presidente cinese, Liu He, il Segretario di Stato USA, Steven Mnuchin, e il Rappresentante al Commercio USA, Robert Lighthizer, hanno deciso di mettere in agenda una serie di incontri il prossimo ottobre.
L’impressione, afferma l’economista Pasquale Cicalese, è che gli Stati Uniti d’America stiano perdendo la Guerra commerciale con la Cina e che le politiche di Donald Trump non riescano a fermare il processo di de-industrializzazione in corso negli USA.
Secondo l’ADP National Employment Report pubblicato a settembre, nel settore privato USA sono stati creati 195.000 posti di lavoro da luglio ad agosto. Tuttavia, 184.000 tra questi nuovi lavori sono stati realizzati dal settore dei servizi. Inoltre, il deficit commerciale mensile USA ha raggiunto i 72,3 miliardi di dollari.
Nel breve periodo, la soluzione esiste e può arrivare solamente dalla geopolitica.
Da questo punto di vista, il licenziamento del Consigliere per la Sicurezza Nazionale USA, John Bolton (fortemente anti-iraniano), da parte del Presidente Donald Trump avvenuto il 10 settembre, rivela che la maggioranza dell’attuale Amministrazione a Washington desidera raggiungere un accordo con Pechino, allentando le tensioni, sia con l’Iran (paese fondamentale nel progetto della Via della Seta), sia nel Mar cinese Meridionale.
Nel contempo, non è stato un caso se l’Amministrazione statale cinese dei cambi ha implementato nuove misure finanziarie, specificando che d’ora in poi il tetto degli investimenti nel mercato finanziario cinese da parte degli investitori stranieri sarà illimitato, mentre in precedenza era di 300 milioni di dollari.
Da un punto di vista politico, questi due aspetti potrebbero voler dire finanza in cambio di – un arco di tempo (dalla durata ignota) – di pace!
Il 16 settembre, il Brent è schizzato verso l’alto a 71,15 $/b e il WTI a 64,41 $/b in seguito all’attacco con droni all’impianto petrolifero saudita di Abqaiq e al giacimento di Khurais. Tuttavia, questa volta la produzione dell’Arabia Saudita è crollata di 5.700.000 b/g, circa il 5% della produzione mondiale, con il rischio che i prezzi aumentino sino a 100 $/b. Il Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha immediatamente puntato il dito contro l’Iran. Dopodiché, il Presidente Donald Trump ha autorizzato il rilascio di un ammontare non ben precisato dei 645 milioni di barili di Riserve Strategiche Petrolifere.
Premesso che non è ancora chiaro se gli attacchi siano giunti dallo Yemen, dall’Iran o dal Kurdistan iracheno o siriano, probabilmente, gli Houthi ricevono droni militarmente equipaggiati dall’Iran, ma non si può nemmeno escludere che qualcuno desideri boicottare l’ipotizzato faccia a faccia tra il Presidente Donald Trump e il suo omologo iraniano, Hassan Rouhani, a latere della conferenza ONU che si terrà alla fine di settembre.
Ultimi dati e stime sull’oil & gas
Conformemente alle cifre fornite dall’Oil Market Report pubblicato dall’International Energy Agency il 9 agosto 2019, la domanda globale di petrolio è diminuita di 160.000 b/g a maggio, il secondo calo verificatosi nel corso del 2019, mentre l’offerta è rimasta costante (oltre i 100.000.000 b/g).
L’IEA ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita della domanda 2019 e 2020 di 100.000 b/g e 50.000 b/g, rispettivamente a 1.100.000 e 1.300.000 b/g. Le scorte commerciali dell’OCSE sono invece cresciute di 22.800.000 barili a luglio 2019 (mese su mese), per un totale di 2.906.000.000 barili, 6.700.000 barili al di sopra della media degli ultimi 5 anni.
Secondo le statistiche stilate dal Drilling Productivity Report divulgato dall’Energy Information Administration il 15 luglio 2019, la produzione di greggio non convenzionale USA è prevista aumentare di 49.000 b/g, per complessivi 8.546.000 b/g, ad agosto 2019.
L’output di greggio statunitense, dopo il precedente picco di 9.627.000 b/g raggiunto ad aprile 2015, è decresciuto fino al minimo di 8.428.000 b/g toccato il 1° luglio 2016. Dopodiché, esso ha ripreso ad aumentare fino a record stimato di 12.500.000 b/g toccato il 23 agosto 2019, prima di calare nuovamente a 12.400.000 b/g il 6 settembre 2019 (previsioni settimanali).
Secondo le statistiche divulgate da Baker Hughes il 6 settembre 2019, le 898 trivelle attualmente attive negli Stati Uniti, di cui 738 (82,2%) sono petrolifere e 160 (17,8%), risultano essere 36 in meno rispetto a quelle rilevate il 9 agosto 2019, il minimo dall’11 marzo 2017.
Il 3 settembre, Raymond James ha scritto che “Nel lungo termine, riteniamo che il fattore più importante che influenzerà i prezzi del petrolio e il mercato dell’energia nei prossimi cinque anni sarà il cambiamento nella produttività dei pozzi statunitensi”. [...]. Trattasi di “un fattore molto rialzista per i prezzi del petrolio del prossimo anno”.
Il 9 settembre, Oilprice.com ha evidenziato che “Dal 2010, quando è iniziata davvero la rivoluzione dell’olio di scisto, la produttività media dei pozzi orizzontali è aumentata in media del 30% fino al 2018, ma i guadagni di produttività dei pozzi di petrolio si sono quasi fermati nel 2019. Solo qualche mese fa […] Raymond James aveva previsto un aumento della produttività del 10% per quest’anno e del 5% nel 2020. Altri analisti avevano stime perfino più elevate”.
A giugno 2019, le importazioni di greggio da parte degli USA sono calate di 17.000 b/g a complessivi 7.141.000 b/g. Quest’ultime erano state 7.158.000 b/g a maggio, 7.025.000 b/g ad aprile, 6.759.000 b/g a marzo 2019, 6.652.000 b/g 2019 a febbraio 2019 e 7.520.000 b/g gennaio 2019. Nel corso del 2019, la media dell’import di greggio statunitense è stata di 7.042.000 b/g, in diminuzione rispetto ai 7.757.000 b/g nel 2018 e ai 7.969.000 b/g nel 2017.
Il trend petrolifero e valutario
Ad agosto 2019, il prezzo del barile è diminuito per cause riconducibili ai fondamentali e a fattori geopolitici. In particolare, la qualità Brent North Sea ha aperto le transazioni a 64,01 $/b e le ha chiuse a 60,36 $/b, mentre il West Texas Intermediate ha aperto le quotazioni a 57,69 $/b, chiudendo a 55,08 $/b.
Il 7 agosto, sia il benchmark asiatico ed europeo Brent, sia il riferimento americano WTI hanno toccato il minimo mensile, venendo rispettivamente scambiati a 56,41 $/b e a 50,93 $/b, in virtù dell’inasprimento della guerra commerciale tra gli Stati Uniti d’America e la Cina con conseguente rallentamento della crescita dell’economia globale come pure della domanda di petrolio. In aggiunta, dal 26 luglio al 9 agosto, le scorte petrolifere USA sono aumentate da 436.545.000 barili a 440.510.000 barili.
Nel corso della seconda metà del mese, il barile ha recuperato parte del terreno precedentemente perso a causa dei seguenti fattori.
Il 19 agosto, l’impianto saudita di Shaybah, che produce circa 1.000.000 b/g, poco meno del 10% dell’intero output della Petromonarchia, è stato colpito da un drone dei combattenti yemeniti. Inoltre, il 23 agosto, le scorte commerciali USA sono calate a 427.751.000 barili.
Nel momento in cui scriviamo (17 settembre), il Brent viene scambiato a 67.53 $/b, mentre il WTI a 62,36 $/b.
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