Al ritorno dalla sua missione a Mosca dove ha incontrato vari dirigenti russi tra cui Sergey Lavrov, l'Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell'Unione Europea, lo spagnolo Josep Borrell, ha trovato un'accoglienza tutt'altro che positiva. Sul diplomatico iberico sono piovute critiche perché il suo comportamento non sarebbe stato abbastanza aggressivo nei confronti della Russia. L'eurodeputato estone del Partito popolare europeo (Ppe), Riho Terras, ha indirizzato una lettera alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per chiedere le dimissioni di Borrell. La missiva ha trovato l'adesione di 81 deputati europei. Su Twitter, Terras ha ringraziato i colleghi per la loro partecipazione e ha spiegato che la lettera nasce dall'esito della missione di Borrell a Mosca durante la quale, secondo il deputato estone, l'Alto rappresentante "ha provocato gravi danni alla reputazione dell'Ue e alla dignità del suo ufficio". Nella missiva si chiede a von der Leyen di intervenire nel caso Borrell non si dimettesse di sua propria iniziativa.
La vicenda ci fa comprendere il livello di russofobia crescente a Bruxelles. Un sentimento dettato sicuramente dalla nuova amministrazione statunitense che ha deciso di tornare ad applicare sulla Russia la massima pressione possibile. Così come continua il duro confronto USA con la Cina. Rispetto alla gestione Trump sono forse cambiati i toni, forse adesso più moderati, ma la sostanza è la stessa. La recente missione dell'OMS a Wuhan per indagare sulle origini del nuovo coronavirus trasformata da Washington in una sorta di inquisizione contro la Cina dimostra l'immutata postura statunitense.
Inevitabilmente i posizionamenti di Washington finiscono per riverberarsi sul blocco europeo. Dobbiamo tener presente che le relazioni politiche e commerciali dell’Unione Europea sono state tradizionalmente segnate da un forte orientamento atlantico. È un equilibrio nato ai tempi del sostegno statunitense alla ricostruzione fornito ai governi europei nel secondo dopoguerra, attraverso lo European Recovery Program (piano Marshall) e consolidato nell’ambito della cooperazione politico-istituzionale attuata attraverso la Nato e la partecipazione alle istituzioni multilaterali internazionali - come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale - create nell’ambito del cosiddetto ordine liberale internazionale nato con gli accordi Bretton Woods del 1944. L'adesione all'ordine liberale internazionale comportava l’adesione ai principi e alle regole della democrazia liberale; l’accettazione dell’economia di mercato come principio ordinatore della vita economica della società. Le relazioni euro-atlantiche si sono sviluppate all’interno di questo ordine politico, che ha sempre visto gli Stati Uniti come custodi della stabilità dell’ordine stesso e, in molti casi, attori protagonisti della sua evoluzione o espansione.
Nonostante questi fattori influenzino e limitino fortemente i rapporti dell'Unione Europea con le potenze eurasiatiche, i legami, anche e soprattutto per questioni economiche, non si sono mai interrotti. Il rapporto tra l'unione e la Russia è ai minimi termini ma vi sono resistenze all'ipotesi di nuove sanzioni contro Mosca. Sarebbe la Germania ad essere riluttante. Inoltre Berlino non avrebbe alcuna intenzione a rinunciare al progetto North Stream. Invece con la Cina rapporti e affari sono addirittura in crescita.
La Cina è adesso il principale partner commerciale dell'UE, avendo sopravanzato gli Stati Uniti nel 2020.
"Nel 2020, la Cina è stata il principale partner dell'UE. Questo risultato è dovuto a un aumento delle importazioni (+ 5,6%) e delle esportazioni (+ 2,2%)", secondo Eurostat, l'ufficio statistico dell'UE.
Le cifre sono similari ai dati ufficiali della Cina pubblicati a gennaio, che mostravano come il commercio con l'UE sia cresciuto del 5,3% a 696,4 miliardi di dollari nel 2020.
Anche il deficit commerciale dell'UE con la Cina è cresciuto da $ 199 miliardi a $ 219 miliardi secondo i dati di Eurostat.
Ma c'è di più: il 30 dicembre 2020 dopo ben sette anni di negoziati l’Ue e il Governo della Repubblica Popolare Cinese hanno firmato il Comprehensive Agreement on Investments (CAI), un imponente accordo di portata strategica. Intesa che influirà sui rapporti euro-atlantici e il futuro del multilateralismo globale.
Un nuovo rapporto?
Alla luce della situazione economica dettata dalla pandemia e dalla crisi capitalistica acuita da questa, è possibile per il blocco europeo trovare forme di avvicinamento e collaborazione con Cina e Russia?
Secondo Fosco Giannini, ex senatore comunista e direttore della rivista internazionalista 'Cumpanis': “L’Unione europea non è il frutto di una forte spinta storica, economica, politica e culturale dei popoli e degli Stati europei ad unirsi. Questo tipo di spinta non vi è mai stata e l’integrazione sovranazionale dei Paesi europei è un fatto totalmente artificioso, freddo, storicamente “innaturale”. L’Ue ha spasmodicamente accelerato il proprio processo unitario dopo la caduta dell’Unione Sovietica, quando il mondo capitalista “ratifica” la “Fine della Storia” e interpreta il pianeta, ormai privo di dighe anticapitaliste, come un immenso mercato da conquistare. Una conquista alla quale vuol partecipare anche il grande capitale europeo, che per divenire concorrenziale ha bisogno di abbattere i costi della propria forza-lavoro, delle proprie merci e dell’antico welfare europeo. Un grande capitale che si dota, per giungere a questi obiettivi, di un potere indiscutibile e sovranazionale, in grado di estendere ovunque una politica volta ad abbattere salari, pensioni, diritti e stato sociale: l’Ue, un potere indiscutibile poiché strutturato su di un parlamento che non può legiferare e su di un Consiglio Europeo che esercita la dittatura liberista. Un’ Unione europea di questo tipo riesce, sì, a mettere in campo una politica favorevole per il capitale transnazionale europeo, ma non riesce a dotarsi di uno Stato. Da qui la difficoltà estrema dell’Ue di affrancarsi dall’egemonia USA e dalla NATO. Della difficoltà estrema di sviluppare politiche autonome verso la Russia e la Cina. Detto ciò, tuttavia, gli interessi economici divergenti tra USA ed Ue potrebbero consegnare spazi d’autonomia all’Ue in relazione ai rapporti con Mosca e Pechino. L’economia è una potenza politica e su questa, oltreché sull’impegno delle forze comuniste, anticapitaliste, antiliberiste europee volte ad allargare le contraddizioni tra USA e Ue, possiamo contare affinché l’Ue rafforzi i propri legami con il fronte russo – cinese.
L'economia è il punto chiave. Come evidenzia il politologo Danilo Della Valle, già candidato alle elezioni europee con il Movimento 5 Stelle: “Se la Ue dovesse ragionare senza paletti politici ed ideologici, dovrebbe lavorare ulteriormente all'avvicinamento a Cina e Russia se non altro per convenienza economica. La Cina è un Paese che dopo aver lavorato solo per l'export sta ora sviluppando un mercato interno e con la Via della Seta si pone come importante volano per le economie di tutta la rotta. La Russia è un Paese ricco di risorse e dipendente dall'Europa, e viceversa. Questo la Francia lo ha fatto capire nella questione del Nagorno Karabakh e la Germania sul caso Navalny ha chiarito che non sarebbe felice di interrompere i lavori per il North Stream. Ma staremo a vedere, dipende molto dagli Usa”.
L’insediamento alla Casa Bianca del democratico Joe Biden ha portato a una nuova aggressività degli Stati Uniti verso la Russia. Gli attacchi alla Cina continuano sulla stessa falsariga precedente. L’Unione Europea segue a ruota libera senza più remore visto che a Washington non c’è più il ‘cattivo’ Trump. Fino a dove si spingerà l’Occidente nell’attacco alle potenze eurasiatiche?
“Sicuramente la politica estera statunitense avrà ulteriori sviluppi nei confronti della Russia, sebbene io non creda molto nella narrazione secondo cui Trump sia stato un "filorusso", e lo si può vedere dalle espulsioni dell'amministrazione Trump ai danni di diversi diplomatici russi durante il suo mandato. Riavvolgendo il nastro e pensando alla politica estera di Trump non posso non ricordare le parole di Mike Pompeo secondo cui gli Usa hanno tre nemici "la Russia, l'Iran e il Partito Comunista Cinese". Anche durante l'amministrazione Trump molti analisti pensavano il Presidente Usa potesse adottare una sorta di dottrina Kissinger al contrario, attirando la Russia al campo Occidentale in chiave anti-cinese. E invece non è andata così, un po' per volere della Russia, sicuramente, ma al contempo per la russofobia latente della società statunitense. Oggi gli Usa cercheranno però di ricostruirsi una credibilità in Europa, visto che il periodo Trump li ha allontanati dalla Ue facendogli fare passi indietro nel campo della diplomazia e del soft power. Non so fino a che punto si spingerà, credo che però l'amministrazione Biden dovrà da un lato affrontare la guerra alla Cina alla quale Trump ha dato un'accelerata, in continuità con l'inizio decretato nell'era Obama, e dall'altro affrontare la questione europea dove avranno probabilmente bisogno di agitare il pericolo russo”, afferma Della Valle.
Fosco Giannini spiega: “La politica “isolazionista” di Trump, volta ad un rialzo delle barriere doganali in grado di frenare la penetrazione delle merci europee e soprattutto cinesi nel mercato nordamericano, (per favorire, come è stato, la riapertura del mercato interno USA) aveva come naturale proiezione anche un relativo distacco dalle controversie internazionali, un relativo passo indietro della tradizionale politica imperialista ed interventista degli USA e della NATO sul piano planetario. E’ attraverso questa lente che vanno decodificate alcune posizioni di Trump volte ad una minore “passione” per il ruolo della NATO come gendarme mondiale guidato e sostenuto dagli USA e volte ad un, seppur parziale e contraddittorio, ritiro da alcune aree calde del mondo, come la Siria. Come, peraltro, è a partire da questa “guerra” economica propria della scuola storica isolazionista (che in Trump diviene”America firts”) che, invece, si alza la lotta feroce contro la “Nuova Via della Seta” cinese, come ha dimostrato la fortissima pressione che l’Amministrazione Trump esercitò contro il primo governo Conte, che cadde essenzialmente sotto quella pressione essendo stato il primo governo di tutto il G7 a firmare l’accordo con Xi Jinping per la Silk Road (linea immediatamente proseguita da Biden, la cui pressione sul secondo governo Conte, ancora nell’intento di attaccare l’accordo economico italo-cinese, è stata possente e determinante per la caduta del Conte 2 e l’avvento di Draghi). Il punto è che Biden, abbandonando l’isolazionismo di Trump, ha recuperato e rilanciato immediatamente la tradizionale politica imperialista e aggressivamente interventista nordamericana. Tra i primi messaggi forti di Biden, subito dopo la sua elezione ufficiale, vi è stato quello rivolto all’intero occidente, all’intera Ue (e al Giappone, alla Corea del Sud, all’India, all’Australia) per la costituzione di un fronte comune contro la Cina. l’80% dell’intera storia nordamericana, dalla Dichiarazione della sua indipendenza, il 4 luglio 1776, è una storia di guerre; da quella contro il Messico del 1846 sino a tutte quelle a noi più vicine, gli USA hanno dimostrato che la guerra è consustanziale alla loro struttura economica generale. E che, dunque, anche in questa fase storica - segnata peraltro da una crisi profonda di egemonia statunitense e dalla crescita titanica della Repubblica Popolare Cinese- la guerra, l’attacco americano (innanzitutto contro la Russia) sono eventi verosimili. Ancor più verosimili con il recuperato imperialismo di guerra di Biden. Quali elementi possono opporsi alla pulsione bellica di Biden, del fronte USA-NATO-Ue? Cosa può evitare un nuovo conflitto mondiale? Occorre essere chiari e realisti: innanzitutto la potenza militare russa e il rafforzamento militare cinese in corso (così come ha evidenziato Xi Jinping nella sua relazione al 19° Congresso del Partito Comunista Cinese, ottobre 2017). Poi le contraddizioni strategiche già pesantemente in campo tra USA ed Unione europea proprio in rapporto alle relazioni economiche con Russia e Cina: l’Ue ha bisogno come il pane di queste relazioni e il loro mantenimento potrà rappresentare un elemento decisivo nell’indebolimento del fronte imperialista bellico generale contro la Russia e la Cina. Certo, un grande movimento di massa e sovranazionale contro la guerra sarebbe decisivo, anche se in questa fase esso è mancante. Ed è chiaro che può trovare difficoltà a svilupparsi nel momento in cui forze di massa politiche e sindacali, che tendono a definirsi democratiche e di sinistra, esultano per la vittoria di Biden non accorgendosi della sua natura imperialista e guerrafondaia”.
Cosa succede in Italia?
La crisi di governo aperta da Matteo Renzi ha provocato l'uscita di scena di Giuseppe Conte sostituito a Palazzo Chigi (sede del Governo) dall'ex governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Una mossa vista di buon occhio tanto a Washington quanto a Berlino. Stati Uniti e Germania sono i due paesi che maggiormente condizionano la politica di Roma. L'Italia ricade nella zona d'influenza politica statunitense, mentre rappresenta per la Germania la sua area d'influenza economica. Il settentrione d'Italia è infatti subfornitore della Germania.
L'ex senatore Giannini evidenzia come Matteo Renzi abbia probabilmente agito su mandato USA-NATO: “L’Italia è un dominio politico-militare degli USA e della NATO. Da Senatore della Repubblica sono stato Capo Gruppo in Commissione Difesa, al Senato, e ho avuto modo di studiare molto più da vicino la questione: in Italia vi sono circa 130 Basi militari Usa e NATO e altre 20, tenute segretissime, non sono ufficializzate. Come sappiamo, queste Basi contengono testate nucleari in via di grande rafforzamento (Biden accelererà, su questo). Impressionante, a constatarla, è la capillarizzazione di queste Basi sull’intero territorio nazionale. La stessa presenza di soldati e ufficiali nordamericani nelle Basi USA in Italia è imponente (e il governo italiano paga questa presenza di tasca propria, con circa 500 milioni di dollari all’anno). E’ un fatto storicamente appurato che quando un Paese vive sotto un’occupazione militare di forze straniere questo Paese perde ogni autonomia e vengono esautorati i poteri dello Stato, dei parlamenti, dell’esercito, delle forze dell’ordine e dei servizi segreti. E’ a partire da ciò che non è certo una forzatura propagandistica asserire che i due governi Conte siano stati essenzialmente scalzati dalla volontà statunitense di riallineare l’Italia sull’asse euro-atlantico , asserire che Renzi sia stato uno strumento nelle mani di Trump e di Biden e che il governo Draghi sia oggi quello voluto innanzitutto da Biden, ma anche dall’intero asse euro-atlantico, che ha messo a disposizione di Draghi il partito unico italiano degli USA, della NATO e dell’Ue”.
Oltre il riallineamento sull'asse euro-atlantico “in questo momento l'Italia è polarizzata da una parte con il partito delle banche e dall'altra la destra che finge di fare opposizione, in quanto alleata di Lega e forza Italia. Draghi nel discorso al Senato ha ribadito infatti che sarà un governo aperto al dialogo con la Russia ma che 'segue con preoccupazione quello che accade in Russia e altri Paesi dove i diritti dei cittadini sono violati'", spiega il politologo Della Valle.
Quali spazi per la cooperazione con Russia e Cina?
Nonostante la normalizzazione atlantica avvenuta con l'operazione Draghi ci sono ancora spazi per la cooperazione tra l'Italia e le potenze eurasiatiche? Quali sarebbero i vantaggi per Roma?
“Un’analisi economica attenta ci dice oggi che quasi tutte le regioni d’Italia (con particolare riguardo alle regioni del Meridione e del Centro, tra le quali spiccano il Molise, le Marche, la Campania, la Sicilia) si avvalgono dei nuovi e forti rapporti economici con la Cina sospinti dal memorandum Conte-Xi Jinping del 2019, per uscir fuori dalle loro, spesso profonde, crisi economiche, di sviluppo e di occupazione. Gli spazi, dunque, ci sono già ampiamente stati, ci sono e potrebbero ancor più e positivamente, per l’intera economia italiana, svilupparsi. Che essi si allarghino o, drammaticamente, si restringano, dipende purtroppo dalle pressioni USA, dalla resistenza, che non crediamo possa essere significativa, proprio per il modo in cui è nato, proprio per la sua intima natura politica, dell’attuale governo italiano e dalla forza dell’opposizione politica e sociale in Italia. Purtroppo ancora troppo debole”, afferma Fosco Giannini.
Della Valle evidenzia inoltre: “Per me ci sono spazi per una questione culturale ed economica. La famosa Europa da Lisbona a Vladivostock potrebbe essere un vantaggio dal punto di vista economico e della cooperazione politica e allo sviluppo tecnologico e alla condivisione di know how (cosa che avviene già anche se in maniera minore). Se pensiamo che le sanzioni alla Russia da parte dell'Europa ci stanno costando migliaia di posti di lavoro e miliardi di euro, è facile capire che i vantaggi sono tanti”.
Il governo Draghi sembra quindi configurarsi come l'ultima giocata mossa dai centri imperialisti per cancellare ogni residuo di sovranità dell'Italia e tenerla intrappolata nelle gabbie economiche e politiche dove attualmente langue sotto il tallone di ferro di USA e Germania. La potenza statunitense è in una fase di declino irreversibile. L'ordine multipolare eurasiatico è invece in ascesa. Inevitabilmente l'Italia e l'intero blocco europeo volgeranno lo sguardo verso est.
(Articolo pubblicato su uwidata)
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