di Fabio Massimo Parenti
Il Dipartimento di stato americano ha commentato l’incontro del 14 marzo tra Sullivan e Yang dichiarando: “a Roma abbiamo messo in guardia la Cina sulle conseguenze di un eventuale supporto alla Russia”. Pochi giorni dopo, la Casa Bianca ha rincarato la dose asserendo che “ci saranno implicazioni e conseguenze” se Pechino fornisse supporto alla Russia. E’ chiaro che questo non è un atteggiamento costruttivo, soprattutto in un momento che richiederebbe ben altri toni ed approcci. C’è da dire, tuttavia, che nel corso della telefonata con Xi, del 18 marzo, Biden avrebbe cercato anche di ristabilire un certo equilibrio, almeno formale, e meno basato sul confronto-scontro tra rivali.
Proviamo ad inquadrare il ruolo della Cina nell’attuale crisi e l’inevitabile dialettica con gli Usa. Dopo averla quotidianamente dileggiata e provocata su qualsiasi questione internazionale ed interna, all’improvviso, molti in Occidente invocano la Cina affinché possa svolgere un ruolo nelle drammatiche vicende europee. Generali, analisti, giornalisti e, come detto, gli stessi Usa. Questi ultimi vorrebbero che la Cina contribuisse ad isolare la Russia, mentre assistono a una “sirianizzazione” del conflitto in Ucraina, lanciano moniti su possibili attacchi chimici (come in Siria), operano un costante invio di armi ad una parte in guerra e continuano a spingere l’Europa sull’orlo del baratro, attraverso un’ulteriore stretta sanzionatoria che tocca più noi che loro. Questa tanto sbandiera alleanza tra UE e Stati uniti ci sta portando ad un futuro prossimo disastroso. E le imperanti tifoserie pro-americane nostrane dovrebbero prenderne atto, invece di accodarsi pedissequamente agli Usa quando ripetono il mantra delle “conseguenze” per Pechino se sostenesse militarmente la Russia. Cosa che non avverrà.
Negli ultimi settant’anni il rapporto statunitense verso Cina e Russia è stato caratterizzato da una continua alternanza tra l’uno e l’altro paese al fine di isolare l’uno o l’altro. Se nella prima guerra fredda gli Usa avevano portato la Cina dalla loro parte (con il duo Kissinger-Nixon), contribuendo ad isolare l’URSS, in seguito essi hanno tentato di integrare la Russia nell’orbita NATO (tra fine anni Novanta e primi anni Duemila), questa volta tentando di isolare una Cina in ascesa. Le previsioni sono state tuttavia errate e le manovre strategiche ritardatarie e mal concepite. Cina e Russia si sono avvicinate sempre di più negli ultimi venti anni.
Gli Usa erano convinti che la Cina sarebbe andata incontro a problemi interni e che comunque avrebbe trasformato il proprio sistema politico-economico, emulandoci. Le previsioni sono state tutte fallaci e ciò che speravano non è accaduto, anzi, al contrario, la Cina ha rafforzato il proprio status economico-politico al livello mondiale, perseverando sulla strada di un modello di sviluppo autoctono di socialismo di mercato, seguendo la logica della doppia circolazione, ovverosia la combinazione dialettica tra integrazione internazionale e sviluppo domestico.
Nella situazione attuale gli Usa stanno perseguendo, vittoriosamente, la cesura tra Europa e Russia, sperando, successivamente, di allontanare Cina e Russia. In questo modo cadrebbe l’asse anti-egemonico asiatico, dando agli Usa più spazio di manovra per continuare ad influenzare il continente euroasiatico per i propri scopi di dominio (e potersi dedicare, infine, al contenimento e alla destabilizzazione della Cina).
Con tale prospettiva strategica, gli Usa sembrano oggi interessati, almeno a parole ed a breve termine, a fare concessioni alla Cina, ribadendo, per bocca di Biden, di non cercare una nuova guerra fredda, di non cercare un nuovo conflitto con la Cina, di non mirare a cambiare il sistema cinese e di non sostenere l’indipendenza di Taiwan. Tutto ciò cozza, tuttavia, con le azioni di segno opposto messe in campo dagli Usa negli ultimi decenni su ciascuno di questi punti. Non è un caso che la Cina non si fidi. Come eloquentemente sintetizzato da una famosa conduttrice televisiva cinese, Liu Xin, sembrerebbe che gli Usa stiano chiedendo alla Cina: “Puoi aiutarmi a combattere il tuo amico in modo che più tardi io possa concentrarmi a combatterti?”
A partire da questa contestualizzazione è possibile capire sia la persistenza delle principali contraddizioni nei rapporti tra le prime potenze economiche del mondo, sia il ruolo della Cina sulla questione ucraina. La Cina continua a suggerire di lavorare insieme per ricostruire un regime di sicurezza regionale sostenibile in Europa e nel mondo.
La Cina sta giocando un ruolo di relativa equidistanza e non seguirà ciecamente quel mondo “liberal-democratico” che ogni santo giorno l’ha aspramente criticata e provocata per la gestione dei suoi affari interni ed internazionali. E’ pur vero che nel rapporto con gli Usa, essa giocherà la propria partita, chiedendo garanzie definitive e solide sulla non interferenza negli affari interni (Taiwan, Xinjiang, HK e Tibet in primis). Aspetti che sono stati genericamente accomodati, come detto, nella telefonata Biden-Xi. Soprattutto su Taiwan, il principio di “una sola Cina” e la volontà di non cercare una nuova guerra fredda tra le due grandi potenze. Xi ha detto di tenere in grande considerazione le dichiarazioni di Biden, rilevando tuttavia che la sua amministrazione ha deviato spesso dalle dichiarazioni del presidente.
Per quanto riguarda il legame sino-russo, su cui tanto si specula, possiamo asserire che esso sia particolarmente forte e che non si romperà a causa di questa guerra in Europa. Legami e complementarietà energetiche, commerciali, finanziarie e valutarie sono andate molto avanti. Ma anche i legami in ambito di sicurezza regionale, SCO-CSTO, si sono sviluppati. Ciò nonostante, la neutralità di Pechino sul piano strategico rispetto agli eventi più recenti è una garanzia per tutti. La proposta cinese sembra essere la più equilibrata ed in linea con un approccio pacifico alle relazioni internazionali, coerente con la propria cultura diplomatica almeno sin dai tempi di Zhou Enlai. La Cina tiene conto degli interessi di tutte le parti coinvolte, dando forma ad un approccio pragmatico, orientato alla pace, più ampio, complesso e non manicheo. Perché non c’è una soluzione facile, veloce ed a buon mercato alla risoluzione di problemi storico-politici e geostrategici accumulatisi nel tempo.
La Repubblica popolare, dunque, sta mettendo in campo le proprie attività diplomatiche, promuovendo la ridefinizione di un sistema di sicurezza europeo più equilibrato e fuori dalla logica dei blocchi.
Nel far ciò, la Cina non è acritica, perché riconosce la genesi, le criticità, le provocazioni e le minacce rappresentate dalle azioni US-Nato (che giungono fino all’Asia-Pacifico) e si rifiuta pertanto di aderire a cicli sanzionatori “unilaterali” o comunque non avallati dalle Nazioni Unite. In ultima istanza, la Cina continuerà a rafforzare l’amicizia di ferro con la Russia, traendone eventualmente vantaggio a medio-breve termine, per motivi economici ed energetici, ma non potrebbe mai accettare una destabilizzazione del vicino russo, come Washington auspica, ovvero un cambio di regime.
Oltre ad inviare aiuti umanitari, la Cina sta rispondendo in modo risoluto alle pressioni americane per isolare la Russia, chiedendo spiegazioni, ad esempio, sui programmi militari batteriologici in Ucraina e nel mondo, e chiedendo di non favorire, con armi e denari, un’escalation del conflitto. Per marcare la differenza nell’approccio tra le due grandi potenze, Zhao Lijian, portavoce del MoFA cinese, ha ricordato che “la Cina fornisce all’Ucraina cibo, latte in polvere, sacchi a pelo, trapunte e materassini impermeabili, ma gli Usa offrono armi letali. Non è difficile per le persone giudicare se cibo, sacchi a pelo o armi sono più essenziali per la popolazione ucraina”.
Anche la missione cinese presso l’UE ha voluto marcare la posizione cinese rispetto alle insistenze statunitensi, scrivendo: “il popolo cinese è in grado di condividere pienamente il dolore e la sofferenza di altri paesi, perché non dimenticheremo mai chi ha bombardato la nostra ambasciata in Jugoslavia. E non abbiamo bisogno di lezioni sulla giustizia da parte di un trasgressore del diritto internazionale”. Un discorso simile è stato pronunciato dalla portavoce Hua Chunying, che aveva già sottolineato il pessimo curriculum degli Usa negli ultimi duecento anni in tema di violazione della sovranità territoriale di numerosi paesi e di operazioni belliche all’estero, ricordando peraltro le numerose interferenze in HK, Xinjiang e Taiwan.
Il 20 marzo il ministro degli esteri Wang Yi ha ricordato che una soluzione a lungo termine alla crisi Ucraina (ed altre che posso emergere o sono già emerse) riguarda l’abbandono della mentalità da guerra fredda e del confronto tra blocchi. Questa è sempre stata la filosofia cinese contemporanea nella gestione delle relazioni internazionali. Ed oggi, più che mai, risulta particolarmente pregnante, saggia e ispiratrice di una possibile strada da seguire, alternativa al caos permanente.
Lo stesso ministro aveva già proposto, il 26 febbraio, 5 punti essenziali per raggiungere un negoziato soddisfacente che tenga conto di tutti gli interessi in campo. Il rispetto della sovranità di ogni stato; la costruzione di un’architettura di sicurezza regionale sostenibile, ovvero basata sul rispetto reciproco e bilanciata; il rifiuto dell’espansione di blocchi militari e della mentalità da guerra fredda, tendendo in considerazione le legittime domande di sicurezza della Russia; il contenimento della crisi Ucraina, evitando che vada fuori controllo; l’appoggio a tutti gli sforzi diplomatici possibili - l’Ucraina deve essere ponte tra Est e Ovest, non una frontiera di scontro tra (come ricordava Kissinger); l’applicazione della filosofia della indivisibilità della sicurezza - qui il riferimento riguarda Helsinki 1975, Parigi 1990 e il partenariato Nato-Russia 1997, ovverosia accordi relativi al quadro di sicurezza regionale europeo; e infine il ruolo attivo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dando priorità alla pace e alla stabilità regionale, evitando in tutti i modi di alimentare l’escalation.
In conclusione, siamo persuasi del fatto che i tentativi statunitensi di allontanare la Cina dalla Russia siano destinati al fallimento. La Cina collaborerà solo sulla base dei principi fondanti delle Nazioni Unite, al di fuori della logica dei blocchi di alleanze e col fine di garantire la riforma e la stabilizzazione dei rapporti regionali e globali. Proprio qui risiede una delle caratteristiche principali del diverso approccio adottato dalla Cina rispetto a quello degli Usa, ovverosia tra una potenza dedita alla stabilizzazione ed un’altra alla destabilizzazione. Ed è proprio su questo aspetto che Beijing, parallelamente ad un’efficace cooperazione economica, ha accresciuto enormemente il proprio prestigio e consenso internazionale.
Solo con uno sforzo collettivo di inquadramento geo-storico dell’attuale crisi, su concause, corresponsabilità e tendenze strutturali di cambiamento del sistema-mondo, sarà possibile trovare soluzioni efficaci di lungo termine, al fine di evitare il riprodursi di sempre nuovi conflitti, come fossimo condannati a una guerra fredda permanente. Ma dobbiamo volere la pace, non solo per l’Ucraina, ma per tutti i paesi e le regioni del mondo ancora vittime della iper-competitività strategica del sistema US-Nato. Dobbiamo volere una reale pacificazione delle relazioni internazionali, dei rapporti tra i popoli della terra, cambiando paradigmi di convivenza. Non più basati sull’imposizione di un unico modello a tutti, bensì, sul rispetto reciproco, la cooperazione economica e la risoluzione delle tensioni esistenti per via esclusivamente diplomatica. Come Beijing suggerisce e pratica da tempo.
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