di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Sono attesi per la giornata di oggi a Evlakh (300 km da Baku, nell'Azerbajdžan centrale) i colloqui tra rappresentanti azeri e degli armeni del Karabakh, al centro dei quali sarà soprattutto il destino dei secondi, dopo la capitolazione di Stepanakert. Oggi, le agenzie russe tendono a sottolineare il ruolo svolto dal contingente di interposizione russo nell'evitare ulteriore spargimento di sangue nell'enclave armena, dopo l'attacco azero del 19 settembre, concluso il giorno seguente con la completa capitolazione di Artsakh, lasciato solo da Erevan.
Il 20 settembre Stepanakert, capitale di Artsakh, aveva diffuso un comunicato sul cessate il fuoco, la completa resa delle forze di difesa dell'enclave, il ritiro di ogni formazione militare armena e l'accettazione delle trattative per il reintegro del Karabakh nella compagine azera.
La TASS scrive stamani che i reparti di pace russi, con la cui intermediazione il 20 settembre è stato raggiunto il cessate il fuoco, hanno messo in salvo almeno cinquemila armeni del Nagorno-Karabakh, evacuandoli principalmente dai distretti di Mardakert, Martunyn e Askeran. Le agenzie danno anche notizia della morte di alcuni militari del contingente russo, colpiti mentre con il proprio veicolo stavano rientrando dal posto di osservazione assegnato, alla base di Džanjatag, nel distretto di Teter. Singolare che le condoglianze per queste vittime siano state espresse a Mosca da Baku, ma non da Erevan.
In un colloquio telefonico con il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il Presidente azero Il'kham Aliev ha dichiarato che i risultati della “localizzata operazione anti-terrorismo” in Artsakh si «rifletteranno positivamente sui colloqui armeno-azeri per raggiungere un accordo di pace tra Erevan e Baku». Aliev ha aggiunto che a Evlakh verranno «discusse le questioni relative ai diritti degli armeni del Karabakh e anche i loro doveri in base alla costituzione e alle leggi della Repubblica dell'Azerbajdžan, compresi i loro diritti culturali, religiosi, municipali e altri».
Di fatto, già ieri, centinaia di armeni del Karabakh assediavano l'aeroporto di Stepanakert e altre migliaia tentavano di lasciare Artsakh attraverso il “Corridoio di Lacin”, lasciato momentaneamente aperto dalle forze azere, temendo che Baku passi alle vie di fatto contro di loro.
Dopo l'avvio della cosiddetta “operazione anti-terrorismo” azera del 19 settembre che, ufficialmente, prevedeva l'attacco a soli “obiettivi militari” armeni, erano in realtà rimasti colpiti anche diversi edifici civili, provocando numerose vittime. D'altronde, già il 19 settembre, il primo ministro armeno Nikol Pašinjan, non aveva fatto nulla di concreto per aiutare la popolazione armena di Artsakh: Erevan aveva dichiarato di non voler immischiarsi nella questione, segnando così il destino dell'enclave armena in territorio azero, alla cui riconquista Baku tendeva da oltre trent'anni.
Il Nagorno-Karabakh torna ora a essere una regione dell'Azerbajdžan.
L'inviato di guerra Aleksandr Kots ricorda opportunamente su komsomol'skaja Pravda come gli avvenimenti si siano svolti secondo uno scenario da tempo fissato, aggiungendo come già un anno fa Nikol Pašinjan, a Praga, avesse riconosciuto l'Azerbajdžan nelle frontiere del 1991: Artsakh compreso. Al vertice di Praga dell’ottobre 2022, scrive RIA Novosti, svoltosi sotto egida UE, Armenia e Azerbajdžan avevano riaffermato il loro impegno nei confronti della Carta ONU e della Dichiarazione di Alma-Ata del 1991. In altre parole, entrambi riconoscevano l'integrità territoriale e la sovranità dell'altro all'interno dei confini delle ex repubbliche sovietiche, allorché il Nagorno-Karabakh faceva parte della RSS dell'Azerbaigian.
A differenza di Praga, al precedente accordo di pace del novembre 2020, raggiunto con l'intermediazione russa – il mandato del contingente di pace di Mosca scade nel 2025 - dopo un conflitto durato un mese e mezzo, Pašinjan, non aveva abdicato al Karabakh. Poi c'è stata la sua svolta verso USA e UE, i “dubbi” sulla partecipazione armena al ODKB; e l'ex oppositore ed campione dell'ennesima “rivoluzione colorata” ha ceduto su tutto e ha abdicato ad Artsakh.
A nulla sono servite le manifestazioni a Erevan contro la resa del Karabakh a Baku.
Prevede il prossimo passo di Erevan l'apertura di una base yankee in territorio armeno? Qualcuno potrebbe, come minimo, aver qualcosa da ridire; e non solo a Mosca e a Teheran.
Intanto, però, a dispetto delle aspettative occidentalistiche di Pašinjan, gli USA non sono venuti in aiuto di Erevan. Baku ha potuto agire in tutta tranquillità, nonostante reparti USA fossero ancora presenti in territorio armeno per le manovre militari congiunte “Eagle Partner 2023” del 11-20 settembre.
Pašinjan, che ha deciso la svolta armena verso Occidente, nota il canale Telegram “BajBajden”, in due giorni ha subito l'umiliazione più completa. La sua resa del Karabakh potrebbe paragonarsi a ciò che accadrebbe se Alexandr Vucic tradisse i serbi del Kosovo, o Mosca rinunciasse a proteggere i russi di Crimea, Donbass, o di altri territori. La reazione yankee al conflitto che si stava consumando sotto il loro naso è stata cinica all’estremo, in nulla diversa dal comportamento USA in tante altre parti del mondo. «Sapevamo che l'Azerbajdžan stava conducendo operazioni militari, ma non abbiamo visto in ciò nessun rischio per i nostri soldati», ha dichiarato il rappresentante USA il 19 settembre, aggiungendo che le manovre si sarebbero svolte secondo il calendario fissato.
Messo inseme al “disinteresse” di Pašinjan per la sorte di Artsakh, difficile sfuggire all'impressione di un piano coordinato, che alla fine preveda la promessa (per ora, solo quella) di una futura adesione di Erevan a UE e NATO.
Ma la situazione è tuttora in movimento.
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