L'ipocrisia (complice) della Turchia nel massacro a Gaza

12 Dicembre 2023 07:00 Fabrizio Verde


di Fabrizio Verde


Da quando Israele ha avviato la sua guerra genocida a Gaza, il presidente turco Erdogan ha utilizzato parole di fuoco – fino a questo momento solo parole – per condannare quanto avviene nella Striscia di Gaza nei confronti della popolazione civile dietro il pretesto della lotta ad Hamas.

Gli strali del leader turco sono diretti anche contro la potenza che conferisce ad Israele l’impunità per i suoi crimini, ossia gli Stati Uniti. Intervenendo a un evento a Istanbul in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato che un mondo giusto è possibile, ma non con gli Stati Uniti, secondo quanto riportano riportano i media locali.

In riferimento al nuovo conflitto israelo-palestinese, sostiene che "le organizzazioni internazionali non prendono alcuna misura concreta per prevenire" lo sviluppo delle ostilità.

"Il governo israeliano sta causando a Gaza massacri che dovrebbero far vergognare l'umanità. Tutti gli insediamenti civili, dai luoghi di culto alle scuole, dagli ospedali ai mercati, vengono bombardati. Oggi a Gaza non vengono uccisi solo bambini, donne, anziani e giornalisti, ma tutti i valori dell'umanità", ha denunciato Erdogan.

In questo senso, il presidente ha ricordato che la risoluzione per il cessate il fuoco è stata respinta in Consiglio di Sicurezza solo con il voto degli Stati Uniti e, dopo essersi chiesto se sia possibile un mondo giusto, ha detto: "Un mondo giusto è possibile, ma non con gli Stati Uniti".

Secondo Erdogan, "gli Stati Uniti sono dalla parte di Israele con i loro soldi e le loro munizioni". "USA, come risponderete di questo?", ha chiesto retoricamente. Il leader turco ha anche denunciato che il Consiglio di Sicurezza, "il cui compito era quello di preservare la pace nel mondo", è diventato "un consiglio per proteggere Israele".

In questo contesto, ha sottolineato la necessità che l'organismo "si riformi". "Non c'è stata alcuna decisione sul cessate il fuoco a causa del veto degli Stati Uniti [...]. Non è possibile per l'umanità andare da nessuna parte con queste Nazioni Unite, con questo Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite", ha affermato.

Ha anche chiesto che i responsabili delle atrocità commesse nell'enclave palestinese siano puniti. "Dopo Gaza, nulla può continuare come prima. I macellai di Gaza devono essere chiamati a rispondere dei loro crimini contro l'umanità nei tribunali internazionali. Alla fine lo faranno. Seguiremo la questione. Lo faremo insieme agli innocenti di Gaza".


Quale pressione potrebbe esercitare la Turchia su Israele?

Oltre alle parole infuocate cosa potrebbe fare Erdogan per esercitare maggiore pressione sul regime di Israele affinché cessi il genocidio contro Gaza e la popolazione palestinese in generale?

La Turchia ha una lunga storia di relazioni tese con Israele a causa del conflitto israelo-palestinese. Ankara potrebbe sfruttare i suoi forti legami diplomatici con vari attori internazionali per sostenere la causa palestinese. Mobilitando il sostegno di altri paesi a maggioranza musulmana e attirando l’attenzione internazionale, la Turchia potrebbe così esercitare una pressione significativa su Israele affinché riconsideri le sue azioni nei territori occupati.

Ma soprattutto, la Turchia potrebbe adottare misure economiche per esercitare pressioni su Israele. Essendo un importante partner commerciale e investitore nell’economia israeliana, la Turchia potrebbe quindi utilizzare strumenti economici come sanzioni commerciali o riduzione degli investimenti per esprimere contrarietà nei confronti delle politiche e delle azioni belliche di Israele. Prendendo di mira industrie e beni specifici, invierebbe così un chiaro messaggio al regime sionista che le sue azioni avranno conseguenze economiche negative.

Inoltre, la Turchia potrebbe sfruttare le sue capacità militari e di intelligence per esercitare pressioni su Israele. Essendo un membro della NATO con una notevole forza militare, la Turchia può utilizzare la propria potenza militare per aumentare la presenza nella regione, segnalando così il proprio impegno a favore della causa palestinese. Inoltre, le agenzie di intelligence turche hanno la capacità di monitorare da vicino le attività israeliane e raccogliere informazioni che possono essere utilizzate a livello diplomatico per denunciare ulteriormente le violazioni o abusi dei diritti umani anche quando non sono sotto gli occhi del mondo come adesso.

La Turchia avrebbe quindi diversi mezzi a sua disposizione per esercitare pressioni su Israele. Utilizzando il suo peso diplomatico, economico, militare e religioso, la Turchia potrebbe difendere concretamente i diritti dei palestinesi e spingere per un cambiamento nelle politiche israeliane.

Allora perché la Turchia non agisce coerentemente con le dichiarazioni di fuoco del presidente Erdogan? Un fattore significativo che suggerisce alla Turchia di non tagliare completamente i suoi legami con Israele, specialmente in campo energetico, sono i benefici economici che entrambi i paesi traggono dalla loro partnership energetica. Israele ha scoperto importanti riserve di gas naturale e la Turchia, essendo un importante importatore di energia, vede valore nell’accesso a queste riserve per diversificare le sue fonti energetiche. Nonostante le enormi differenze politiche, considerazioni economiche hanno assicurato che i legami energetici tra i due paesi rimanessero intatti.

Inoltre, la posizione geografica della Turchia la rende un attore chiave nelle dinamiche energetiche regionali. Essendo un ponte tra l’Europa e il Medio Oriente, la Turchia funge da paese di transito cruciale per i gasdotti energetici. Ad esempio, il progetto del Corridoio meridionale del gas mira a trasportare il gas naturale dalla regione del Caspio ai mercati europei e la Turchia svolge un ruolo essenziale in questo processo. Tagliare i legami energetici con Israele potrebbe mettere a repentaglio la posizione della Turchia come hub energetico strategico, diminuendo di conseguenza la sua influenza regionale e i potenziali guadagni economici.

Infine, ci sono stati casi in cui Turchia e Israele hanno trovato un terreno comune e si sono impegnati nella cooperazione energetica nonostante le loro differenze politiche. Ad esempio, nel 2016, Turchia e Israele hanno firmato un accordo per normalizzare le relazioni dopo una spaccatura durata sei anni. Questo accordo includeva disposizioni per la cooperazione energetica, sottolineando il potenziale di collaborazione su progetti energetici, compresa l’esplorazione del gas naturale e la costruzione di gasdotti. Tali casi dimostrano che la Turchia è disposta a trascurare le tensioni politiche in favore di sfruttare i benefici economici che possono derivare dai legami energetici con Israele.

Lo stesso accadeva nel settembre di quest’anno a pochi giorni dall’attacco di Hamas e l’avvio della guerra genocida del regime israeliano contro la popolazione civile di Gaza. Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan annunciava di aver concordato con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu l'avvio di esplorazioni energetiche congiunte tra Israele e Turchia. "Non solo inizieremo a gestire oleodotti energetici verso la Turchia, ma anche dalla Turchia verso l'Europa", affermava Erdogan. Che inoltre dichiarava di aver concordato con Netanyahu che quest'ultimo avrebbe visitato la Turchia. A cui poi sarebbe seguita una visita reciproca in Israele, e di aver discusso con Netanyahu la formazione di un meccanismo a livello ministeriale per espandere la cooperazione tra i due Paesi.

Erdogan e Netanyahu discutevano anche dei passi verso la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. La storia avrebbe però preso tutt’altra direzione.

Dunque, possiamo affermare che considerazioni economiche, l’importante ruolo della Turchia nelle dinamiche energetiche regionali e precedenti esempi di cooperazione hanno svolto un ruolo significativo nell’impedire alla Turchia di tagliare completamente i suoi legami, soprattutto energetici, con Israele. Sebbene esistano differenze politiche tra i due paesi, l’importanza della sicurezza energetica e dei vantaggi economici sono fattori trainanti che mantengono intatta la partnership energetica.


L'Iran chiede l'embargo energetico

Eppure ci sarebbe una misura concreta che andrebbe a colpire fortemente Israele, quindi anche la sua capacità bellica. In risposta ai bombardamenti di Israele nella Striscia di Gaza, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha chiesto di interrompere le forniture energetiche al regime sionista di occupazione e a vietare le importazioni di prodotti di base.

In un incontro nella città saudita di Gedda con il Segretario dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), Hissein Brahim Taha, il massimo diplomatico iraniano ha chiesto ai ministri degli Esteri dell'OCI di imporre "un embargo immediato e completo su Israele da parte dei Paesi islamici, comprese le sanzioni sul petrolio".

Amir-Abdollahian ha inoltre aggiunto che le sanzioni dovrebbero includere anche l’allontanamento degli ambasciatori israeliani.

Inoltre, il ministro iraniano ha chiesto l'istituzione di un team legale islamico per raccogliere le prove di eventuali crimini di guerra israeliani a Gaza.

Insomma, l’Iran è andato al cuore della questione. Un embargo energetico su Israele potrebbe avere effetti significativi e di vasta portata sul regime sionista. In primo luogo, Israele fa molto affidamento sulle importazioni di energia, in particolare di prodotti petroliferi, per soddisfare il proprio fabbisogno energetico interno. In caso di embargo, Israele si troverebbe ad affrontare una grave carenza di energia, che porterebbe a un’impennata dei prezzi e a interruzioni della fornitura. Questo avrebbe senza dubbio un impatto su più settori, compresa la macchina bellica.

Ergo, un embargo energetico potrebbe incidere profondamente anche sulla Difesa di Israele. L'energia svolge un ruolo vitale nel mantenimento delle capacità di difesa di una nazione, compresa la prontezza operativa delle forze armate. Una mancanza di risorse energetiche ostacolerebbe la capacità di Israele di gestire in modo efficace le proprie forze armate e le indebolirebbe.

La forte dipendenza di Tel Aviv dalle importazioni di energia rende il regime sionista vulnerabile alle interruzioni dell’offerta, quindi volendo incidere concretamente per fermare la mattanza israeliana a Gaza la Turchia dovrebbe sposare senza infingimenti la proposta dell’Iran.

Però abbiamo visto in precedenza quali sono gli elementi che frenano la Turchia da questo punto di vista.


Turchia e Stati Uniti

Un discorso simile potrebbe essere fatto riguardo gli Stati Uniti. Il rapporto della Turchia con gli Stati Uniti è senza dubbio complesso, e quindi sorge la domanda sul perché la Turchia non eserciti una pressione più forte su Washington.

La Turchia ha tradizionalmente perseguito un approccio di politica estera multilaterale, cercando di bilanciare le relazioni tra le varie potenze globali. Questo approccio è in parte dovuto alla posizione geografica del paese, situato tra Europa, Medio Oriente e Asia. Di conseguenza, la Turchia cerca di mantenere buone relazioni con altre potenze, come Russia, Cina e paesi europei, con l’intenzione di evitare un’aperta dipendenza da ogni singola nazione.

Inoltre anche se negli ultimi anni la Turchia si è avvicinata indubbiamente alle potenze emergenti, rimane ancora legata a livello economico e militare agli Stati Uniti. Ankara beneficia di aiuti militari statunitensi e di investimenti economici che contribuiscono alla crescita dell’economia turca. A tal proposito in un rapporto del gennaio di quest’anno il Dipartimento di Stato USA afferma che “sebbene il commercio complessivo tra Stati Uniti e Turchia sia passato da 10,8 miliardi di dollari nel 2009 a 21 miliardi nel 2020, rimane modesto rispetto al suo potenziale”.

Per questo, oltre alle parole infuocate, l’approccio della Turchia può essere definito come cauto e non viene esercitata completamente la massima pressione possibile sugli Stati Uniti. Il rapporto con Washington rimane complesso e sfaccettato, ma la Turchia di Erdogan vuole mantenere il sostegno e i benefici che ottiene dalla sua alleanza con gli Stati Uniti.

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