di Leonardo Sinigaglia
A Brazzaville, nella Repubblica del Congo, questo 5 febbraio si è svolto il vertice del comitato di alto livello dell’Unione Africana sul processo di pacificazione libico. Tra i partecipanti vi erano rappresentanti istituzionali di Algeria, Chad, Repubblica Centrafricana, Tunisia, Egitto e Mauritania, oltre che Mohamed al-Menfi, Presidente del Consiglio Presidenziale di Libia dal 2021 e di fatto capo di Stato dell’autorità di Tripoli. Un incontro completamente sbilanciato, segnato soprattutto dalle assenze.
Tra tutte, quella di Saif al-Islam Gheddafi, figlio del Colonnello e punto di riferimento per una parte maggioritaria e crescente del popolo libico. Scampato ai massacri del 2011 e alla successiva persecuzione, Saif al-Islam rappresenta sia il recupero dell’eredità storica della Giamahiria, sia la volontà di ricostruire un paese prospero e dallo sviluppo sostenuto.
Gli ultimi tredici anni di guerra non hanno portato unicamente morte e distruzione, ma hanno anche condannato il paese, un tempo tra i più avanzati del continente africano, a una profondissima crisi sociale ed economica, con il petrolio, al centro dell’economia rentier della Libia, ormai indirizzato unicamente al contrabbando e quindi al finanziamento delle varie milizie e signori della guerra che, da Tripoli a Tobruk, col supporto della NATO, della Turchia e degli Stati del Golfo si contendono il dominio sul paese. Il petrolio serve proprio come merce di scambio per ottenere armi e copertura internazionale, in modo che le varie bande armate possano anche garantirsi lo sfruttamento dei traffici organizzati di esseri umani che nella stampa occidentale continuano a essere descritti come naturali e salutari “flussi migratori”.
Davanti a una Libia distrutta e contesa come un pezzo di carne tra lupi affamati, i libici guardano a Saif al-Islam Gheddafi come unica soluzione.
Uomo forte e apprezzato dalle masse, solo lui sembra in grado di innalzare la bandiera dell’indipendenza del paese e della sua riunificazione, riducendo al silenzio chi continua a profittare della situazione mentre si riempie ipocritamente la bocca di frasi sulla “riconciliazione” agli incontri internazionali.
L’incontro di Brazzaville è stato disertato da Saif al-Islam e i suoi collaboratori, che pur avevano partecipato a quelli precedenti, per la manifesta malafede delle controparti libiche e per le numerose e malcelate ingerenze internazionali. In realtà, denuncia Saif al-Islam, nessuno è interessato alla riconciliazione, e, al di là delle parole, ciò è pienamente riscontrabile nei fatti: non è stato fatto nessun passo reale in questa direzione.
Le galere di Tripoli e di Misurata sono piene da sostenitori della Giamahiria che, da più di un decennio, sono incarcerati senza nessuna accusa precisa e senza nemmeno un definito orizzonte temporale alla propria “pena”. Veri e propri detenuti politici detenuti unicamente per il loro ruolo potenzialmente destabilizzante per le mire di Washington, Parigi, Istanbul e Abu Dhabi. Il rilascio di questi prigionieri, come la possibilità di ritorno alle proprie case per tanti sfollati “politici”, è una condizione necessaria per l’avvio di qualsiasi percorso di pace. Ma ciò non basta: è necessario che questo sia gestito direttamente dai libici. E’ stato l’intervento dell’Occidente a far sprofondare il paese nel caos, creando campi di battaglia e mercati di schiavi dove prima si avevano alti tassi di sviluppo umano, ed è chiaro che l’Occidente e i suoi alleati non possano prendere parte alla risoluzione di conflitto che non hanno nessun interesse a veder finire.
Queste sono le due condizioni che Saif al-Islam e la sua parte, maggioritaria nel paese, pongono per il loro ritorno ai tavoli di trattativa in occasione del prossimo incontro di Sirte, prefissato per il 28 aprile di quest’anno. Senza la presenza di Gheddafi qualsiasi discorso sarà puro esercizio retorico. La sua presenza è assolutamente necessaria per porre la parola fine alla guerra civile e iniziare la ricostruzione del paese, ma è allo stesso tempo indigeribile per le varie cosche che, con la copertura degli imperialisti, si contendono il paese. Una reale pacificazione porterebbe a elezioni che vedrebbero la schiacciante vittoria di Gheddafi, e la conseguente distruzione del potere delle bande armate e dei loro finanziatori. Una vero impasse da cui si uscirà solo quando il popolo libico getterà il suo peso per difendere il suo diritto a decidere liberamente il proprio destino.
Per noi italiani in tutto questo il dato dolorosamente più vicino è la totale assenza del nostro Stato, un tempo partner preferenziale della Libia ma ora totalmente incapace di intervenire a sostegno di un processo di pace che, sia in termini di spazi commerciali, sia al fine della lotta all’immigrazione di massa, a noi potrebbe portare solo che vantaggi. Completamente succubi della politica coloniale euro-atlantica, non ci resta che fare da spettatori alle mire predatorie della Francia, al traffico di esseri umani e al perpetuarsi del dominio di bande fondamentaliste, mentre ci si associa alla condanna occidentale all’unico uomo che potrebbe donare nuova stabilità, sicurezza e libertà al popolo libico: Saif al-Islam Gheddafi.
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