di Giacomo Gabellini
Giorni bui per l’Ucraina. Sul piano di sostegno collettivo da 106 miliardi di dollari predisposto lo scorso ottobre dall’amministrazione Biden, comprensivo di stanziamenti per 61,4 miliardi all’Ucraina, permane a tutt’oggi il veto del Congresso, nonostante gli avvertimenti formulati dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan. Secondo cui il mancato sblocco del programma di sostegno all’ucraina avrebbe prodotto «gravi conseguenze», in quanto «ogni settimana che passa, la nostra capacità di finanziare completamente ciò che riteniamo necessario per permettere all’Ucraina di difendere il suo territorio e fare progressi sul campo si riduce costantemente. Per noi, la finestra si sta chiudendo». La compagine “trumpiana” al Congresso è tuttavia rimasta sui suoi passi, in omaggio a un evidente calcolo pre-elettorale, ma anche nella convinzione che il governo non disponga di una vera strategia per l’Ucraina. Nonché per i crescenti timori che parte assai considerevole degli aiuti verrebbe risucchiata nel vortice della corruzione, come si evince – da ultimo – dall’incremento del numero dei milionari registrato in Ucraina dal 2022.
Lo scorso novembre, il generale Valerij Zalužnyj, allora capo di Stato Maggiore dell’esercito ucraino, aveva scritto un articolo sull’«Economist» arricchito da un’intervista rilasciata sempre alla nota rivista britannica. La sue esternazioni hanno con ogni probabilità concorso a portare i preesistenti dissidi con Zelens’kyj oltre la soglia critica, poiché dal quadro dipinto dal generale emergeva con chiarezza cristallina che la controffensiva avviata nella tarda primavera del 2023 dalle forze armate ucraine non aveva raggiunto alcuno degli obiettivi perseguiti dal governo di Kiev e dai suoi sponsor occidentali. Di lì a qualche mese, Zalužnyj è stato rimosso dall’incarico e nominato ambasciatore ucraino in Gran Bretagna; una “promozione” utile a tenerlo a distanza da Kiev.
Le valutazioni formulate dall’allora capo di Stato Maggiore ucraino all’«Economist» non si limitavano tuttavia a sottolineare gli aspetti critici e le vulnerabilità del suo Paese, ma rendevano noto che la situazione per l’Ucraina sarebbe precipitata qualora l’Ucraina non avesse ampliato la mobilitazione, sostituendo le logore forze impegnate in battaglia con nuovi soldati adeguatamente addestrati, e se la Nato non si fosse decisa ad incrementare le consegne di, armi, munizioni, carri armati, aerei, droni e altre tecnologie, giudicate necessarie per reggere l’urto russo.
La sospensione del flusso di armi, munizioni e finanziamenti statunitensi rappresenta quindi un evento potenzialmente catastrofico, perché apre una voragine assolutamente non colmabile attraverso il programma di sostegno da 50 miliardi di euro approvato dall’Unione Europea – destinati in larga parte per garantire il funzionamento dello Stato ucraino – e gli accordi di sicurezza bilaterali firmati da Kiev con i governi francese, inglese, tedesco e italiano. Lo si evince dal fatto che gli Stati Uniti hanno finora riscontrato un successo di gran lunga maggiore rispetto all’Europa in termini di incremento di produzione bellica, che entro il 2024 dovrebbe raggiungere i 500.000 proiettili d’artiglieria. Per il “vecchio continente”, viceversa, il traguardo originariamente fissato, corrispondente alla fabbricazione di un milione di proiettili all’anno, si è rivelato un miraggio, a causa di insormontabili problemi strutturali quali costi energetici alle stelle, penuria di manodopera qualificata e processo decisionale farraginoso che disincentiva i produttori a sostenere corposi investimenti di medio termine. Un recente studio condotto da due specialisti tedeschi è giunto alla conclusione che, nello scenario più ottimistico, la produzione combinata di Europa e Stati Uniti potrebbe assicurare a Kiev circa 1,3 milioni di proiettili all’anno. Una fornitura sufficiente a porre l’Ucraina nelle condizioni di sostenere una guerra a intensità moderata (3.600 proiettili al giorno), ma del tutto inadeguata al tipo di conflitto che il Paese è chiamato a sostenere. Nel marzo dello scorso anno, l’allora ministro della Difesa ucraino Oleksij Reznikov rese noto che l’Ucraina necessitava di 12.000 proiettili al giorno per «eseguire con successo i compiti sul campo di battaglia». Su scala annua, si parla di più di 4,2 milioni di proiettili d’artiglieria. Una stima più moderata, formulata dal Ministero della Difesa estone, quantifica il fabbisogno mensile ucraino in 200.000 proiettili (circa 6.600 al giorno). Entrambe le valutazioni risultano enormemente più elevate rispetto agli obiettivi di produzione fissati dalla Nato, che anche nel caso – tutt’altro che scontato – venissero conseguiti renderebbero particolarmente complesso per l’Ucraina accantonare arsenali adeguati a sostenere operazioni offensive ad alta intensità.
Per Zelens’kyj, il sostegno euro-statunitense rappresenta in ogni caso un requisito fondamentale per la messa a punto della cosiddetta “difesa attiva”, consistente anzitutto nel «rallentare ogni ulteriore progressione del nemico, e quindi […] [la costruzione di, nda] una sorta di “linea Zelens’kyj” in risposta alla “linea Surovikin” realizzata dai russi a protezione del sud occupato e della Crimea. Si tratta di un sistema di fortificazioni su più linee e barriere, scandite da campi minati estesi e fronti di denti di drago e altri ostacoli per carri armati e mezzi meccanizzati, supportati dalla potenza di fuoco dell’artiglieria missilistica e dallo scudo di aerei e di droni». Senonché, stando a quanto rivelato dalla «Cnn», le fortificazioni promesse dal governo di Kiev non sono state realizzate – quantomeno – per intero. Quanto alla mobilitazione, indicata da Zalužnyj come precondizione irrinunciabile, la situazione non sembra affatto migliore. Sebbene il disegno di legge inteso ad arruolare ulteriori 500.000 ucraini sia stato approvato in prima lettura dalla Verkhovna Rada, quasi 3,5 milioni di ucraini che si trovano all’interno del Paese si nascondono alle autorità per evitare l’arruolamento; persone «di cui lo Stato conosce soltanto il numero di identificazione. Non sono all’estero, non fanno parte delle forze armate ucraine, non sono disabili, non studiano e non lavorano». Lo aveva rivelato settimane prima dell’approvazione del provvedimento Dmitrij Natalukha, presidente della commissione per lo sviluppo economico della Verkhovna Rada e membro di spicco del partito Servitore del Popolo. Il quale aveva anche evidenziato che, nel caso in cui la legge sulla mobilitazione fosse entrata in vigore, «una parte ancor più significativa della popolazione taglierà qualsiasi legame con lo Stato pur di non essere identificata, trovata e costretta alla leva». Le ripercussioni negative sullo sforzo bellico, sulla logistica e sull’economia interna sono agevolmente immaginabili.
L’Ucraina versa in altri termini in una situazione decisamente precaria, che rende particolarmente “ingenerose” le posizioni critiche assunte da Washington. Come riporta il «New York Times», «a più di due anni dall’inizio della loro alleanza in tempo di guerra, il legame tra Stati Uniti e Ucraina mostra segni di usura, lasciando il posto alla frustrazione reciproca e alla sensazione che la relazione potrebbe bloccarsi in un momento di stallo […]. Per il Pentagono, l’esasperazione si riduce a un unico problema ricorrente: gli strateghi militari americani […] ritengono che l’Ucraina debba concentrare le proprie forze su un grande combattimento alla volta. Il presidente Volodymyr Zelensky, che ha promesso di cacciare la Russia da ogni centimetro dell’Ucraina, spende invece le sue forze in battaglie per città che secondo i funzionari statunitensi non hanno valore strategico. L’esempio più recente riguarda la battaglia per la città orientale di Avdiivka […], caduta in mano alla Russia il mese scorso […]. Da parte sua, l’Ucraina è sempre più scoraggiata dal fatto che la paralisi politica americana ha prodotto una carenza di munizioni per le truppe al fronte. Ogni giorno passa senza nuove scorte di munizioni e artiglieria e gli equipaggi ucraini razionano i proiettili di cui dispongono, il morale ne risente».
Anche perché, mentre i problemi dell’Ucraina si approfondiscono, la Russia continua a portare avanti il suo processo di rafforzamento. Alcune stime occidentali sostengono che la produzione di proiettili d’artiglieria da parte dell’industria militare russa sia passata dai 2 milioni di unità nel 2022 si sia passati ai 3,5 milioni nel 2023, con un orizzonte di 4,5 milioni entro il 2024. Se nel computo si includono le colossali forniture assicurate dalla Corea del Nord (si parla di tre milioni di proiettili, con ulteriori forniture in arrivo), ne consegue che la Russia potrebbe agevolmente arrivare a esplodere 12.000 proiettili d’artiglieria al giorno senza intaccare significativamente le scorte. Anche nel caso in cui l’incremento della produzione messo in cantiere dalla Nato dovesse essere raggiunto, la Russia godrebbe comunque di un vantaggio schiacciante (da 3:1 a 5:1), che va a sommarsi al netto aumento della produzione – riconosciuto dall’Occidente – di sistemi d’arma come missili da crociera, droni Shahed e Lancet, bombe plananti sempre più performanti. Secondo uno studio realizzato dal Royal United Services Institute britannico, il complesso militar-industriale russo è nelle condizioni di sfornare 1.500 carri armati e 3.000 veicoli blindati all’anno, oltre che di rimpinguare le scorte di missili Iskander e Kalibr. L’intelligence estone, per di più, ha stimato che la Russia sia in grado di addestrare, equipaggiare e schierare circa 130.000 soldati aggiuntivi per semestre. Risultato: la Russia si trova nelle condizioni di procedere con rotazioni regolari delle truppe, mentre l’Ucraina, sempre più a corto di personale, mantiene le forze a disposizione in prima linea a causa della mancanza di rimpiazzi.
La “palestra” ucraina ha inoltre assicurato a soldati e ufficiali russi l’opportunità di affinare e sviluppare le proprie capacità di combattimento, come confidato a «Strana» da un graduato di alto livello delle forze armate ucraine secondo cui «i russi hanno imparato a isolare il campo di battaglia. Cioè, a distruggere la nostra logistica. Di conseguenza, le nostre unità in prima linea non hanno ricevuto la quantità necessaria di rinforzi e munizioni. E gradualmente le forze si sono esaurite, si sono formati dei buchi nei quali è penetrato il nemico». Allo stesso tempo, «i russi hanno imparato a colpire rapidamente subito dopo aver individuato un obiettivo. Solo un anno fa non era così. In generale, le loro tattiche e l’intero sistema di gestione della battaglia sono cambiati molto […]. Riescono a individuare i nostri punti deboli, che prendono di mira con unità d’assalto che sfondano le difese. Si registrano continui attacchi diversivi, che mettono a dura prova le nostre riserve. Utilizzano tunnel. Ci attaccano alle spalle e distruggono la logistica. Vediamo anche un miglioramento significativo nel coordinamento e nella comunicazione […] .Ora prendono le decisioni molto più rapidamente e sparano con maggiore precisione. Usando queste tattiche, le loro perdite sono state inferiori a quelle registrate a Bakhmut». Battaglia in cui, sottolinea l’ufficiale ucraino, Prigožin «non si preoccupava delle vittime: si stava creando un profilo politico».
Non stupisce pertanto che, osserva un acutissimo analista militare, «la Russia sta avanzando lentamente su quasi tutti gli assi del teatro […]. Il 2022 è stato un anno di grandi balzi, con la Russia che ha rapidamente conquistato il “ponte di terra” e il Luhans’k nella sua campagna di manovra iniziale, a cui ha fatto seguito l’iniziativa ucraina che ha sfruttato al meglio l’inadeguata generazione di forza russa con il suo audace contrattacco verso l’Oskil. Ma il 2023 è stato diverso – l’Ucraina ha avuto una significativa finestra di opportunità, in quanto dotata di equipaggiamento, addestramento e assistenza alla pianificazione occidentali, mentre la mobilitazione della Russia si metteva lentamente in moto. Quella finestra strategica non ha fruttato nulla. Al contrario, l’Ucraina ha bruciato risorse preziose difendendo Bakhmut e poi è andata inutilmente a sbattere contro una linea russa ben formata e ben difesa nel sud. Ora la finestra si è chiusa e la generazione di forza russa sta inesorabilmente aumentando, minacciando di “annegare” l’Ucraina».
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