di Alessandra Ciattini*
No, il colonialismo non è mai finito, sorto dall’Europa che intendeva espandersi per ampliare i suoi commerci dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453), che rendevano difficile lo scambio commerciale con l’Oriente e l’Estremo Oriente, esso si riproduce costantemente. Per di più le navi turche infestavano il Mediterraneo (insieme a quelle degli arabi e degli ebrei) a caccia di bottino e schiavi, ampiamente ripagate dai loro vicini europei, in particolare dai velieri della Repubblica di Genova e da quelli della Repubblica di Venezia, che si rifornivano soprattutto dai Balcani (schiavo viene da slavus, che sostituisce il latino servus).
Già dopo la prima guerra mondiale, il colonialismo entra in contraddizione con il principio di autodeterminazione dei popoli e, pertanto, il governo diretto delle colonie deve essere abbandonato, pur lasciando intatte le leve del potere materiale: totale gestione delle risorse, rimpatrio dei profitti, occidentalizzazione dei leader autoctoni, uccisione dei ribelli etc. Insomma entra in vigore la dottrina descritta da J. Perkins ne’ Confessioni di un sicario dell’economia (2004) e si consolida il sottosviluppo a vantaggio della metropoli. Si afferma così il cosiddetto neocolonialismo che riprende vita e forza dopo la fine della Unione Sovietica, la cui esistenza garantiva un limitato equilibrio internazionale.
Per quanto riguarda la Francia, essa è riuscita a mantenere parte del suo dominio coloniale in varie forme: sotto la forma dei Dipartimenti, delle Regioni e delle Collettività d’Oltre mare, situati nelle Antille, in Sudamerica, nel Pacifico, nella regione australe e antartica etc. La Nuova Caledonia, nome che le venne dato da James Cook nel XVIII sec., perché gli ricordava certe zone della Scozia, costituisce una Collettività d’Oltre mare e le NU la considerano ancora oggi un territorio non autonomo. Per qualche tempo questa terra sconosciuta (Kanaky nella lingua autoctona) è venuta alla ribalta per poi scomparire offuscata dagli avvenimenti che ci sono tragicamente più vicini. Essa è popolata dai discendenti dei melanesiani, dai discendenti dei francesi ivi stabilitisi nel tempo, da gruppi di polinesiani e di indonesiani. Ha circa 250.000 abitanti, un piccolo territorio ricco di nichel che esporta ed è situato in una posizione strategica nell’Indo-Pacifico.
Uno su cinque degli appartenenti al popolo originario vive sotto la soglia di povertà e il costo della vita nell’arcipelago è più alto che in Francia per i prezzi imposti dalle multinazionali. In definitiva non si è realizzata quella promessa riduzione della disuguaglianza, che avrebbe dovuto concretarsi tra il 1998 e il 2009, dato che il reddito medio di una famiglia canaca è due volte inferiore a quello di una famiglia caldoche (francesi immigrati), e che solo il 4% dei giovani canachi con meno di 25 anni ha fatto studi superiori. Quello che vige in quelle isole lontane da noi è l’ordine coloniale fondato sulla “gerarchizzazione delle razze”, nonostante il pieno funzionamento della “democrazia reale”.
Abbiamo saputo che ci sono state manifestazioni di protesta nelle città più grandi, come Noumea, che è la capitale, situata nell’isola detta la Grande Terra, chiamata Caillou dagli abitanti, e ci sono stati anche dei morti negli scontri tra gli indipendentisti e la polizia armata di tutto punto. Sembra essere una ripresa delle lotte autonomiste degli anni ’80 e degli anni successivi, le prime guidate dal socialista canaco Alphonse Dianou e represse con la violenza e con il massacro dei sostenitori dell’autodeterminazione. Tristemente nota è l’uccisione di 19 indipendentisti a Ouvea, avvenuta nel 1988 quando Jacques Chirac era primo ministro. Quali sono le ragioni di questi ultimi eventi esplosi il passato 13 maggio? (https://www.20minutes.fr/societe/4094001-20240603-crise-nouvelle-caledonie-peut-assister-printemps-decolonial-outre-mer).
La Nuova Caledonia fu a lungo contesa da britannici e francesi, ma nel 1853 questi ultimi ebbero la meglio e se ne impadronirono, trasformandola in colonia penale dal 1864 ed usandola anche per deportare i comunardi, tra cui Louise Michel, scampati alla “settimana sanguinosa”. Attualmente la Nuova Caledonia presenta un panorama etnico complesso, che vede i canachi in minoranza (44%) rispetto ai caldoches, francesi o discendenti dai francesi, ben piazzati dal punto di vista economico e sociale.
Per mantenere saldo il dominio su queste terre e su quelle ancora sottomesse, ma che potrebbero improvvisamente risvegliarsi, Macron e il suo governo, che ha approfittato della tregua delle Olimpiadi per mantenere la situazione politica bloccata, ha previsto una riforma che amplia il corpo elettorale per le votazioni all’Assemblea nazionale, al Congresso della Nuova Caledonia e alle assemblee provinciali (il cosiddetto scongelamento), dando così maggiore spazio ai francesi che hanno ruoli dirigenti e che si sono stabiliti nell’arcipelago dal 1998, violando i precedenti accordi.
Gli accordi di Noumea del 1998 (https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000000555817) prevedevano che potessero votare ai referendum di autodeterminazione e alle elezioni provinciali solo quegli elettori, già iscritti nelle liste elettorali per il referendum di approvazione di queste decisioni e i loro figli. Oppure bisognava dimostrare di essere residenti in quelle isole dal 1988. Ovviamente non si teneva conto del fatto che già a quel tempo e negli anni successivi migliaia di canachi non erano iscritti nelle liste elettorali. Comunque, da quel momento sono stati celebrati tre referendum, boicottati dagli indipendentisti (CUNI, Partito del lavoro, UC-FL etc.), che con grande gioia della metropoli hanno ribadito l’appartenenza alla Francia dell’ex colonia penale. L’ultimo, celebrato nel dicembre del 2021, durante la pandemia, ha visto la partecipazione del 43,87% degli elettori e quindi non dovrebbe essere considerato valido. Dunque, con questa nuova norma il corpo elettorale si è allargato di circa 25.000 componenti, scongelando il numero dei votanti a partire del 1998, indebolendo così il peso politico già lieve della comunità canaca, cui gli accordi di Noumea avevano fatto promesse di riconoscimento e di rafforzamento.
La risposta alle proteste di quest’anno è stata la decisione di “ristabilire l’ordine repubblicano” con la dichiarazione dello stato di emergenza e del coprifuoco, l’impiego di unità speciali della polizia, usate anche nelle periferie parigine, l’arresto e la deportazione dei capi dei giovani manifestanti diretti dalla Cellule de coordination des actions de terrain (CCAT) (https://www.revolutionpermanente.fr/L-ordre-sera-retabli-quoiqu-il-en-coute-un-week-end-de-repression-coloniale-en-Kanaky). Christian Tein, dirigente di questo gruppo politico, è stato arrestato e si trova in isolamento nel centro penitenziario di Mulhouse-Lutterbach, a 17 000 chilometri dal suo paese natale. In altre prigioni francesi (Digione, Mulhouse, Bourges, Blois, Never, Villefranche e Riom) sono stati rinchiusi alcuni suoi compagni dopo il 22 di giugno. La CCAT è considerata il braccio armato del Fronte di liberazione canaco e socialista.
Benché si sia ristabilita una calma apparente, la popolazione canaca è sempre in fermento ed ogni 13 del mese celebra con cortei l’inizio delle proteste. Del resto, ha ragioni da vendere per essere insoddisfatta: crisi economica, riduzione del PIL, la proroga del coprifuoco, disoccupazione, proibizione dell’uso di Tik Tok, emigrazione di circa 6.000 lavoratori al giorno e il futuro non sembra offrire niente di meglio.
Tutto ciò è assai preoccupante per l’élite francese, perché gli altri territori d’Oltre mare si trovano in condizioni analoghe, in particolare le Antille francesi, soprattutto Guadalupa, hanno dato vita più volte a forti mobilitazioni, con le quali nel 2021, per esempio, la popolazione ha espresso il proprio malcontento per l’imposizione del certificato vaccinale o green pass. Invece, in Martinica la gente è scesa in strada contro l’arresto di un attivista. Certamente la storia dei vari territori è diversa, ma l’idea di un contagio anticoloniale non sembrerebbe da escludersi e sarebbe fortemente temibile, se si pensa a ciò che è accaduto e sta accadendo nella cosiddetta Africa francese.
D’altra parte, nell’ottobre del 2023 anche il presidente indipendentista della Polinesia francese Moetai Brotherson, intervenuto nei lavori della Commissione per la decolonizzazione dell’Assemblea dell’ONU, aveva dichiarato che era giunto il tempo di iniziare “un dialogo franco e onesto” con la potenza amministrativa (la Francia) per avviare rapidamente il processo per l’autodeterminazione, assicurando che non intendeva stabilire relazioni conflittuali, ma rapporti tra pari. E in effetti alcuni gruppi indipendentisti delle varie ex colonie francesi sono per il dialogo e per istituire un regime di associazione con lo Stato francese simile a quello in vigore nel Commonwealth of the Nation tra 56 paesi, prima integrati nell’Impero britannico, e il Regno Unito a partire dal 1948. La Polinesia francese è costituita da cinque arcipelaghi situati nel Pacifico orientale, ha una popolazione di circa 300.000 abitanti ed è stata usata dal governo francese dal 1966 al 1974 per effettuare nucleari, sulle cui conseguenze si tace.
In questo momento, come è noto Macron deve fronteggiare vari problemi: potrà continuare a procrastinare la nomina del primo ministro del nuovo governo? Cosa inventerà per costituire un’ampia coalizione governativa che escluda sia la destra (Rassemblement National di Marine Le Pen) che la sinistra (LFI di Mélenchon)? Nonostante Lucie Castets, indicata dal NFP, si sia dichiarata disposta a mediazioni e compromessi, non sembra esser gradita al presidente e, pertanto, la sua candidatura sembra ormai accantonata, benché sia stata proposta dalla forza politica che ha ottenuto la maggioranza relativa alle ultime elezioni. Si parla addirittura di un nuovo scioglimento dell’Assemblea nazionale nel 2025, che ridurrebbe la già scarsa credibilità di Macron, il quale si è distinto per il suo atteggiamento ostile verso la Russia, mentre sottobanco la Francia preferisce comprare il GNL russo a miglior prezzo rispetto quello statunitense. D’altra parte, anche l’Europa fa la stessa cosa (https://www.analisidifesa.it/2024/08/allucraina-108-miliardi-dalla-ue-che-continua-a-comprare-gas-russo/).
Secondo quanto riportano alcuni quotidiani francesi, sembrerebbe che finalmente Macron starebbe per fare la sua scelta tra alcuni nomi, tra i quali spunta quello dell’ex socialista Bernard Cazeneuve, primo ministro per pochi mesi nel 2017, presentato come uomo di sinistra e sostenuto da François Holland. Purtroppo per la comunità canaca, questi insieme al Partito socialista, ha condannato le rivolte e ha sostenuto con forza il ripristino dell’ordine repubblicano, rinviando la soluzione dei problemi a un ipotetico e lontano dialogo.
* Alessandra Ciattini, già docente di Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. Autrice da ultimo "Sul filo rosso del tempo" (Multimage)
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