"La Guardia Costiera libica ha detto di aver intercettato una barca con 158 persone fornendo assistenza medica e umanitaria ma non hanno detto che hanno lasciato due donne e un bambino a bordo e hanno fatto affondare la barca perché non volevano salire sulle motovedette". Lo scrive su Twitter Oscar Camps, fondatore della Ong “Open Arms”, che sempre su Twitter, mostra alcune foto del recupero in mare di due salme (una donna e un bambino) e di una donna – la camerunese Josephine - ancora viva dopo 30 ore in acqua la cui testimonianza, raccolta dagli attivisti di Open Arms avrebbe permesso di ricostruire l’accaduto. E cioè che la Guardia costiera libica, verosimilmente per “punire” le due donne (e con loro il bambino) che rifiutavano di salire a bordo delle motovedette che avrebbero riportato tutti in Libia, avrebbe rotto la barca sulla quale restavano, condannandole così, insieme al bambino, a morire in mare.
Il Ministero dell’interno italiano, additato sui social come il mandante dei “killer libici” ha già etichettato questa versione come Fake e ne preannuncia le prove. Intanto sui social non pochi si stanno domandando perché mai, su 158 naufraghi, solo due donne si sarebbero rifiutate di rientrare in Libia e perché mai la Guardia costiera libica non le abbia trascinate a forza sulle motovedette ma abbia addirittura distrutto la loro imbarcazione trasformando così i 158 naufraghi salvati in testimoni di un crimine.
Francesco Santoianni
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