Fidel Castro: 90 anni vissuti pericolosamente

Marinella Correggia e Stefania Russo per Confronti

Cuba e il mondo hanno perso Fidel Castro il 25 novembre 2016, a sessant’anni esatti dalla partenza dell’imbarcazione Granma che lasciava il Golfo del Messico per portare nell’isola caraibica, fra mille pericoli, un gruppo di 82 uomini che si sarebbero moltiplicati e avrebbero combattuto fino al trionfo della Rivoluzione.

Tra il popolo cubano e Fidel esisteva un’intesa perfetta, per l’Occidente difficile da intendere e inquadrare, che ha portato alla realizzazione di una esperienza rivoluzionaria, di resistenza e resilienza, unica nel suo genere. Fidel Castro è inseparabile dalla storia di Cuba e viceversa. Le idee e i fatti di quella storia lunga (finora) 57 anni riguardano il mondo: guidata dal comandante Fidel, quell’isoletta non ha offerto solo un esempio di pratiche rivoluzionarie ma ha agito a livello internazionale con la forza di una grande potenza, sin dall’inizio e spesso sola. Nemmeno le ristrettezze assolute del periodo especial degli anni Novanta riuscirono a far ripiegare all’interno lo sguardo della rivoluzione. Che si occupava dei diritti dei cubani quanto dei «diritti dell’umanità», secondo l’espressione usata da Fidel Castro durante il discorso che tenne davanti all’Assemblea Generale dell’Onu nel 1979.


LE «CAUSE PIÙ BELLE»: DALLA DECOLONIZZAZIONE DELL’AFRICA ALLE MISSIONI MEDICHE

Quando nel 1962 Nelson Mandela fu condannato all’ergastolo e rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Robben Island, l’Occidente ancora non si curava di lui né delle aberrazioni dell’apartheid, che anzi appoggiava.

Nel ’75 Agostinho Neto, l’allora presidente del Movimento popolare per la liberazione dell’Angola, di fronte al rapido avanzare delle truppe occupanti del Sudafrica supportate dagli Usa, lanciò un’angosciante richiesta di aiuto. Solo Cuba decise di raccoglierla, sostenendo così i movimenti di liberazione dell’Africa, la lotta contro il colonialismo e l’apartheid, che Fidel chiamò «la causa più bella».

«Io mi trovavo in carcere quando per la prima volta venni a sapere del massiccio aiuto che le forze internazionaliste cubane stavano offrendo al popolo angolano», ha ricordato Nelson Mandela. «In Africa siamo abituati ad essere vittime di altri paesi che vogliono strapparci il nostro territorio o sovvertire la nostra sovranità. In tutta la storia dell’Africa è l’unica volta che un popolo di un altro continente si è levato in nostra difesa».

La decisione fu presa all’insaputa dell’allora Unione Sovietica, come confermò lo stesso Kissinger nelle sue memorie, «Fidel Castro era probabilmente il più spontaneo leader rivoluzionario al potere in quel periodo».


La decisione di Fidel di combattere al fianco degli angolani e poi anche dei namibiani fino alla grande vittoria nel 1988 a Cuito Cuanavale, significò la sconfitta dell’apartheid e del dominio bianco sui popoli dell’Africa australe. L’Angola e la Namibia erano libere, la Rodhesia cessò di esistere e nacque lo Zimbabwe. Di lì a pochi anni Mandela sarebbe stato liberato e osannato da tutti, il regime dell’apartheid sarebbe finalmente caduto.

Come dichiarò Nelson Mandela all’Avana nel 1991: «Cuito Cuanavale segna la svolta nella lotta per liberare il continente e il nostro Paese dal flagello dell’apartheid [...]. Quale altro Paese può esibire un episodio di maggiore disinteresse di quello che Cuba ha dimostrato nei suoi rapporti con l’Africa?».

La solidarietà cubana con i paesi africani, latinoamericani e asiatici non si ferma con il loro accesso all’indipendenza. Cuba, che da sempre investe (privilegiandole) in salute e istruzione, ha spedito medici e insegnanti in tutte le emergenze del mondo; fino a pochi anni fa gratuitamente, prima che con l’Alba (Alleanza bolivariana per la nostra America), creata da Fidel Castro e Hugo Chávez nel 2004, paesi solidali iniziassero a scambiare medici contro petrolio.


FIDEL, IL DEBITO ESTERO, IL DISARMO

«I debiti dei paesi in via di sviluppo sono insopportabili e non hanno soluzione. Devono essere cancellati» Il 12 ottobre 1979 il presidente Fidel Castro pronunciava queste parole (le più applaudite del suo discorso) davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lanciando al mondo la sfida della cancellazione del debito estero. Fu così che Cuba, sotto la guida di Fidel, condusse una campagna internazionale contro il debito estero che portò a una maggiore consapevolezza dei paesi del Sud sulla vera natura del debito e sul meccanismo perverso degli interessi sul debito.

Fidel Castro illustrava l’impossibilità economica, politica e morale per i popoli del Sud del mondo di pagare il debito estero e gli interessi: «Quando si dice: è una impossibilità politica, è perché bisognerebbe uccidere la gente per obbligarla ai sacrifici che richiede il pagamento di questo debito. E quando diciamo che è una impossibilità morale è perché si tratta di un furto, ci hanno saccheggiato per cinque secoli». Nel 1987, al Vertice dell’Organizzazione per l’Unità africana ad Addis Abeba, il presidente rivoluzionario del Burkina Faso, Thomas Sankara, (che di lì a pochi mesi sarebbe stato ucciso), nel celebre discorso sul debito rilancia la soluzione proposta da Fidel Castro.


Fidel si chiedeva se il mondo ha le risorse per affrontare con successo un intervento chirurgico così delicato e necessario che asporti il cancro del debito. «Sì, ci sono, ma come vengono spese? Per preparare la morte delle persone, vengono destinate alla guerra, alla corsa agli armamenti, alle spese militari. Un milione di milioni di dollari! In un solo anno, il mondo sciupa nel gioco della guerra e delle spese militari un milione di milioni di dollari, più di tutto il debito estero del Terzo Mondo. Il 12% delle spese militari, al massimo, dovrebbe bastare». Così Fidel collega alla tematica del disarmo e della pace la soluzione politica, economica e morale che salderebbe il debito estero dei Paesi del Sud con le potenze egemoni, e il debito storico che le potenze del mondo hanno nei confronti dei popoli che hanno oppresso e colonizzato.


DAL 1991 CONTRO OGNI GUERRA

Dall’inizio degli anni ’90 Cuba, isola nella corrente di una gravissima crisi economica all’indomani della caduta dell’Unione Sovietica e dell’acuirsi del feroce bloqueo extraterritoriale statunitense, non rinuncia ad agire nel mondo.

Novembre 1990, Iraq. Cuba, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu quell’anno, è l’unica insieme allo Yemen a votare contro l’autorizzazione alla guerra contro l’Iraq. Nel 1999, mentre la Nato bombarda la Serbia, Fidel sul quotidiano cubano Granma invita gli jugoslavi a resistere: lo ricorda anni dopo nel suo articolo “Le guerre illegali dell’impero”, parlan-do di un «unipolarismo oltraggioso, sostenuto da un impero guerrafondaio, che si erge a polizia mondiale».

Nel 2001, post Torri gemelle, Cuba dichiara fermamente la propria opposizione tanto al terrorismo quanto alla guerra scatenata dagli Usa in Afghanistan.

Nel 2003, alla vigilia della nuova guerra annunciata all’Iraq, quasi tutti gli ambasciatori, anche quelli dei paesi contrari alla guerra di Bush, partono precipitosamente. Quello di Cuba rimane, sotto le bombe.

Marzo 2011, Libia. Fidel Castro chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale per la Libia avanzata da Hugo Chávez, appoggiata dai paesi dell’Alba e che eviterebbe le bombe della Nato.

«Le sue possibilità di successo saranno maggiori se il presidente bolivariano otterrà l’appoggio di un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo».

Cuba, insieme a pochi altri paesi, si è sempre opposta ai tentativi di spacciare per umanitaria l’ingerenza Nato e petromonarchica in Siria; una posizione ribadita da Fidel nelle sue Reflexiones.


LA DISTRIBUZIONE DELLE RICCHEZZE E LA RIVOLUZIONE ECOLOGICA

Come quasi nessun altro leader politico al mondo, il comandante è riuscito costantemente, nei decenni, nel pensiero come nell’azione, a perseguire la sostenibilità ecologica nella giustizia distributiva e nella lotta alla miseria; ovviamente con il presupposto della pace. Un tema che gli è caro, e sul quale tornerà anche una volta ritiratosi dalla vita politica istituzionale. Nel 2011 scrive nelle sue Reflexiones: «I raccolti di frumento, soia, mais, riso e diversi altri cereali e leguminose, la base alimentare del mondo [...], sono colpiti gravemente dai cambiamenti climatici, con problemi gravissimi. [...] Tuttavia, non tutto è perduto. [...] Se i milioni di tonnellate di soia e mais che si vorrebbero investire nella produzione di agrocarburanti saranno invece destinati a produrre alimenti, gli inusitati aumenti dei prezzi delle derrate rallenterebbero».

Sul tema fondamentale del modello di produzione e consumo, a partire dall’energia, Cuba riesce, negli anni ’90, a fare della crisi una virtù, innovando con pochi mezzi e sviluppando energie e tecnologie alternative e amiche del clima. Una rivoluzione energetica, agricola, ambientale che fa di Cuba il primo caso di esperimento su come si potrebbe uscire dalla (in)civiltà dei combustibili fossili. L’ispiratore e la guida in questo cammino non ancora compiuto è stato certo Fidel Castro. Nel 1992, alla Conferenza Onu di Rio de Janeiro, è il primo a parlare seriamente della Spada di Damocle climatica. Sempre incoraggiando a un’azione (ancora) possibile.

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