Libia: il dramma dimenticato

di Mara Carro

Oltre all’anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle del 2001, dallo scorso anno l’11 settembre è legato alla morte di quattro funzionari statunitensi a Bengasi, tra i quali l’ambasciatore in Libia, Christopher Stevens. Il primo anniversario della morte dell’ambasciatore è stato segnato dall’esplosione di un’autobomba nei pressi del Ministero degli Esteri libico a Bengasi che ha danneggiato l’edificio del Ministero e la sede della Banca Centrale senza causare vittime. L’esplosione è l’ultimo di una serie di episodi che ha provocato il forte deterioramento delle condizioni di sicurezza in tutto il Paese, principalmente nella regione orientale.
Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sull’evoluzione della crisi siriana, la Libia non è ancora riuscita a darsi un assetto definitivo, soprattutto a livello politico e istituzionale, e si sta logorando sotto il peso di numerose tensioni.
La debolezza dell'esecutivo di Zeidan. Il governo del primo ministro Ali Zeidan è debole e incapace di imporre la sua autorità su un territorio sempre più sotto il controllo di gruppi armati che restano un ostacolo alla stabilità. Spesso in lotta tra di loro, i miliziani si sono rivelati in grado di condizionare il processo politico attraverso il ricorso all’intimidazione come nel caso dell’approvazione della legge 41 sull’Isolamento politico. La mancata attuazione della legge che avrebbe dovuto escludere dagli uffici pubblici chiunque avesse ricoperto incarichi durante la dittatura Gheddafi ha evidenziato i limiti di un’istituzione come il Congresso Generale Nazionale Libico, assemblea legislativa del paese, nata senza una chiara definizione delle sue funzioni e composta da membri privi di esperienza legislativa.

Il collasso economico del paese. Sul fronte economico, la mancanza di un forte governo centrale in grado di garantire stabilità e sicurezza fa sì che le imprese straniere siano riluttanti a investire con immediati riflessi sull’occupazione e la fiducia della popolazione nel governo. A dubitare della capacità delle istituzioni di Tripoli di tutelare efficacemente i propri interessi sono principalmente le comunità della Cirenaica e del Fezzan, con la prima da sempre portatrice di forte spinte federaliste.
Sul fronte della sicurezza invece, i fallimenti del governo libico consentono ai gruppi jihadisti un maggiore libertà di azione con rischi per la Libia stessa (l’attacco al consolato di Bengasi) e per i paesi limitrofi (la crisi degli ostaggi di In Amenas).
E la produzione di petrolio? Oltre ai debilitanti problemi politici e di sicurezza, il paese soffre di una perturbazione acuta della produzione e dell’esportazione di petrolio che sta mettendo a rischio l'economia nazionale e riducendo le scorte mondiali di greggio in un momento di estrema tensione in Medio Oriente.
Nel mese di agosto, la Libia ha esportato in media 160 mila barili di greggio al giorno a fronte di una potenzialità produttiva massima di 2,3 milioni di barili. La crisi è iniziata il mese scorso quando alcuni gruppi armati hanno sequestrato i principali terminali petroliferi nella parte orientale del paese. La protesta si è poi estesa ai terminal della regione occidentale dove è stata portata avanti dalle guardie poste a protezione dei diversi giacimenti di petrolio e degli oleodotti.
A causa delle proteste che hanno provocato il blocco dei terminali, la National Oil Corporation, Noc, la compagnia petrolifera nazionale, ha deciso di dichiarare lo stato di forza maggiore nei siti interessati dalle manifestazioni. La Marina libica ha vietato il passaggio di qualsiasi nave cisterna senza contratto Noc e il primo ministro Zeidan ha minacciato di "bombardare dall'aria e dal mare" qualsiasi petroliera scoperta a esportare il greggio illecitamente sottratto dalle guardie dei terminali assediati. Le rivendicazioni dei manifestanti sono di diversa natura. Dalla richiesta di più alti salari per le guardie poste a protezione dei terminal, alle accuse di corruzione alle autorità di Tripoli alle rivendicazioni autonomistiche delle forze operanti in Cirenaica, la ricca regione petrolifera del paese e culla della rivolta contro Gheddafi.
Nonostante le minacce di ricorso alla forza militare per riconquistare i porti petroliferi, il governo di Tripoli non è ancora stato in grado di fornire alcuna risposta causando una perdita, stimata dalla Noc, di 5 miliardi di dollari di fatturato per le casse statali.

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