"L'integrazione europea: io non ci credo più". Gianni Vattimo

di Alessandro Bianchi
(con la preziosa collaborazione di Fabrizio Neironi)

Gianni Vattimo. Filosofo post-modernista e teorico del pensiero debole. Attualmente Eurodeputato per l'Italia dei Valori. Autore di La fine della modernità
- Professore, come uno dei teorici di riferimento del post-modernismo ha postulato la dissoluzione delle pretese universalistiche egemoniche tipiche della modernità. Non ritiene però che oggi ne sia emersa una nuova: la tecnocrazia? E che pericolo rappresentano personaggi come Monti, Cottarelli e Saccomanni?
Il pericolo più grande esistente oggi nella società è quell'assuefazione di massa alla globalizzazione, all'intensificazione dei rapporti commerciali, all'integrazione, come se essi rappresentassero dei valori o degli obiettivi in sé. Io non ci credo più e ritengo che bisogna tornare a valorizzare le differenze. Basta vedere, del resto, gli effetti della politica europea verso l'Italia o i paesi dell'Europa del sud, integrati in una gabbia che non riusciamo più a toglierci e che ci soffoca. Comincio a pensare che anche queste persone citate nella domanda, di assoluta buona fede – ad esempio ho conosciuto di persona Mario Monti – siano dei tecnici dell'integrazione, della quale nessuno si pone in modo serio il problema se valga la pena continuare o meno.
- Il sistema economico occidentale non sembra aver compreso gli errori che hanno portato al collasso del 2007. A cinque anni dal fallimento della Lehman Brothers, premi nobel come Krugman e Stiglitz hanno annunciato come a trionfare sia stata un'altra volta Wall Street. Questo anche perché i partiti socialisti stanno facendo di tutto per mantenenere in piede quei principi responsabili della "Grande Recessione". Quanta responsabilità gli attribuisce?
La loro responsabilità più grande è stata quella di essersi fatti fagocitare in questo sistema. Pensate alla campagna di terrorismo mediatico-economico prima dell'arrivo di Monti, tutti i giorni dai giornali emergeva una situazione per cui da un momento all'altro poteva non rimanere nulla in banca e non si poteva più uscire da casa. Tutto questo è stato artificiosamente creato a tavolino, non so se direttamente dal sistema delle banche e dei prestiti. Quello che è sicuro è che questa campagna è riuscita a farci credere e metterci nella condizione pratica per cui o si salvavano loro o sarebbe imploso tutto. Ma chi mai avrebbe potuto pensare fino a poco tempo fa che le banche sarebbero dovuto essere salvate dai cittadini? Lo stesso discorso può essere fatto oggi sull'euro: ci continuano a ripetere che un'uscita sarebbe catastrofica e che non resterebbe nulla.
In questo contesto, la responsabilità della sinistra è quella di essersi lasciata persuadere, includere, convertire dall'idea che il sistema finanziario dovesse essere al centro. Ed il risultato è che hanno aiutato a creare un modello tale per cui, ad esempio, la forbice tra il salario di un lavoratore ed uno stipendio di un super manager è passata da 1 a 20 a 1 a 400 negli ultimi anni.
- Restando sull'appiattimento ideologico dei partiti tradizionali ad un unico modello di sviluppo: quanta responsabilità ha, secondo Lei, il pensiero filosofico nell'aver lasciato il palcoscenico agli economisti? E vede un modello di sviluppo alternativo applicabile oggi in occidente?
Vorrei che il pensiero filosofico fosse responsabile, ma purtroppo lo è sempre meno. Quello che si può dire è che c'è stata una dimissione eccessiva nel voler partecipare al dibattito politico. Ed il tutto deriva secondo me dai lasciti dello stalinismo. Chi ha mai difeso in occidente Stalin? Neanche il più fervente ammiratore sovietico. Eppure Stalin è stato accusato anche di colpe non sue nell'azione di costruire una grande potenza in grado di concorrere con gli Stati Uniti, ad esempio, nella corsa allo spazio. Si è voluto indurre Stalin come personaggio unicamente sanguinario perché in questo modo lo stalinismo è servito a delegittimare tutti gli altri modelli di sviluppo diversi dal pensiero unico.
Sui modelli di sviluppo nuovi, oggi o ci rassegnamo a quello che fanno, ad esempio, Letta e Napolitano, vale a dire oliare gli ingranaggi esistenti, oppure pensiamo a qualcosa di nuovo. Da questo punto di vista ho visto alcuni grandi segnali di speranza dal Sud America, dove esistono democrazie più giovani delle nostre, emerse dal colonialismo, ma che hanno avuto il coraggio di spingersi oltre il giogo degli Stati Uniti e non appiattirsi al modello di sviluppo unico. Quando però porto l'esempio positivo della forte partecipazione popolare, ad esempio, in Venezuela, mi si ribatte che a farlo sono solo i sostenitori di Chavez. E allora? Vogliamo la neutralità ed andare a votare un sistema preparato da quattro oligarchie? Io preferisco un modello meno democratico-occidentale, ma più carismatico e maggiormente basato su valori solidali. E' una deriva fascista questa? E quello che abbiamo in Italia ed in Europa come la chiamiamo?
- Habermas ha recentemente scritto come il "passaggio da stato fiscale a stato debitore" ha creato un circolo vizioso che ha reso le popolazioni "sotto tutela" del regime finanziario dominante. E' d'accordo?
Quello che mi ha sempre differenziato dal pensiero di Habermas è stata la sua fede permanente nei valori occidentali e, soprattutto, la sua visione delle Nazioni Unite come organizzazione in grado di realizzare quella repubblica cosmopolita di giustizia internazionale sul sogno kantiano. Io non sono affatto convinto di quest'ordine mondiale. Ma certamente sono d'accordo con questo suo ultimo giudizio sul sistema finanziario globale, che sta stritolando le economie reali e le varie popolazioni.
- Nel suo libro "il socialismo e l'Europa" scriveva come un programma socialista e di sinistra dovesse necessariamente identificarsi con l'integrazione europea. Ne è ancora convinto?
Un'Europa davvero socialista sarebbe un'Europa auspicabile. Ma gli anni dal 2005 ad oggi hanno dimostrato come questa sia un'utopia. Molta sinistra democratica ha confuso la politica europea con le istituzioni europee. L'esempio di Giorgio Napolitano è emblematico da questo punto di vista: il presidente della Repubblica ha sempre creduto nell'Europa, come se la Costituzione europea ed il più Europa sostituisse qualunque ideologia possibile. Non è così.
Nel 1999, io sono entrato nel Parlamento europeo con la convinzione che se fossimo riusciti a consolidare le istituzioni europee, si poteva creare una Repubblica accettabile. Ma era solo un programma di ingegneria istituzionale. Oggi l'integrazione europea esiste, ma serve solo per imporre il Fiscal Compact all'Italia.

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La Seconda parte dell'Intervista sulla troika e la degenerazione dei nostri tempi, il concetto d'imperialismo nella società attuale ed una speranza per le elezioni europee del prossimo maggio: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=6185

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