- Nel suo libro arriva ad affermare come la convivenza tra i Trattati europei e la Costituzione italiana sia impossibile. Come e chi potrebbe sanare questa frattura?
Basterebbe riproporre il significato vero della Costituzione come originariamente concepita. Non a caso io nel mio libro riporto brani tratti dalle sedute della “Costituente”, i relativi dibattiti, cioè la fonte diretta e l'interpretazione autentica di quelle che erano le intenzioni dei Costituenti. Il problema, se ragioniamo sul dover essere, cioè sulla restaurazione di un minimo di legalità costituzionale, è un altro: ma i partiti lo vogliono fare? Si pongono questi problemi?
Se inizieranno a farlo, il corretto intendimento della Costituzione è di per sé uno strumento potentissimo. Nel libro propongo due cose: in primo luogo dimostro come la Corte costituzionale attraverso la lezione della Costituente potrebbe dichiarare costituzionalmente illegittimo il vincolo dei trattati, cioè la stessa ratifica. In secondo luogo, propongo una road map che non ha nulla di eversivo, ma è una ricalibratura dei pubblici poteri, cioè delle istituzioni democratiche sulle prescrizioni della Costituzione. Sia la liberazione dal vincolo esterno che la ricorrezione dei suoi effetti sulle istituzioni democratiche passa per lo strumento della legalità suprema, la Costituzione, e nulla è più illegale di quello che genera uno stato di sospensione sine die di questa, vale a dire i trattati europei. Basterebbe ripristinare la legalità costituzionale ed automaticamente avremo la via d'uscita progressiva da questo stato di cose.
- Si discute molto sulla questione giuridica del recesso dall'Unione Monetaria. Come potrebbe farlo tecnicamente l'Italia?
In una prima fase avevo ipotizzato che si potesse ritornare ad un'idea sobria dei trattati, qualificandoli come fonti pattizie e quindi applicando la Convenzione di Vienna. Questa, nei suoi principi generali, è considerata una raccolta ricognitiva di diritto consuetudinario ed in alcune sue parti espressione di ius cogens - vale a dire superiore per rango a qualunque altra norma pattizia o generale - e tra quest'ultimi principi internazionali inderogabili (da un qualsiasi trattato) rientra sicuramente il principio dell'impossibilità del vincolo predatorio negoziale, vale a dire del vincolo irreversibile e senza limiti di tempo alla partecipazione ad un trattato, a prescindere dal manifestarsi di suoi effetti manifestamente contrari alla convenienza di una parte e favorevoli soltanto all’altra (rebus sic stantibus). Su questo sfondo avevo inizialmente ipotizzato una prima via d'uscita possibile.
Ma, sempre con una visione attenta allo jus gentium, si può tranquillamente interpretare le stesse clausole dei trattati: in particolare mi concentro sugli articoli 139 e 140 del TFUE, formulando la teoria del contrarius actus. Dato che la procedura di ammissione all’euro configura l’ammissione medesima come atto ampliativo, la disciplina contenuta in tali norme richiede la manifestazione di consenso dello Stato considerato in ogni fase procedurale. Questo consenso, quindi, è un elemento costitutivo indispensabile dell’ammissione e potrà essere ritirato in qualsiasi momento in applicazione del principio della insopprimibile libertà del consenso nel diritto internazionale. Per comprendere meglio, basta fare l'esempio degli atti ampliativi del diritto pubblico interno come una licenza a vendere alcolici, che non prefigura un obbligo alla vendita e può essere sempre restituita.
Questo è un principio generale pacifico, risalente al diritto internazionale generale, nonché ai principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione dei trattati, interpretati secondo i principi giuridici generali delle nazioni civili. Non esiste quindi un vincolo irreversibile e non è configurato come tale dalle norme se lette in buona fede, intesa come vincolo normativo di jus cogens. E, di conseguenza, la strategia che suggerisco è quella di un recesso secco, senza alcun tipo di giustificazione.
Le norme che implicano un beneficio, nello stesso modo prevedono la possibilità di restituzione del “titolo” di quel beneficio.
- Questo recesso influenzerebbe in qualche modo la partecipazione dell'Italia all'Unione Europea?
Basandosi sugli art. 139 e 140, è perfettamente logico e naturale che lo stato che decida di rinunciare al beneficio della partecipazione nell'euro rimanga nella stessa condizione degli altri paesi “con deroga”, come ad esempio il Regno Unito o la Svezia. Permangono cioè all'interno dell'Unione europea per tutte le norme specifiche che non riguardano la partecipazione ed adesione all'unione monetaria. Lo Stato “uscente” recupererebbe una condizione prevista dai Trattati, già tipizzata dai Trattati e che soprattutto non è transitoria: questo perchè non c'è un obbligo correlato ad un termine legale per l’adesione all'Unione monetaria, né l'Unione europea vede come suo elemento costitutivo della sua soggettività politica la partecipazione generalizzata all'unione monetaria. E questo è dimostrato dalla lettura degli art. 3 par. 3 del Tue in cui si descrive lo schema programmatico socio-economico dell'Ue, insieme al par.4, da cui emerge con chiarezza che l'Ue è un soggetto già nella sua pienezza nel momento in cui programma di istituire l’unione monetaria. Dalla loro corretta interpretazione si comprende come il programma economico-monetario non sia costitutivo della sua soggettività di diritto internazionale.
- Che cosa accadrebbe però a tutti quei trattati intergovernativi come il Mes ed il Fiscal Compact? Resterebbero comunque in vigore?
Per tutti quei trattati si tratta di un problema di diritto positivo abbastanza agevole da risolvere: l'operatività di queste fonti europee (alquanto atipiche e controverse) riguarda solo gli Stati in atto partecipanti all'Unione monetaria.
Dunque, l'adesione a questi vari trattati resterebbe, ma produrrebbe effetti realmente vincolanti solo in quanto persistesse lo status di aderente all'Unione Monetaria. Se non c'è più questo status, il paese resta parte di questo trattato, ma esso non rileverà in termini di obblighi “perfetti” e di sanzioni attualmente applicabili. Un paese “con deroga” non è obbligato in modo effettivo. Ci sono, del resto, delle clausole specifiche a dimostrarlo: l'art.14 del Fiscal Compact, ad esempio, prescrive come l’insieme delle norme essenziali si applicano ai paesi membri “con deroga” dal momento in cui iniziano effettivamente a far parte dell'Unione Monetaria.
Sul piano politico, però, queste alchimie finanziarie costruite per salvare l'euro si dissolverebbero nel momento in cui un paese importante come l’Italia dovesse decidere di uscire dall'euro, innescandone la dissoluzione.
- Ragionando sull'ipotesi di Eurexit dell'Italia. Quali sono le priorità che il paese dovrebbe tenere in considerazione?
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