di Giuseppe Trucco
Si pubblicano alcuni estratti del manifesto che spiega l'iniziativa di domenica 21 luglio del velivolo fatto volare sui litorali di Marche, Romagna e Veneto con lo slogan “l’euro versa sangue italiano”.
Per chi ha cercato lo slogan su un motore di ricerca e ha trovato questo articolo, spiego qui le ragioni della mia iniziativa, dedicata al ricordo di Marco Cacciatore di Meda, un giovane di 26 anni disoccupato che si è sparato alla testa per la disperazione. Si fa presto a spiegare le mie ragioni: quando si assiste ad un reato è un dovere morale denunciare chi lo ha commesso, io credo di poter denunciare l’euro come colpevole di induzione al suicidio di Marco Cacciatore, cui è dedicata questa iniziativa, e di molti altri disoccupati.
Cercherò di dimostrare la “mia” tesi, secondo cui esiste un legame tra l’adozione dell’euro in Italia e l’aumento della disoccupazione, oltre che il fallimento di tante imprese. Fattori, questi ultimi, che portano alla disperazione di molti lavoratori disoccupati e imprenditori falliti. Non solo l’euro è responsabile di quanto già è accaduto sino ad oggi, ma la situazione continuerà a peggiorare sino a livelli per noi inimmaginabili: Grecia e Spagna, che si trovano già ora nella situazione cui noi saremo condannati a trovarci in futuro, se non saremo usciti dall’euro, hanno raggiunto il 60% di disoccupazione giovanile! Per fortuna la soluzione a questo problema è possibile: occorre uscire dall’unione monetaria (non dall’Europa, solo dall’euro). Chi cerca di farci credere che questo epilogo sia impossibile, chi fa del terrorismo su questo scenario, chi rema a favore di un prolungamento della sesta fase del ciclo di Frenkel in Italia, ha una gravissima responsabilità, si sta macchiando del sangue di tanti italiani innocenti. Dopo tutto l’euro non è una persona, è solo uno strumento di morte, è chi ha la paternità politica della sua adozione e del suo mantenimento il vero assassino, ma per evitare querele è meglio che io mi fermi qui.
Per capire come stanno le cose vi debbo parlare del ciclo di Frenkel: ogniqualvolta nella storia una nazione in via di sviluppo ha agganciato la sua moneta a quella di una nazione con una economia più forte, e nel contempo ha liberalizzato la circolazione dei capitali, tutte le volte si è verificata una concatenazione di eventi che va sotto il nome di ciclo di Frenkel, dal nome dell’economista che l’ha teorizzata, che ha portato a spiacevoli conseguenze per il Paese che si è agganciato alla valuta forte. Adottando l’euro, la cui emissione è centralizzata e sottratta alla iniziativa nazionale, “l’Italia e gli altri Paesi PIIGS si sono ridotti al rango di paesi emergenti che devono prendere in prestito una moneta straniera” (citazione dal Nobel Krugman), ed il ciclo di Frenkel si è applica dunque anche a noi.
Un Paese che aderisce al cambio fisso con una valuta piùforte della propria, liberalizza i mercati finanziari interni ed i flussi di capitali dall’estero, sta entrando in un ciclo di Frenkel. Se al cambio fisso sostituiamo la moneta unica, erede diretta del marco tedesco, moneta più forte della nostra lira, il discorso non cambia di molto (se non per la maggiore difficoltà a uscire dalla fase sei). Nelle fasi iniziali del ciclo ha luogo un’enorme flusso di capitali esteri dai paesi più forti (ove i tassi sono più bassi) verso i paesi più deboli (a inflazione e tassi leggermente superiori quindi più remunerativi), determinando così un forte indebitamento estero sia pubblico che, soprattutto, privato (frutto di una concessione eccessiva di credito). Questo credito facile favorisce il surriscaldamento dell’economia e l’inflazione nei paesi periferici e determina un aumento delle importazioni che va di pari passo con una riduzione delle esportazioni (perché le loro merci diventano via via meno competitive). Da parte sua la Germania comprime i salari e tiene bassa l’inflazione, realizzando nei fatti una svalutazione competitiva (i suoi prezzi relativi restano più bassi.
Ma a metà del ciclo, quando l’eccessivo gonfiarsi della bolla del debito estero minaccia di scoppiare, di solito un evento catalizzatore provoca un brusco dietro-front (nel nostro caso la crisi dei subprime dagli USA), i creditori esteri ed i mercati che si scoprono all’improvviso troppo esposti iniziano a temere per il rientro dei loro investimenti, e si ha un deflusso netto di capitali. Da qui lo spread che abbiamo imparato a conoscere: il tasso di interesse sui debiti pubblici e privati si incrementa sensibilmente (incorporando i rischi di controparte ma anche di svalutazione, che il mercato è abile a prevedere, intuendo l’insostenibilità del cambio fisso o dell’unione monetaria) e si determina un credit crunch (stretta creditizia), sia dovuta alla sfiducia delle banche straniere a prestare, che alla difficoltà delle banche locali
Ma può questa strada della “deflazione interna”, per quanto dolorosa, riportare un Paese come l’Italia sul sentiero della crescita? No, serve soltanto a prolungare l'agonia, perché se anche fosse che una maggiore disoccupazione e minori salari possano far calare l’inflazione e recuperare competitività verso la Germania (perché è vero anche che la competitività non dipende solo dal costo dal lavoro, ma anche da investimenti in ricerca e sviluppo), al tempo stesso essi contribuiscono, insieme alle politiche di austerità fatte dal Governo (con tasse portate a livelli demenziali come quelle italiane), a far crollare la domanda interna e deprimere l’economia, con l’effetto paradossale di far crescere invece che diminuire il rapporto debito/Pil (sia debito pubblico che privato), che così diventa vieppiù insostenibile. Prova ne è che la situazione di un Paese come la Grecia, da più tempo e con maggior forza avviata su questo sentiero, non fa che peggiorare, con livelli di disoccupazione totale e giovanile, arrivati a livelli del 27% e del 60% rispettivamente! Anche la Lettonia, che ha tentato la strada della “svalutazione interna” (cioè l’abbassamento dei salari) nel 2007, ha avuto come risultato un crollo del PIL superiore al 20%!
La sola soluzione ai problemi dei paesi PIIGS (a meno che l’Europa diventasse una unione fiscale come lo Stato italiano, dove la Germania ed i Paesi del Nord Europa accettassero di redistribuire centinaia di miliardi di euro ai paesi periferici, cosa impensabilee forse nemmeno desiderabile), è quella di sfondare la porta ed uscire dall’euro.
Il prezzo di non voler vedere questa soluzione e di continuare ancora a lungo a pagare questi costi, è la condanna di molti italiani ad avere la vita distrutta da una depressione economica senza fine.
Il prezzo è la svendita della nostra democrazia rimpiazzata dal regime di viscidi euro-burocrati che nessuno ha mai eletto (e degli economisti prezzolati loro complici), cui lasciare decidere la sorte dei cittadini italiani, un tempo popolo sovrano.
Il prezzo è quello di condannare milioni di lavoratori italiani a salari da fame e lavoro precario, e altri milioni alla disoccupazione più odiosa, quella di chi sa che non ha speranza di ritrovare un lavoro, nonché condannare l’Italia ad un vertiginoso calo demografico.
Il prezzo è continuare a versare il sangue di tanti innocenti come Marco Cacciatore, e lasciare che il loro sangue sia stato versato invano.