di Fulvio Scaglione*
L’ultimo ad approdare anche sui nostri giornali è stato
Paul Eaton, generale in pensione, l’ufficiale che nel 2003-2004 comandava le operazioni americane in Iraq per la ristrutturazione e l’addestramento delle truppe irachene. Anche Eaton replica il mantra tanto diffuso in Occidente: ovvero,
la Siria va spartita. Uno staterello alawita, dice Eaton, visto che ormai i russi sono lì e Assad (o uno dei suoi eredi politici) non se ne andrà tanto facilmente. Uno staterello curdo a Nord. E un terzo Stato che si presume sunnita. In questo modo, aggiunge Eaton, ci si potrebbe concentrare nella lotta contro l’Isis. Che fino alla sconfitta, aggiungo io, sarebbe un quarto staterello.
Lasciamo per un attimo da parte il fatto che la Turchia, protetta dagli Usa e dalla Nato, sta bombardando i curdi proprio per evitare che possa mai nascere un’entità curda di qualunque genere. E trascuriamo anche il fatto che è poco chiaro chi controllerebbe il terzo staterello che dovrebbe nascere, quello sunnita ma non Isis: i “ribelli moderati”? Gli uomini di Al Nusra e delle altre formazioni islamiste? Gli uni e gli altri? Eaton è un democratico ma la stessa proposta era stata avanzata, qualche mese prima, da un politico della destra repubblicana, John Bolton, ex ambasciatore Usa all’Onu ed ex viceministro degli Esteri di George W. Bush. Anche lui è per la costituzione di uno staterello sunnnita tra Iraq e Siria, più uno staterello alawuita e uno curdo. Stessi problemi di prima ma le teste d’uovo dell’Occidente con certi “particolari” fanno fatica.
Ma non importa. Quel che preme notare è la straordinaria consonanza delle ricette più diffuse in Occidente con quelle sostenute e proclamate dall’Isis. Anche l’Isis vuole far nascere uno Stato a carattere etnico-religioso, solo che non lo chiama Stato ma lo chiama califfato. Uno Stato per i sunniti di culto wahabita della regione tra Siria e Iraq. D’altra parte, può anche darsi che l’Isis abbia ragione: uno Stato simile esiste già, dal 1932 addirittura, si chiama Arabia Saudita e da decenni lo definiamo “arabo moderato” e “alleato fedele” del nostro Occidente. Perché dunque non farne un altro?
Soprattutto perché poi da parte nostra proponiamo la stessa ricetta. Dell’ex generale Eaton si è detto. Ma anche i think tank più seri e accreditati si sono esercitati su quest’idea. Per esempio la Brookings Institution, che nel giugno dell’anno scorso ha dedicato un lungo rapporto alla “destrutturazione della Siria”, da ridurre appunto a una serie di staterelli più o meno confederati. L’autore del rapporto, Michael O’Hanlon, scriveva anche che “non c’è la possibilità di togliere di mezzo Assad in alcun modo, perché ciò vorrebbe dire spianare la strada all’Isis” (“… they can neither attempt to unseat President Assad in any concerted way because doing so would clear the path for ISIL“), ma questo piccolo particolare dev’essere sfuggito a molti.
E questo per la Siria. Per l’Iraq fu accarezzata a lungo, in Occidente, la stessa soluzione. Per fare un esempio, e nemmeno ai massimi livelli (lì potremmo citare il vice presidente Joe Biden e una pletora di politici e intellettuali dell’epoca Bush), ricordiamo il nome di Peter Galbraith, ambasciatore degli Usa di Bill Clinton in Croazia all’epoca delle guerre nei Balcani e poi (2003-2005) consulenti dei partiti curdi durante i lavori per la stesura della nuova Costituzione irachena. Nel 2007 Galbraith diceva al Corriere della Sera quanto segue: “L’Iraq di fatto non esiste più. Al suo posto ci sono tre entità piuttosto omogenee… Il Nord curdo, il Sud sciita, il centro sunnita: assecondare questa divisione e spostare i nostri soldati in Kurdistan è l’unica soluzione. Cercare di tener insieme i pezzi è inutile. E non farà che allungare la tragedia”.
Quindi, la soluzione per la Siria e l’Iraq sarebbe di spezzettarli in una serie di staterelli a base etnico-religiosa, dove avresti diritto di stare perché sciita, alawita, curdo, sunnita o chissà che. Proprio come sostiene l’Isis, che immagina un califfato wahabita dove puoi stare perché sei wahabita, altrimenti di devi ripagare con il lavoro e la sottomissione il diritto di esistere (dhimmi) oppure puoi essere cacciato o sgozzato. L’esatto contrario di ciò che fa da premessa alla democrazia, dove il cittadino gode di diritti e obbedisce a doveri in base alla cittadinanza, cioè alla comune appartenenza nazionale, non alla fede religiosa o all’etnia. Senza contare che, come l’Isis dimostra, e con lui una lunghissima serie di riferimenti storici, questi staterelli connotati in base alla fede religiosa o all’etnia di origine sono poi sempre i più inclini all’intolleranza e alla guerra. Povero Occidente, come sei ridotto.
FONTE
*Vice-direttore di Famiglia Cristiana. Publichiamo su gentile concessione dell'autore.