di Michele Metta*
Se apriamo la Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona firmata dal comunista Giuseppe D’Alema, scopriamo come questa giustamente si soffermi su un militare di spiccatissimo grado: Giuseppe Pighini. Questi – sottolinea sempre il D’Alema – è da testimoni riferito comparire in una lista, detta dei 500 per via dei circa 540 nominativi al suo interno, di figure di potere a Sindona legate, in quanto intestatarie di conti cifrati presso una banca di Sindona: la Finabank, Istituto a Sindona servito anche per finanziare la dittatura dei Colonnelli in Grecia.
Un ritratto che il D’Alema conclude ricordando l’audizione, proprio per tale Commissione, di Carlo Bordoni, a lungo tra i maggiori sodali di Sindona.
Audizione dell’1 aprile del 1981, ed in cui Bordoni aveva testimoniato d’un esborso a Pighini, da parte di Sindona, per milioni di dollari; depositati in un conto segreto, a Pighini facente capo, presso l’Amincor Bank, altro sportello proprietà di Sindona.
Lo scopo?
Instaurare un governo autoritario sostenuto dalle Forze Armate. Un dato pure approdato nei lavori della Commissione Anselmi, dove Sindona aveva cercato di negare la circostanza, ma aveva comunque dovuto ammettere che le frequentazioni tra la propria famiglia e quella di Pighini erano intense ed ottime.
Si dà il caso, però, che Pighini sia anche uno dei coinvolti in una lottizzazione, la cui pianificazione era iniziata nel 1958, del celebre litorale di Capocotta.
Lottizzazione celante, in realtà, un’azione corruttiva guidata da un membro del CMC chiamato Georges Mandel, poi italianizzato in Giorgio Mantello: massone ed intimo amico dei Savoia, cui Capocotta, all’epoca, apparteneva. Suo scopo era condurre dalla propria parte i gangli del potere italiano, tant’è vero che un altro nome ancora dei coinvolti è quello del golpista, e piduista, Giovanni De Lorenzo. A dircelo, sono degli articoli usciti per Paese sera, un quotidiano italiano ora non più in edicola, ma allora di grandissima tiratura, e d’altrettanto grande reputazione: a cominciare da quello, già eloquente fin dal titolo, I Savoia venderanno Capocotta al gruppo del Centro Mondiale Commerciale, lì uscito il 5 marzo 1967; cui segue, a distanza d’una settimana esatta, un secondo, in cui la testata aggiunge:
[Sappiamo] di lotti di terreno a Capocotta «venduti» a numerose personalità politiche, militari, a influenti dirigenti ministeriali.
I primi indizi per capire più esattamente cosa il quotidiano voglia sottolineare d’aver scoperto, sono sia le virgolette attorno a quel “venduti”, sia, anche qui, la parte finale del titolo di tale secondo pezzo: Lotti di terreno in regalo ai membri del C.M.C., ad indicare non una vendita vera, ma cessioni a prezzi di favore. Un trucco, questo, in effetti sovente usato per nascondere elargizioni di tangenti e, quindi, come detto, operazioni di corruzione. Se, infatti, anziché pagare il prezzo regolare, un soggetto ottiene un bene per una cifra risibile, sta, in apparenza, solo usufruendo d’una compravendita ma, in realtà, quei soldi da lui non pagati sono una tangente occulta.
Signor Direttore,
mi riferisco all’articolo sul caso Clay Shaw apparso sul Suo giornale del 4 marzo 1967. In esso veniva fatto il mio nome.
A scanso di equivoci, malintesi e false interpretazioni, La prego di pubblicare:
Mi sono dimesso da Membro del Consiglio di Amministrazione del Centro Mondiale Commerciale il 25 giugno 1962, perché non si riusciva più a conoscere la provenienza delle ingenti somme raccolte all’estero dal Sig. Giorgio Mantello, ed il vero destino di esse.
Ma è nella chiusura di tale missiva che Ceravolo aveva appunto aggiunto:
Né tampoco ho accettato in dono lotti di terreno edificatorio che mi venivano offerti nella tenuta di Capocotta, già di proprietà di gruppi e Società derivati dal Centro Mondiale Commerciale, che facevano capo a Giorgio Mantello.
Resto a disposizione per eventuali richieste di chiarimenti.
Un restare a disposizione che spinge decisamente a pensare possa essere proprio Ceravolo la fonte dello scoop che Paese Sera era riuscito a realizzare a novembre di quello stesso 1967: entrare in possesso dei documenti riguardanti Capocotta e, grazie a questi, appunto rivelare i nomi coinvolti, a partire proprio da Pighini e De Lorenzo.
Ma la presenza di Sindona nel Centro Mondiale Commerciale s’affaccia anche per via del fatto che, tra i membri del CMC, c’è Giuseppe Azzaretto: socio, fin dal 1956, di Banca Rasini. Nota per conti correnti legati ai vertici della mafia e, ancor più a monte, sia per avere dato lavoro, dal 1957 al 1973, a Luigi Berlusconi, il padre di Silvio Berlusconi, che per essere alla base delle fortune del tuttora capo del centrodestra italiano, la Rasini ha, per buona parte della sua esistenza conclusasi nel 1992, il proprio controllo azionario in mano a tre misteriose Società con sede in Liechtenstein: la Brittener, la Wootz e la Manland. Ad amministrarle, c’è un certo Alex Wiederkehr, la cui biografia ci conduce appunto a Sindona. Infatti, come messo in chiaro da Carlo Calvi, figlio del piduista, il Wiederkehr, nel febbraio del 1973, aveva contribuito a dar vita alla già incrociata Manic. Non solo: nel 1970, la Rasini aveva assunto una quota di capitale della Brittener Anstalt di Nassau, paradiso fiscale delle Bahamas. Quest’ultima, aveva stretti rapporti con la Cisalpine Overseas Nassau Bank, nel cui C.d.A. compaiono Calvi, Sindona e il cardinale Marcinkus, che dello IOR era il reggitore. Circostanze che fanno giustamente esclamare ai saggisti Gümpel e Pinotti, raccoglitori di questa confidenza di Carlo Calvi, quanto segue:
Si può quindi ritenere che i Wiederkehr rappresentassero, all’interno della Banca Rasini, non solo gli interessi di Sindona, ma anche quelli del Vaticano.
Ma deus ex machina di Rasini è proprio Andreotti, già intimo amico d’Azzaretto, come confermato dallo stesso figlio di questi: Dario Azzaretto, lui pure azionista della Rasini. A tal proposito, anche qui disponiamo, fortunatamente, del contributo d’una cosiddetta gola profonda: Maria Giuseppina Cordopatri. Questo il primo punto importante di quanto da lei rivelato:
Sono stata correntista della Banca Rasini dal 1980 al 1989. Ero titolare di due conti correnti, nonché di un fido di oltre cento milioni circa il quale non mi erano mai state chieste garanzie di sorta, perché venni presentata all’allora presidente e direttore generale dottor Dario Azzaretto da amici del vero proprietario del pacchetto azionario di maggioranza della banca. Formalmente esso era intestato alla famiglia Azzaretto, ma nella realtà la banca era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto, padre di Dario, era all’epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera.
Dopo aver descritto alcuni degli altri correntisti della Rasini come – concordemente con quanto stiamo ricostruendo – una mescola di gente in odor di mafia e finanzieri contigui al Vaticano, la Cordopatri, in altra data, aveva ribadito:
Come ho già dichiarato in un’altra occasione, la Rasini era di Andreotti. Questo mi è stato detto: che Azzaretto, vista la presentazione che avevamo, doveva metterci a disposizione quello che chiedevamo perché il vero dominus della banca era Andreotti; quasi Azzaretto fosse un prestanome. Io questo l’ho detto alla procura di Palermo, nella persona del dottor Gioacchino Natoli, nel maggio del 1998.
Concetto sul quale la Cordopatri era tornata perfino una terza volta, con le seguenti parole:
Si diceva che c’erano dei partners esteri, ma che dietro la vera proprietà fosse di gruppi italiani e che il dominus fosse il senatore a vita; allora lo chiamavano presidente.
Le parole della Cordopatri si spingono fino a definire Andreotti in questi termini: il puparo di Brittener, Wootz, e Manland, le tre Società azioniste della Rasini. In sintonia con quelle della Cordopatri, ci sono poi recenti dichiarazioni d’Ezio Cartotto, ex strettissimo collaboratore di Silvio Berlusconi. In un’intervista del 2012, pure Cartotto, infatti, parlando di Rasini, aveva rievocato Andreotti, così scandendo:
Ufficialmente la Rasini era di Azzaretto padre e di suo figlio Dario, ma in realtà era controllata da Andreotti. Era la sua banca personale. C’è un riscontro che nessuno sa: Andreotti andava in vacanza tutti gli anni nella villa degli Azzaretto in Costa Azzurra. Di questo ho la certezza. Per verificare le mie fonti, ho fatto in modo che Sergio, l’altro figlio di Azzaretto, incontrasse a Roma il nipote di Andreotti, Luca Danese. Si sono visti davanti a me. Baci e abbracci. Si dicevano: “Ti ricordi quando giocavamo insieme...”. Detto questo, basta ragionare: la Cassazione, con la sentenza di prescrizione, ha stabilito che fino al 1980 Andreotti è stato il referente politico dei più ricchi boss di Cosa nostra. E a quel punto chi ha comprato, o si è intestato, la Rasini? Nino Rovelli, l’industriale legatissimo ad Andreotti, ma anche all’avvocato Cesare Previti. Come vedete, tutto torna.
Il riferimento a Previti, braccio destro di Silvio Berlusconi specie in politica, è perché Cartotto inserisce questi dati in una cornice che si lega prepotentemente alla nostra attualità: Cartotto, infatti, retrodata la volontà di creare Forza Italia di svariati anni rispetto al risaputo 1994; e cioè, al 1975-76. Un’epoca, dunque, coincidente con quella dei fatti riguardanti Bonfantini da cui questo articolo è partito. Era già tutto pronto – prosegue sempre Cartotto – , compresa l’organizzazione della formazione politica in Comitati; quelli che, appunto, poi, nel 1994, Berlusconi riproporrà tal quali, con l’unica accortezza d’ammodernarne il nome in clubs. L’avanzata segnata dal PCI, che nelle elezioni tenutesi in quello stesso biennio 1975-76 aveva riportato percentuali – oltre un terzo del voto espresso – tali da poterlo condurre al governo del Paese, andava fermata a qualunque costo, aveva spiegato Ezio Cartotto. Aggiungendo:
Dopo l’eventuale golpe, il potere sarebbe passato nelle mani di un governo di transizione […]. Un esecutivo non interamente militare, ma con una forte presenza di generali. Sarebbero state varate le necessarie modifiche costituzionali. Dopodiché, dopo un paio d’anni, si sarebbe tornati alla democrazia: una democrazia più solida, più stabile. È qui che sarebbero entrati in gioco i Comitati [di Berlusconi].
In effetti, giusto il 1975 – più esattamente, il 23 marzo – coincidenza vuole sia il momento della nascita pubblica della Fininvest di Berlusconi. Tale Società, grazie a cui, di lì a breve, l’imprenditore formerà il suo impero televisivo, vede, quali detentrici del capitale sociale, Servizio Italia e Società Azionaria Fiduciaria: ovverosia, due costole di quella Banca Nazionale del Lavoro allora guidata da piduisti, nonché, ci dicono le carte del Centro Mondiale Commerciale da me ritrovate, fornitrice di denari al CMC. Servizio Italia che, più indietro nel tempo, è finanziatrice, altresì, d’Eugenio Cefis. È esattamente il Cefis che appoggiava i tentativi sovversivi, e d’infiltrazione nelle Brigate Rosse, d’Edgardo Sogno. Quei tentativi il cui perno sono i Comitati di resistenza democratica di cui fa parte proprio il Bonfantini ricattatore di Roberto Calvi. Notizie cui aggiungere che, nel CMC, c’era anche Gaetano Rebecchini. Di chi si tratta? D’uno dei massimi tessitori dell’abbraccio tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi che rese possibile l’ingresso dei missini a Palazzo Chigi. Ma Rebecchini, che è pure ingegnere, proprio in tale sua veste professionale è anche colui che sovraintese agli aspetti tecnici dell’anzidetta lottizzazione di Capocotta, come rivelato sempre dai documenti scovati da Paese sera.
C’è poi, per chiudere, un ultimo interessantissimo affacciarsi di Sindona nel CMC, e riguarda quel Credito Commerciale e Industriale dove Ramfis Trujillo aveva depositato un quantitativo imponente di denaro sparito nel nulla alla vigilia della propria trasferta haitiana tesa ad organizzare i fondi necessari all’organizzazione dell’agguato che avrebbe ucciso vilmente John Kennedy. Tale banca, infatti, era passata per Sindona, prima di finire sotto la presidenza di Borghese. Il Borghese il cui tentato golpe del 1970 vede, oltre allo spuntare proprio d’Andreotti, un ruolo d’interfaccia tra Borghese e Nixon affidato all’italoamericano Hugh Fenwick. Fenwick su cui esistono Atti della magistratura che l’affiancano ad un personaggio incriminato per la Strage di Bologna. E documenti sconvolgenti relativi a tale strage sono proprio quelli che Calvi portava gelosamente con sé poco prima d’essere ucciso, come una volta di più rivelato dal figlio dello stesso Calvi. Ma, di questo, ne parleremo necessariamente in un prossimo articolo.
*Le dichiarazioni e opinioni espresse nel presente articolo non necessariamente coincidono con quelle della redazione
Questa la prima parte dell'inchiesta
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