di Giuseppe Acciaio
Le elezioni Presidenziali in Russia del 18 Marzo hanno avuto un sapore particolare per la Crimea, la Regione che dal 2014 è tornata ad esser parte della Russia dopo un referendum molto chiacchierato. Con il voto di domenica scorsa possiamo dire che si è svolto un secondo referendum sull’autodeterminazione in Crimea. Sono già trascorsi 4 anni dai tragici eventi di Maidan che hanno portato alla scissione della Crimea dall’Ucraina, e il popolo chiamato adesso alle urne ha riconfermato la propria fiducia nel rieletto presidente Putin votandolo in massa con il 90 % del consenso, ben oltre la media nazionale del 76,7%.
Dati alla mano si evince che la scelta presa dal popolo della penisola 4 anni fa fosse ben ponderata. Nello spazio politico Ucraino ancora oggi ci si chiede: “Chi ha perso la Crimea?”. Sia per i politici che per l'opinione pubblica i “colpevoli” sono da ricercarsi sempre più spesso nel nome del Presidente Ucraino ad interim Turcynov che diede l’ordine di non opporre resistenza , e nel vice Primo Ministro Jacenyk che si limitò , quattro anni fa, a lanciare avvertimenti e minacce pubbliche alla Russia.
Per capire come sono andate realmente le cose si deve scavare più a fondo nei reali motivi della perdita della Crimea, che avvenne subito dopo le rivolte di Maidan e il golpe di Stato che vide sconfitto il presidente Yanukovich. Nella puntata di Matrix dello scorso novembre “Guerra in Ucraina, le verità nascoste”, dall’indagine del giornalista italiano Gian Micalessin sono venuti fuori nuovi elementi (https://www.youtube.com/watch?v=RIriR7QwjaY). Nella sua indagine Micalessin è riuscito a dimostrare che i cecchini resisi protagonisti del sangue versato tra le strade di Kiev erano pilotati dall’opposizione. Uno di questi “manovratori” risponde al nome di Sergei Pashinsky, che ora siede comodamente nel Parlamento ucraino con il partito “Blok Petra Poroshenko”. Pashinsky fu fermato con il fucile da cecchino, tuttavia non rilasciò alcuna spiegazione attendibile al Procuratore.
In questa indagine sono state riportate anche alcune testimonianze di cittadini georgiani, ingaggiati per sparare all’impazzata sulla folla e sulle forze dell’ordine.
Basti ricordare gli eventi che seguirono il bagno di sangue del febbraio del 2014, quando venne violato l’accordo stipulato tra l’opposizione e Yanukovich. Nella notte tra il 20 e il 21 febbraio, dopo gli spari sulla folla, i manifestanti infuriati occuparono nel giro di poche ore tutti gli organi del potere costringendo il Presidente Yanukovich a scappare prima in Crimea e poi in Russia.
Non vi è nessuno che possa confutare la tesi secondo cui la morte di “nebesna sotnya “ (le cento persone uccise negli scontri di piazza) non abbia spianato la strada a tutti quelli che adesso si trovano al potere in Ucraina. Il terrore di finire nel caos, come successo per le strade di Kiev, spinse allora la Crimea ed il Donbass prima ad opporsi ai golpisti e poi a cercare l’aiuto del governo Russo.
Nessuno in quel momento avrebbe potuto immaginare che l’accordo stipulato tra Yanukovich e la Russia per la creazione della base della Flotta del Mar Nero in Crimea fino al 2049 avrebbe aiutato gli abitanti della penisola a staccarsi dall’Ucraina se non vi fosse stato il Golpe, perchè questa eventualità non sarebbe stata mai presa in considerazione nonostante varie volte già in passato gli abitanti della Crimea avessero espresso la volontà di votare per tornare ad essere parte della Russia. Il prezzo di tali azioni per la Russia sarebbe stato troppo alto, tutti lo sapevano a Mosca, ma a sua volta anche inevitabile visti i pericoli a cui sarebbero stati esposti gli abitanti russofoni. Per questo il primo referendum per l’autodeterminazione fu la risposta alle violenze di Kiev.
Purtroppo questa lezione non è servita a niente, l’errore sarà commesso ancora all’infinito dal governo di Kiev, ed a pagarne le spese saranno, come sempre, i cittadini ucraini, sia dell'ovest che dell'est, come ancora accade nel Donbass.
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