di Fabrizio Poggi
Non sta navigando in acque del tutto calme la junta ucraina: traballa l'assistenza USA (anche se vengono sempre più allo scoperto fatti accertati sulla presenza, oltre che di “istruttori” occidentali, di soldati americani e canadesi impegnati nei combattimenti contro le milizie del Donbass); arrivano ammonimenti da Bruxelles sulle condizioni poste per continuare a elargire fondi; e, in ultimo (al momento) il macigno che ha fatto traboccare il calicetto della “credibilità” ucraina: l'affaire Babcenko. O meglio; diciamola tutta: i regimi “democratico-occidentali” che hanno sostenuto finanziariamente, politicamente e militarmente la sommossa di majdan e poi la guerra di Kiev contro il proprio popolo nel Donbass, hanno sempre saputo che tipo di putschisti stessero mettendo al potere a Kiev e proprio per questo li hanno sostenuti sinora.
Gli interessi occidentali lo imponevano. Ma, ora che gli adoratori di Stepan Bandera stanno oltrepassando ogni limite, risulta difficile ai liberal nostrani, anche a quelli che non esitano a stringer la mano agli speaker nazisti, contrabbandare per buono tutto ciò che viene veicolato da Kiev: ne va della credibilità degli stessi sponsor occidentali; e questo non è ammissibile.
Ecco allora che si comincia a prendere qualche distanza.
Erano passati sì e no cinque giorni dal ritorno sulla scena della questione del Boeing malese abbattuto nei cieli del Donbass nel luglio 2014, ripescata, dopo prolungati e ben articolati silenzi, dalla commissione di “indagine” internazionale (di cui fa parte anche l'Ucraina!?), con le “conclusioni” divulgate dai Ministri degli esteri olandese e austrliano, Stef Blok e Julie Bishop, sicuri delle “responsabilità di Mosca”, che il Ministro degli esteri della Malaysia, Anthony Loke dice il contrario: non ci sono prove concrete che indichino la responsabilità russa. Non ce ne sono, di prove, a tal punto che addirittura lo stesso Ministro degli esteri olandese Stef Blok, fino a due giorni prima convintissimo delle responsabilità russe, afferma di non escludere la possibilità che Kiev, nonostante al momento non esistano “seri fondamenti giuridici”, venga chiamata a rispondere della tragedia.
Passano ancora pochissimi giorni e l'analitico ceco Jaroslav Stefets rincara la dose: non ci sono assolutamente indicazioni dirette su responsabilità russe; è vero che il sistema-razzo “Buk” che abbatté il Boeing sulla rotta MH17 era stato “fabbricato in Unione Sovietica, ma le forze armate russe devono aver ritirato tale modello nel 2012, mentre altri stati ne hanno prolungato il servizio”. Secondo Pravda.ru, Stefets ha anche sottolineato che il “Buk” è solitamente coperto con teli, ma in questo caso, tale operazione obbligatoria, per qualche motivo non è stata eseguita. Egli inoltre considera obiettiva la ricostruzione eseguita da Almaz-Antej (l'industria produttrice del “Buk”) e ritiene che essa confuti la versione ufficiale: vale a dire, la versione ucraina, che nega che il “Buk” si trovasse nell'area di Zaroš?enskoe, controllata all'epoca dalle forze ucraine. Secondo Stefets, il sistema-razzo antiaereo con cui fu abbattuto il Boeing malese avrebbe potuto esser stato benissimo manovrato da specialisti russi, ucraini o anche georgiani, che hanno in dotazione tali armi. Ma, più specificamente, Stefets ha avanzato due ipotesi sulla tragedia che costò la vita a 298 persone. La prima, è che si sia trattato di una provocazione ucraina contro la Russia. La seconda, di un errore di Servizi stranieri, che potrebbero aver fornito agli ucraini coordinate sbagliate dell'aeromobile di Vladimir Putin. In questo caso, ha dichiarato Stefetz, è possibile che il “Buk” non avesse sparato per errore, ma avesse proprio mirato all'obiettivo.
In tutto questo prender le distanze - per pudore e per timore di fare l'ennesima figuraccia; non certo perché si fosse davvero convinti della prima sparata e poi si sia preso atto delle incongruenze - da una “versione” contrabbandata come ufficiale e “definitiva” appena due settimane fa, attendiamo ora che almeno si tolga il silenzio mediatico dai sospetti (avanzati anche da qualche media occidentale) sul coinvolgimento dell'aviazione ucraina nell'abbattimento del Boeing, oppure da fatti come quello del marzo scorso, allorché l'ex pilota ucraino Vladislav Vološin, proprio quello sospettato dell'abbattimento, era stato rinvenuto “suicida” a Nikolaev.
Anche perché l'ultima rivelazione (ma anche questa, c'è da sperare, ultima solo per ora) fatta dall'ex deputato della Rada Aleksej Žuravko potrebbe liberare la coscienza di molti altri ucraini che hanno da dire qualcosa sulla questione. Žuravko ha dichiarato in diretta televisiva che Poroshenko avrebbe impartito personalmente l'ordine di mirare all'aereo civile malese. “Posso affermarlo con sicurezza: persone della cerchia presidenziale hanno già cominciato a dire che Poroshenko diede l'ordine di far fuoco proprio contro quell'aereo. Persone che conosco direttamente” ha detto Žuravko, “per aver seduto con loro in Parlamento e loro rispondono delle proprie parole. Non voglio rivelare i loro nomi, per non metterli in pericolo, ma anch'io, come loro, rispondo di quanto affermo”. Alla domanda del conduttore televisivo, se egli non tema per la propria vita dicendo queste cose, l'ex deputato ha risposto di fare ciò “in tutta coscienza. Basta tacere. E' tempo di dire la verità. Oggi l'Ucraina si è trasformata nel peggiore degli inferni”. Un inferno in cui non tutti godono della facoltà giornalistica di resuscitare.
Qualche media nostrano avrà altrettanta coscienza quanta il deputato Žuravko?
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