Ucraina: lo “spirito nazionale” negli assalti ai campi rom



di Fabrizio Poggi

Seppellito da pochi giorni, nella sua regione d'origine dell'Oltrecarpazia, il ventiquattrenne ucciso a L'vov nella notte tra il 24 e il 25 giugno scorsi, nell'ennesimo assalto neonazista a un tabor rom, si fa luce sui ripetuti raid squadristici contro accampamenti zigani in Ucraina. Diventa più chiara anche la dinamica di uno degli ultimi assalti verificatisi in un campo rom di Kiev. Presentato dalla stampa di regime come la risposta “all'attacco di un giovane da parte di aggressivi zigani”, si è rivelato invece inserirsi nella scia dei raid di giovanissimi del “Natsionalnyj korpus” contro rom e clochard che si ritrovano nella piazza antistante la stazione centrale della capitale. Nella versione raccontata in tv, Sergej Korotkikh, ex comandante del battaglione nazista “Azov” e negli anni 2004-2007 uno dei capi della “Società nazionalsocialista”, ha ovviamente taciuto gli antefatti, e cioè che l'attacco ai “giovani studenti”, con relativa bottiglia lanciata sulla nuca a uno di essi da parte di un rom, faceva seguito a ripetuti assalti dei giovani ucraini, come testimoniato da vari clochard che frequentano la zona. Tanto che il rom della bottigliata, nell'episodio in questione, chiedeva al ragazzo: “Sei anche tu con loro?”, riferendosi alla squadraccia che aveva attaccato il campo e colpito vecchi e donne, ma poi messa in fuga dalla reazione degli assaliti. Nella successiva aggressione, quella poi definita di “risposta all'attacco di un giovane da parte di aggressivi zigani”, l'intero campo rom veniva bersagliato con bottiglie fumogene e le tende rovesciate, senza curarsi di donne e neonati.


Nel reportage di ZIK e diffuso dal canale telegram “Antinazi Channel”, si nota come i “giovani studenti”, tutti doverosamente rasati, indossino magliette con i simboli di “Pravyj sektor” e il tridente nazionalista; ma, per qualche ragione, alle domande rivolte loro in ucraino, rispondano tutti in russo. A quanto pare, si può ignorare la legge sull'obbligo delle lingua ucraina: basta dimostrarsi sufficientemente “patriottici”, ad esempio bastonando i rappresentanti delle minoranze moldave o ungheresi, cui appartenevano, per l'appunto varie famiglie rom dei tabor presi d'assalto.


Gli ultimi attacchi a campi rom, cui la stampa ha quantomeno accennato e che non di rado si sono svolti sotto gli occhi della polizia, si sono verificati il 20 aprile nel parco della “Lysaja gora” nei pressi di Kiev, a opera di una squadraccia di “C14”, erede di “Pravyj Sektor”; il 9 maggio, ancora un campo incendiato presso L'vov; il 22 maggio, attacco a un accampamento vicino a Ternopol; il 7 giugno, in un'altra zona dello stesso parco del Goloseevskij rajon della capitale, ha agito il “Natsionalnyj korpus” e il 24 giugno a L'vov, con l'uccisione del ventiquattrenne rom, con il ferimento di un bambino di dieci anni, due diciannovenni e una donna trentenne, a opera di giovani ucraini qualificati come “di buona famiglia” e figli di “veterani del Donbass”.


Diventa dunque chiaro da quale spirito siano spinti i “volontari” e i raggruppamenti neonazisti che da quattro anni portano morte e distruzione nelle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk. Proprio nelle capitali delle due Repubbliche, come scrive nella sua pagina feisbuc l'ex primo ministro ucraino Nikolaj Azarov, si sono tenute sedute pubbliche del “Tribunale popolare ucraino”, nel corso delle quali sono stati esaminati fatti e documenti, raccolti minuziosamente sin dal 2014, sui crimini dei principali capi golpisti, a partire da Petro Poroshenko, Arsen Avakov, Aleksandr Turcinov, Andrej Parubyj, Arsenyj Jatsenjuk, Vladimir Grojsman. Tutti i giudici erano cittadini ucraini e il processo si è svolto secondo la legge ucraina: “questo deve esser tenuto presente” scrive Azarov, “da coloro che definiscono “terroristi” le leadership del Donbass”. Tutti gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli e condannati all'ergastolo. I media a Kiev, scrive ancora Azarov, possono indispettirsi e fare ironie quanto vogliono sul processo, ma i fatti, le testimonianze, i documenti presentati sono talmente gravi che, quando suonerà l'ultima ora per i golpisti, “sarà impossibile ignorarli e senza dubbio l'attuale feccia dovrà rispondere dei crimini commessi”.


Più facile e meno pericoloso esercitarsi a distribuire mazzate e colpi d'ascia contro rom e clochard indifesi, piuttosto che arrischiare la vita nelle trincee del Donbass, dove le milizie popolari danno il benservito agli aggressori ucraini. Dopo tutto, l'unico “rischio” che si corre, nei parchi della capitale, è quello di riscuotere anche apprezzamenti da parte delle “buone famiglie”: la guerra nel Donbass è ormai da tempo malvista anche da chi all'inizio si mostrava indifferente o addirittura l'approvava; qualche “sana incursione” nelle tendopoli rom, invece, non fa che rinsaldare il “patriottismo” del tridente nazionale.

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