Riceviamo e pubblichiamo con l'obiettivo di alimentare il dibattito a sinistra su immigrazione e lavoro
di Gennaro Scala
Sono convinto che sia quantomai necessaria la rinascita di movimenti che difendano le condizioni delle classi inferiori. Nel passato questi movimenti sono stati incarnati dai movimenti operai comunisti e socialisti (ci sono stati anche importanti movimenti operai di ispirazione cristiana), ma oggi sembrano del tutto scomparsi insieme al fallimento congiunto del comunismo storico e delle socialdemocrazie, diventate estranee a qualsiasi idea di difesa delle classi popolari, sostituite dalla preferenza per i “diversi” di ogni genere, sulla base di un effettivo razzismo al contrario.
Una delle questioni centrali che questi ipotetici, e al momento del tutto ideali, movimenti del futuro dovranno affrontare sarà come rapportarsi all'immigrazione. È su tale questione che sono crollati ad es. in Italia gli ultimi eredi degeneri del Pci, la cui ottusità e cecità ha suscitato nei loro confronti l'avversione delle classi popolari. In questa caso, voglio affrontare un argomento specifico, cogliendo l'occasione di un articolo sul sito dei Wu Ming (sic!) ad opera di Mauro Vanetti riguardante la posizione del (fu) movimento comunista riguardo all'immigrazione, o meglio la posizione specifica di Marx e Lenin, perché di questo principalmente l'articolo (diviso in due parti) tratta. Salvini e altri provenienti dalla destra hanno voluto fare un po' i furbi, intuendo le debolezze della sinistra che seppur ha abbandonata ogni velleità di rivoluzione sociale conserva alcune strutture mentali derivate dal comunismo, hanno voluto mostrarsi più marxisti dei marxisti, facendo propri concetti come “esercito industriale di riserva”, per affermare, erroneamente, che Marx” era contrario all'immigrazione. Dare l'idea di essere “i veri difensori dei lavoratori” aiuta ad acquisire consensi da parte delle classi popolari che già preferiscono votare la Lega piuttosto che la sinistra.
Ed ecco allora l'intervento di Mauro Vanetti, da vero dottrinario, ha ristabilito il verbo di Marx in merito all'immigrazione. Per quanto mi riguarda, avendo superato la “fede nel marxismo” (ma senza rinnegare l'aspirazione ad una società diversa) non ho nessun problema ad affermare che, sì, egli, ha ragione Marx e Lenin furono favorevoli all'immigrazione, ma questo non risolve il problema e non è la parola definitiva rispetto alla posizione che noi (e con questo noi intendo sempre quel movimento ideale di cui ho detto sopra) dobbiamo prendere nei confronti dell'immigrazione. Mi rivolgo idealmente non ai dottrinari, ma a coloro che continuano a pensare che sia necessaria una società diversa, pur avendo preso atto che il comunismo aveva delle tare di base che hanno portato alla sua conclusione come movimento storico. Motivo per cui è necessario un nuovo inizio.
Lenin, come Marx, fu favorevole all'immigrazione. Riporto solo un passo da Il capitalismo e l'immigrazione operaia (1913), in si richiama esplicitamente a quella che è la parte peggiore del Manifesto del partito comunista, dove si loda l'espansionismo globale con cui “la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni”. Secondo Lenin:
“Non c’è dubbio che solo l’estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna dei popoli. La liberazione dall’oppressione del capitale non avviene e non può avvenire senza un ulteriore sviluppo del capitalismo, senza la lotta di classe sul terreno del capitalismo stesso. E proprio a questa lotta il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il mondo, spezzando il ristagno e l’arretratezza della vita locale, distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi nelle più grandi fabbriche e miniere dell’America, della Germania, ecc.”
Marx e Lenin vedevano favorevolmente l'immigrazione perché ritenevano che andasse in direzione dell'unificazione della classe operaia, creando le basi per la rivoluzione comunista mondiale, che poi avrebbe abolito le barriere nazionali, e unificato e pacificato l'intera umanità ecc. ecc.. Ma con il senno di poi questa si è rivelata come una delle più grandi illusioni del secolo scorso. Le nazioni, le identità, le culture esistono e continueranno ad esistere nel prevedibile futuro.
Marx riconosceva che la pressione del lavoro immigrato abbassava il prezzo della merce lavoro (cioè il salario dell'operaio) tuttavia indicava come risposta l'inclusione dei lavoratori immigrati nelle lotte operaie, nel caso specifico i lavoratori inglesi dovevano portare i lavoratori irlandesi dalla propria parte. Ora questa strategia è giusta, è intelligente, può funzionare se l'afflusso dei lavoratori stranieri è limitato numericamente e nel tempo. Di fronte ad un afflusso virtualmente illimitato di lavoratori immigrati, come si configura l'immigrazione odierna, è evidente che questa strategia non può funzionare, e che è necessario per le classi lavoratrici limitare l'immigrazione al fine di limitare la pressione sul salario. Ci sono altri fattori di cui Marx non tenne conto, quali il fattore culturale, quando i lavoratori immigrati sono di una cultura molto differente, con una lingua diversa, è più facile restino un corpo separato, e che persegue i propri interessi, estraneo alla classe lavoratrice autoctona
Quando nel marzo del '91 in pochi giorni giunsero a Brindisi quasi 30.000 albanesi, questi furono bene accolti dai brindisini che si prodigarono per la loro sistemazione. La maggioranza degli albanesi nel corso degli anni si è integrata ed ha dato il suo contributo alla società italiana. Quello fu un comportamento intelligente della collettività che optò per l'inclusione dei nuovi arrivati. È a mio parere ingiusto parlare di una xenofobia della popolazione italiana, i problemi che ha suscitato l'immigrazione continua che ha introdotto nella società italiana oltre 5 milioni di immigrati (pari all'8% della popolazione) sono diversi, non è stata possibile un'eguale integrazione nella società italiana. Chi può negare il fatto che in alcuni settori paghe da 600-700 € mensili siano diventate la norme abbia giocato un ruolo non secondario la concorrenza degli immigrati?
Per quanto riguarda Lenin, se guardiamo alla sua prassi e alla sua teoria in modo non dottrinario, ma facendo quello sforzo per trarre dall'esperienza del movimento comunista novecentesco degli insegnamenti, vedremo che vi una parte della sua teoria, e la più feconda per quanto riguarda il comunismo novecentesco, che va in direzione opposta alla “rivoluzione mondiale” e alla “fine delle barriere nazionali”, cioè il principio di autodeterminazione delle nazioni, introdotto da Lenin nell'ambito del movimento comunista, che tanto fu avversato da Rosa Luxemburg (senza dubbio uno dei punti di riferimento di Vanetti), fanatica fautrice dell'universalismo astratto in cui si era impantanato il movimento comunista (allora ancora non esisteva la distinzione tra marxismo occidentale e marxismo orientale sottolineata dal recentemente scomparso Domenico Losurdo). Il principio di autodeterminazione delle nazioni, insieme alla lotta contro l'imperialismo ricollegava il socialismo rivoluzionario con il patriottismo rivoluzionario, e fu grazie a ristabilita unione che il comunismo ebbe un ruolo da protagonista nella rivoluzione cinese e nei movimenti anti-coloniali del dopoguerra.
Al loro sorgere, quali principali ideologie moderne (insieme al liberalismo che è precedente), patriottismo e socialismo sono strettamente collegati in Rousseau (che possiamo definire il padre tanto del socialismo che del patriottismo moderni). Patria e giustizia sociale vanno ancora a braccetto in un rivoluzionario di marca come il nostro Filippo Buonarroti, in cui già sono presenti accenti spiccatamente comunisti (vedi in merito l'eccellente lavoro di James H. Billington, Fire in the Minds of Men: Origins of the Revolutionary Faith). Grande contributo alla loro separazione invece venne da quel “manifesto anti-nazionale” come giustamente Roman Szporluk, in Communism and Nationalism: Karl Marx versus Friedrich List, definisce il Manifesto del partito comunista in cui si proclamava che gli “operai non hanno patria” (è vero che subito dopo si riconosce l'importanza della lotta sul piano nazionale, ma questa ha un valore solo tattico). Quella di Marx ed Engels, era però, a mio parere, una risposta alla deriva imperialistica degli stati europei, che inizia con la principale e decisiva crisi del sistema di stati europei che si ebbe con Napoleone, da cui prende vita una sempre più accesa conflittualità tra gli stati europei che farà virare il patriottismo verso lo sciovinismo. La effettiva avversione di Marx allo stato nazionale, il suo anti-nazionalismo è segnalatore di una crisi. tuttavia la soluzione alla crisi dello stato nazionale non poteva essere il cosmopolitismo, che poi era in realtà adesione all'espansionismo globale inglese. Non è questo il luogo per analizzare nei dettagli questo fondamentale passaggio dal punto di vista storico, dobbiamo accontentarci di questi accenni, in ogni caso seppur una risposta ad una deriva, ciò non toglie che quella di Marx era sbagliata, il che risultò evidente quando egli sottopose a dura critica il programma di List, che proponeva pionieristicamente per la Germania quel tipo di protezionismo che serviva per difendere la nascente industria tedesca dalle concorrenza delle nazioni più forti. Programma che successivamente è diventato la norma, fino a quando il neo-liberismo non è riuscito a prendersi la rivincita sui “paesi in via di sviluppo”, e che lo stesso Marx vent'anni dopo la critica di List, propose per l'Irlanda (fa notare Szporluk). Come scrive Sergio Cesaratto:
“Marx sottovaluta il ruolo dello Stato nello sviluppo economico che è invece il tema decisivo per List. Per quest’ultimo lo Stato è l’unico organismo in grado di mobilitare le risorse necessarie allo sviluppo economico nei paesi in ritardo. Per List l’individualismo e il libero commercio smithiani sono argomenti pretestuosi a vantaggio dell’Inghilterra. Per Marx sono invece indicativi della forza selvaggia, ma liberatrice, del capitalismo. E’ come se Marx fosse caduto nella trappola tesagli da Adam Smith. Alla luce della storia economica, anche della recente affermazione del capitalismo globale in particolare in Asia, si vede infatti come il nazionalismo economico sia stato necessario proprio per l’affermazione di quel capitalismo globale che Marx vede come forza potenzialmente liberatrice.”
Fu proprio perché Lenin assunse una posizione opposta a quella di Marx, nella pratica senza che la teoria registrasse l'inversione di rotta, che riuscì ad agganciare il movimento storico. Il principio di autodeterminazione delle nazioni è la logica conseguenza della lotta contro l'imperialismo, ma vediamo come esso si può applicare all'immigrazione. Riporto un passo che è illustra bene il principio che ne è alla base:
“Accusare i partigiani della libertà dell’autodecisione, vale a dire della libertà di separazione, di incoraggiare il separatismo, è cosa altrettanto sciocca ed ipocrita quanto quella di accusare i partigiani della libertà di divorzio di incoraggiare la distruzione dei legami familiari. Come nella società borghese coloro che insorgono contro la libertà del divorzio sono i difensori dei privilegi e della venalità, che sono alla base del matrimonio, borghese, così nello Stato capitalista la negazione della libertà delle nazioni all’autodecisione, cioè alla separazione, non significa altro che difendere i privilegi della nazione dominante e i mezzi polizieschi di amministrazione a detrimento di quelli democratici.”
Secondo Lenin, la partecipazione di diverse popolazioni ad un'unica entità statuale, non può che essere volontaria, tant'è che la paragona al matrimonio. Non è forse lo stesso principio applicabile all'immigrazione? L'accettazione dell'ingresso sul territorio italiano di ampie masse di popolazione provenienti da altri stati non può che essere volontaria, perché di questo stiamo parlando, non dello sporadico spostamento di individui da uno stato all'altro che c'è sempre stato e che non ha mai creato nessun problema. La popolazione italiana è sovrana ed ha il diritto di decidere chi, come, quando, quanti accettare sul proprio territorio. Chi intende negare questo diritto del popolo italiano è anti-democratico, è contro il demos. È vero che poi di fatto sono le classi dominanti che decidono, ed infatti sono loro principalmente che vogliono l'immigrazione, ma il principio resta ugualmente valido. Esercitare discriminazioni sugli immigrati regolari è razzismo, ma voler porre dei limiti ai flussi migratori non è razzismo, è una volontà legittima della popolazione italiana sovrana sul proprio territorio. Non è possibile e non lo sarà nel prossimo futuro creare movimenti o organizzazioni, partiti che mirino ad avere un seguito popolare ignorando questa volontà delle classi popolari. E lo si è visto recentemente perché ciò che ha fatto finalmente crollare i voti del Pd è stata proprio l'insistenza e il voler ignorare la volontà popolare.
Marx resta utilissimo per comprendere i reali rapporti di coercizione all'interno delle società (neo)liberali, purtroppo questo si accompagna con una concezione errata, anzi assente della questione nazionale sostituita da una presa a posizione a favore dell'espansionismo globale inglese. Per come la si voglia mettere il panegirico di Marx dell'espansionismo globalista, di cui era protagonista allora l'Inghilterra non è accettabile. L'espansionismo globale prima europeo (a guida inglese) e poi occidentale (a guida statunintense) è stata in effetti una forza rivoluzionaria, ma in modo ben diverso da come pensava Marx, esso ha stravolto la faccia del mondo, forzando le altre civiltà ad assimilare l'organizzazione sociale e statuale europea-occidentale. Le civiltà che non sono riuscite come la civiltà russa-ortodossa, cinese e indiana, a sviluppare una forza statuale ed economica capace di contrastare l'espansionismo occidentale, come è il caso della civiltà islamica, e principalmente della civiltà africane, sono rimaste impantanate nel sottosviluppo permanente, che resterà tale fin quando non riusciranno a sviluppare delle forze che liberino dal cappio del debito e dallo sfruttamento delle risorse del territorio e delle risorse lavorative da parte dei gruppi finanziari e industriali stranieri.
Lenin pur avendo introdotto un cambiamento paradigmatico nel movimento comunista, volle presentare le sue posizione come ortodossa, in continuità con le idee del fondatore del comunismo, e questo fu uno dei casi in cui il carattere para-religioso del comunismo ha impedito la sua evoluzione teorica. Se il marxismo è una scienza della trasformazione sociale, egli spostò il motore primo della trasformazione sociale dai rapporti di classe, ai rapporti inter-nazionali. Con questa grande intuizione il genio leniniano riuscì ad agganciare lo sviluppo storico effettivo, senza Lenin il comunismo sarebbe state una delle tante dottrine del XIX secolo che poi hanno avuto scarsa rilevanza pratica.
Il limite riguardo al recupero della “questione nazionale” da parte di Lenin è che essa riguarda principalmente le nazioni oppresse dall'imperialismo occidentale. Che fare invece nelle nazioni occidentali? Queste devono scomparire sommerse dalle “masse del terzo mondo” perché colpevoli dell'imperialismo? Queste conclusioni, che sembrano occhieggiare tristamente in un certo terzomondismo, difficilmente possono essere fatte proprie da una psiche sana, non compromessa da tendenze autodistruttive, e di certo non sono favorevoli alla creazioni di movimenti popolari nei paesi occidentali. Pasolini volle fare una Profezia, Alì dagli occhi azzurri sarebbe arrivato in Europa, insieme alle masse del Terzo mondo, tuttavia sapeva, rispetto alle brave pecorelle che belano “Accoglienza! Accoglienza!”, che se il Terzo mondo fosse arrivato in massa sarebbe stato per uccidere. Da questa barbarie innocente Pasolini fantasticava il rinnovamento di una civiltà, stanca, morente, senza gioia di vivere. Che dire? Starà alle masse popolari occidentali dimostrare la volontà di vivere, in ogni caso il trasferimento in massa delle popolazioni africane non risolverà certo i guasti prodotti dall'imperialismo in Africa, anzi esso desertifica socialmente i paesi di emigrazione (come ben metteva in luce Paolo Cinanni, uno studioso marxista che ha dato un valido contributo all'analisi teorica dell'immigrazione che purtroppo dati i limiti di questo scritto non possiamo esaminare con il dovuto approfondimento)
Si dimentica che le democrazie moderne sono delle democrazie formali e proprio sulla questione della guerra, il consenso popolare non influisce su tali decisioni, che vengono prese autonomamente dalle classi dominanti. Nessuna “democrazia moderna” ha mai seguito la prassi della Repubblica Romana dove la decisione di ultima istanza sulla guerra spettava ai Comitia Centuriata. Le classi dominanti decidono e i parlamenti ratificano, anzi negli ultimi tempi la tendenza è stata quella di bypassare anche il Parlamento, tante “missioni all'estero” sono state decise tramite decreti ministeriale. Non si può attribuire una responsabilità dirette delle classi popolari dei paesi occidentali, al massimo la passività di fronte alle decisioni delle classi dominanti, ma è diverso rispetto ad un coinvolgimento diretto. Dunque, le classi popolari, non responsabili dirette delle guerre in Iraq, Jugoslavia, Siria, Libia devono invece pagarne i costi, mentre le classi dominanti ne hanno pure il vantaggio di manodopera a basso costo.
La modernità non è bella, buona e giusta perché è moderna. Meglio sarebbe stato che le nazioni europee non avessero varcato le colonne d'Ercole dei limiti della loro civiltà. Altro che progresso, emancipazione, comunismo ci consegna il mondo moderno! Piuttosto una massa di problemi enormi. Si pensi solo all'Africa, statistiche ufficiali prevedono che in 30 anni la popolazione sarà raddoppiata. Se come è prevedibile solo una parte di questa popolazione in crescita sarà assorbita dalla crescita economica, che al momento è scarsa, perché la maggior parte degli stati africani sono sotto il tallone del neo-colonialismo occidentale, allora si eserciterà una enorme pressione sulle nazioni circostanti tra cui l'Italia. Che si fa? Si accoglie sul suolo europeo, con l'Italia che sarà il primo paese d'afflusso, centinaia di milioni di africani? E il tutto avverrà in forme pacifiche, oppure potrebbero crearsi situazioni di lotta per l'esistenza da far impallidire la strage del Rwanda?
Questa è una delle più grandi incognite del futuro. Se non verrà realizzato uno sviluppo economico e sociale capace di assorbire la nuova popolazione e anche ridurre tale tasso di natalità (esiste una correlazione provata tra basso livello di sviluppo e alti tassi di natalità) i problemi saranno enormi, e ricadranno anche sull'Europa, e in primo luogo l'Italia che è il paese europeo-occidentale più vicino. Perché Soros & Co. finanziano a suon di miloni di dollari le Ong che collaborano al traffico di esseri umani da una sponda all'altra del Mediterraneo? Tra le varie ipotesi possibili, ed un'ipotesi non esclude l'altra, importazione di manodopera a basso costo, utilizzo delle “armi di migrazioni sociali” al fine di disgregare le nazioni europee e renderle più malleabili ai voleri delle élites globaliste, ne va aggiunta un'altra: offrire una valvola di sfogo ad un'Africa in cui la situazione, a causa dell'elevata crescita demografica, rischia di diventare sempre più esplosiva, ostacolando così la continuazione dello sfruttamento dell'Africa da parte dell'Occidente (ultimamente sembra che voglia prendere una parte anche la Cina).
Finita ogni velleità di rivoluzione sociale, del comunismo alla sinistra è rimasto in eredità solo il globalismo, il che ne fa utile strumento del globalismo “occidentale”, cioè di quelle classi dominanti che vorrebbero gli Usa (insieme alle nazioni europee in forma subordinata), unica forza dominante a livello globale. Globalismo che oggi è entrato in crisi in quanto si trasformato per gli Usa in un boomerang, poiché la fuoriuscita dei capitali si è trasformata in un indebolimento del tessuto produttivo senza conseguire l'obiettivo di porre un limite alla crescita della potenza cinese e russa.
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