Cina-Russia: a tutto gas



di Fabrizio Poggi


Tra il 4° Forum economico orientale appena concluso a Vladivostok (175 accordi sottoscritti, per quasi 3 trilioni di rubli) e la Settimana energetica russa, che si aprirà il prossimo 3 ottobre a Mosca, è possibile riportare qualche dato generale dal fronte delle dispute energetiche mondiali.


Da tempo il dominio imperiale americano è in sensibile declino, attaccato dai poli economici e finanziari (per quelli militari, ci si muove nella stessa direzione) e per quanti dazi e misure protettive – finanziarie e militari – esso possa adottare, la discesa appare inarrestabile. Ne rappresenta uno specchio il destino del dollaro USA.


Già a giugno, il 18° vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) - fondato nel 2001, ne fanno parte Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizia, Tadžikistan, Uzbekistan e, dal 2017, anche India e Pakistan – aveva deciso il passaggio alle valute nazionali nelle transazioni reciproche, con l'intermediazione dell'Unione Interbancaria, strumento di investimento della SCO nelle aree di cooperazione. Se si considera che, a fianco dei paesi membri, altri quattro (Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia) godono dello status di osservatori e sei (Azerbajdžan, Armenia, Cambogia, Nepal, Sri-Lanka e Turchia) sono partner, le cose sembrano assumere una piega tutt'altro che ottimistica per la valuta yankee. Aggiungiamo che Pechino immette sul mercato il petroyuan, alla borsa di Londra si scambia oro per valuta cinese, l'Iran è passato all'euro nei computi internazionali e si parla sempre più di passaggio all'euro negli scambi energetici UE-Russia.


Come reagisce Washington? Proclama dazi sugli acciai tedeschi e ora ne introduce di nuovi, al 10%, sulle merci cinesi, per 200 miliardi di dollari, cui possono aggiungersene altri 267 in caso di risposta cinese, e che comunque saliranno al 25% dal prossimo 1 gennaio. Stranamente, ciò proprio alla vigilia di nuovi negoziati commerciali USA-Cina: somiglia molto a un ricatto, nota iarex.ru, cui Pechino ha già avvertito di non aver alcuna intenzione di sottostare.


E infatti, scattano in contemporanea dazi cinesi del 10% sull'importazione di gas naturale liquefatto (GNL) USA: uno dei tasti più dolenti dell'export yankee. E, se era un ricatto, questo era d'altra parte già stato minacciato dal Segretario all'energia, Rick Perry, non solo nei confronti di Pechino, ma di tutti i “paesi che non si comportano come membri civilizzati della comunità internazionale: saranno puniti” a partire dal settore energetico; senza tralasciare, ovviamente, i tradizionali settori militare, finanziario, diplomatico. La minaccia è rivolta direttamente a Mosca e Teheran e, più in generale, dovrebbe rappresentare la risposta USA al crescente protagonismo dei paesi BRICS e SCO. Ma, come nota Aleksandr Khaldej su iarex.ru, per usare l'energia come arma, è necessario controllare anche le valute internazionali, i prezzi delle materie prime, oltre al sistema finanziario proprio e dei propri “vassalli” e alle vie commerciali internazionali. Ma il controllo USA su tali fattori sta scemando sempre più.


Sul fronte energetico europeo, la Germania è spinta verso il gas russo dalla prossima chiusura delle proprie centrali atomiche e anche dalla prevista cessazione del sito olandese di Groningen (produzione annua: 25 miliardi di m3 di gas) decisa dal governo de L'Aja. Nella visita della scorsa settimana a Vilnius, Angela Merkel pare abbia detto, in sostanza, alla Presidente lituana Dalja Gribauskajte: “Sì, lo so, che i Paesi baltici sono critici sul North Stream-2; ma, vedete, la Germania ha sempre più bisogno di gas...”. Dunque, se Berlino, nota Boris Martsinkevic, non ha problemi a tener testa alle “balene” americane sulla questione del gas di scisto che, oltre a essere troppo costoso, non ne assicura l'indipendenza energetica, non saranno certo le “acciughe” del Baltico a impensierirla e men che mai la Lituania che, dal 2009, dopo la chiusura della centrale atomica di Ignalina - la UE ha appena stanziato 780 milioni di euro per la definitiva dismissione dei due reattori - dipende quasi al 100% dal gas russo.


Sul fonte asiatico, secondo il patron di Gazprom, Aleksej Miller, l'accordo con la cinese CNPC per il gasdotto “Sila Sibiri-2” è praticamente fatto e rimane da concordare solo un punto: il prezzo! Il progetto “Sila Sibiri” (Forza della Siberia) si compone di tre segmenti: l'orientale, Sila Sibiri-1; l'occidentale, Sila Sibiri-2; l'estremo-orientale, Sila Sibiri-3 e deve collegare i centri di estrazione del gas di Irkutsk e Jakutja all'estremo oriente russo e alla Cina, cui da fine 2019 e per 30 anni, fornirà 38 miliardi di m3 l'anno di gas.


Tra l'altro, al Forum di Vladivostok, la Mongolia ha auspicato l'accelerazione del progetto del Super anello energetico dell'Asia nordorientale, cui, oltre a Russia, Cina e Mongolia, possono essere interessati anche il Giappone e le due Coree. A questo proposito, nello stesso Forum, il vice di Miller, Vitalij Markelov, ha annunciato la ripresa dei colloqui con Seoul per la realizzazione di un gasdotto in Corea del Sud - secondo importatore mondiale di gas naturale liquefatto (GNL) dopo il Giappone - attraverso la Corea del Nord.


Miller dice anche che Gazprom si appresta ad “aiutare” l'Iran nelle sue forniture di gas al mercato asiatico. A breve, sarà sottoscritto un memorandum per la realizzazione del gasdotto Iran-Pakistan-India, con la partecipazione russa. Nel 2017, Gazprom aveva firmato un memorandum con l'Iran per lo sviluppo di quattro siti, rimanendo tuttavia irrisolto per Teheran il problema delle esportazioni, soprattutto dopo le nuove sanzioni USA. Il piano iniziale era quello delle forniture sia attraverso il gasdotto Iran-Pakistan-India, sia in forma liquida (GNL), per la quale Gazprom starebbe progettando l'impianto “GNL Iran”. Le forniture di GNL più redditizie sarebbero comunque quelle verso la UE; ma la Commissione europea ha optato per ora per un aumento di approvvigionamenti dagli Stati Uniti.


D'altro canto, è tutto da verificare l'atteggiamento francese. Or non è molto, iarex.ru riprendeva l'annuncio di Emmanuel Macron di voler chiudere tutte le 796 centrali termoelettriche del paese e, titolando “Un manager di Gazprom a capo della Francia”, vedeva nell'annuncio un segnale lanciato a Mosca sulla necessità addirittura di un North Stream-3, cui del resto aveva accennato nella primavera scorsa anche un altro vice di Gazprom, Aleksandr Medvedev. Come non supporre, scrive Boris Martsinkevic, che a brevissima scadenza, Gazprom si prodighi in una serie di elargizioni alla Associazione per il dialogo franco-russo?


Tornando al mercato cinese, secondo la Reuters Pechino si accingerebbe a trasformare le proprie centrali a carbone in impianti a gas; nello specifico, la questione sembra al momento relativa agli impianti che coprono 20.000 km2 a nord dello Yangtze che, al marzo 2016, avevano bruciato circa 400 milioni di tonnellate di carbone. Secondo le stesse autorità cinesi, la dipendenza dalle importazioni di GNL nel 2018 dovrebbe salire al 44% rispetto al 38% del 2017. Il desiderio della Cina di passare rapidamente dal carbone al gas, nota la Reuters, ha portato di recente a errori di pianificazione, con un tasso di riduzione della produzione di carbone troppo intenso rispetto alla costruzione di gasdotti verso le aree interessate, che verranno realizzati solo dopo il completamento di Sila Sibiri-2: il risultato è stato un grave problema di approvvigionamento di calore lo scorso inverno, dato che è impossibile ripristinare le miniere, oramai inondate. L'unica via d'uscita è stata l'aumento delle importazioni di carbone, che ha portato quasi al raddoppio dei prezzi mondiali. Per l'industria russa del settore, ciò ha significato un aumento dei profitti e l'emergere di un enorme mercato cinese: per il terzo anno consecutivo, la crescita della produzione russa non è scesa al di sotto del 6%.


Ma, per la Russia, anche i proventi dall'export di petrolio sono cresciuti di un terzo (+33,9% rispetto al 2017, per oltre 71 miliardi di dollari) nel primo semestre dell'anno, pur se il volume di prodotto si è ridotto di 1,3%. Cresciute anche le entrate provenienti dai circa 90 milioni di tonnellate di prodotti raffinati: +26,6% (1,5 miliardi di dollari) dalla benzina e +39% (19,4 mld $) dal gasolio. Aumentati del 70% i ricavi (2,8 mld $) dall'export di gas naturale liquefatto, con una crescita dei volumi fisici del 60%, pari a 21 milioni di m3. I ricavi di Gazprom dalle esportazioni di gas sono aumentai del 28%, raggiungendo i 27 miliardi di dollari, pari 130 miliardi (+6,3%) di m3.


E' in questo quadro, e nelle more del completamento del “Turkish Stream”, con una portata annua di 31 miliardi di m3 di gas, che diviene sempre più realistico il progetto di percorso della Latitudine Settentrionale, dall'impianto di gas liquefatto della penisola di Jamal (circa 16,5 milioni di tonnellate l'anno dal giacimento di Tambej meridionale verso il porto di Sabetta e la rotta marittima settentrionale) la cui entrata in servizio è prevista per il 2024-2027, anche se già a fine 2017 sono iniziate le prime forniture di GNL al mercato europeo. Sembra sia stato già sottoscritto l'accordo di concessione, valido fino al 2052 e RŽD (le Ferrovie Russe) ha già avviato i lavori – in parte finanziati da Gazprom - per il ripristino di diverse linee, su cui transiteranno circa 24 milioni di tonnellate l'anno.


Nella stessa area di Jamal si insedia anche la Novatek, dell'oligarca Leonid Mikhelson (3° nella classifica di Forbes-Russia, con un patrimonio di 18 miliardi di dollari) per preparare la penetrazione in Asia e sbalzare dal mercato del GNL americani e australiani. Lo sta facendo, con lo sviluppo del progetto "Arctic GNL-2", secondo stadio dell'impianto di liquefazione del gas naturale nella penisola di Gydan, sull'altra sponda, rispetto a Jamal, della baia del fiume Ob e per cui Novatek ha firmato un accordo di partecipazione con Total, che otterrà una quota del 10%. Sull'altro versante, in aprile Mikhelson aveva firmato un accordo col Ministro di industria e commercio giapponese, Hiroshige Seko, riguardante il progetto di un nuovo impianto, legato alla realizzazione di un terminal in Kam?atka, da ultimare entro la fine dell'anno. Novatek calcola che il costo per la fornitura di GNL russo dal terminale di Jamal ai paesi europei sia di 6 dollari per milione di BTU (British thermal unit), appena meno caro di quello USA (6,4 $) ma molto più conveniente di quello australiano (10,8 $). Al contrario, oggi, sul mercato asiatico, da Jamal costa 7,7 $, contro i 7,5 USA e i 9,4 $ australiani. L'avvio di “Artik GNL-2” permetterà a Novatek di abbassare il prezzo (2,5 $ alla produzione) a 4,4 $ per l'Europa e 6,1 $ per l'Asia, sbaragliando la concorrenza.


Concorrenza che la Russia ostacola anche con l'opposizione - in base alla convenzione conclusa un mese fa tra i paesi rivieraschi - alla posa sul fondo del mar Caspio delle condutture per il gasdotto Trans-Caspico, necessario all'esportazione a ovest delle enormi riserve di gas turkmeno. E' prontamente intervenuta Pechino, assumendosi l'onere della costruzione di un gasdotto in direzione della Cina, in cambio del gas.


Insomma, da sempre, seguendo i percorsi di gasdotti e oleodotti, si riescono a chiarire anche diverse ombre sulle relazioni internazionali, sugli scontri, gli attacchi e le ritirate e, in qualche caso, anche a indovinare come mai, quando e dove tutti si aspetterebbero pesanti risposte militari a evidenti pesanti provocazioni, con l'uccisione di civili e di militari, ci si limiti invece a far la voce grossa e accettare scuse di prammatica. “Tanta è l'arte, che l'arte non si vede”, cantava il divino Ovidio.

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