«Una parte della comunità curda è stata illusa dalle promesse degli Stati Uniti», le parole della diplomatica e arabista russa Maria Chodinskaja-Golenisheva intervistata dal giornalista Maurizio Vezzosi per Treccani, riassumono bene la situazione che si è venuta a creare in Siria.
Sulla cosiddetta questione curda si è così espressa la diplomatica russa, che ha trascorso sette anni trascorsi alla rappresentanza permanente della Federazione Russa presso la sede ONU di Ginevra, mentre adesso si occupa delle questioni del Vicino Oriente a Mosca presso il ministero degli Affari esteri della Federazione Russa: «La questione curda è oggi molto complessa, così come lo è stata nel passato, e credo vada affrontata come quella delle altre minoranze che vivono in Siria. Una parte della comunità curda è stata illusa dalle promesse degli Stati Uniti: senza la piena integrazione della comunità curda nel processo politico in corso nel Paese è assai difficile risolvere la crisi siriana. In questo senso la Federazione Russa ha sempre sostenuto la necessità di far partecipare le rappresentanze curde alle discussioni che si sono svolte a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite. Non è un segreto che rispetto a questo le maggiori difficoltà siano state quelle prodotte dalla posizione della Turchia.
Credo che la problematica vada risolta con il dialogo tra la comunità curda e Damasco: un’opzione alternativa non esiste, ma capisco che non sia semplice. Damasco crede che una parte della comunità curda abbia ambizioni separatiste: una parte della comunità curda crede di essere stata l’unica a combattere contro l’Isis, e che Damasco non abbia fatto abbastanza in questo senso.
Penso sia necessario uscire da questa narrazione e insistere sul dialogo politico, soprattutto nella consapevolezza che presto o tardi il controllo sul territorio siriano verrà ripristinato nella sua interezza».
Altrettanto chiara è stata Maria Chodinskaja-Golenisheva quando ha spiegato i motivi che hanno spinto la Russia ad intervenire in Siria: «Nel 2015, quando è stata assunta la decisione di intervenire in Siria, sul campo si trovavano già alcune migliaia di jihadisti in armi arrivati dalla Federazione Russa e dalle altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica: questo fatto costituiva e costituisce tuttora una minaccia reale e concreta alla sicurezza nazionale russa. È molto importante comprendere questo. Con le guerre del Caucaso, a partire dagli anni Novanta, il nostro Paese ha conosciuto a proprie spese le conseguenze del terrorismo con gli attacchi agli edifici residenziali, alla metropolitana di Mosca, al teatro della Dubrovka, alla scuola di Beslan ed altri. Per queste ragioni la nostra società non accetta alcuna forma di tolleranza o di debolezza nei confronti del terrorismo. Intervenire militarmente in Siria, dunque, ha avuto tra i suoi obiettivi quello di impedire alle migliaia di jihadisti provenienti dal mondo ex sovietico di nuocere alla Federazione Russa.
Oltre a questo, non potevamo permettere che la distruzione avvenuta in Libia ed in Iraq finisse per verificarsi anche in un Paese come la Siria: nel 2015, anno in cui l’intervento è stato deciso, erano già stati compiuti crimini mostruosi contro le minoranze etniche e religiose ? inclusi i cristiani ? e Damasco stava rischiando di cadere sotto il controllo delle milizie jihadiste. L’intervento militare della Federazione Russa ha avuto ? ed ha ? tra i suoi obiettivi il sostegno alle forze armate siriane e la difesa dell’integrità territoriale del Paese, non quello di intromettersi nella sua politica».
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