Aiuti all'Italia, il vero volto "senza maschera" di UE e Nato


Di Fabrizio Poggi

La notizia non è di quelle “freschissime”; ma il fatto rimane. I quattordici (al momento) Il-76 dell'aviazione militare russa, con mezzi e personale sanitario militare e della Protezione civile, partiti dall'aeroporto “Chkalovskij” di Mosca e arrivati alla base aerea di Pratica di mare, per aiutare il balbettante esecutivo nostrano nella lotta al coronavirus, non hanno ricevuto il permesso di Varsavia ad attraversare lo spazio aereo polacco e hanno dovuto virare sull'aeroporto “Adler” di Sochi per rifornirsi di carburante, prima di puntare sull'Italia. Qualcosa come un migliaio di km in più, rispetto alla rotta diretta da Mosca verso Milano o Roma.

La cosa, certo, difficilmente avrà conseguenze pratiche nelle relazioni tra Roma e Varsavia: dopotutto, i principi della “fraterna e pacifica” Unione Europea e della “incondizionata solidarietà interalleata” NATO stanno al di sopra di tutto e, in fondo, la questione riguarda più direttamente i rapporti Mosca-Varsavia, che non quelli italo-polacchi. Certo, solo i maligni possono associare due eventi così “distanti”, quali l'imposizione del polacco “Istituto per la memoria storica” all'areonautica russa di star lontana dallo spazio aereo della Rzeczpospolita Polska, e l'approssimarsi di quel 13 aprile che, sin dall'epoca della strage nazista di Katyn' i pan polacchi imputano a Mosca. Si tratta forse di un modo per imporre alla Russia di fare pentimento, quando mancano una ventina di giorni all'anniversario di quel 10 aprile 2010 allorché, dicono i moderni epigoni della Szlachta polacca, Mosca avrebbe tirato giù l'aereo del presidente Lech Kaczy?ski che si stava recando proprio a Smolensk per la ricorrenza del massacro di Katyn', di cui quest'anno, secondo la versione nazi-polacca, cadrebbe l'ottantesimo anniversario?

Eppure, ben quattro presidenti, da Gorbacëv a Eltsin, da Medvedev a Putin, si sono cosparsi a sufficienza il capo di cenere, imponendo anche ai russi di pentirsi per una strage di cui Einsatzgruppen e Geheime Feldpolizei furono responsabili. Evidentemente, però, sulla Vistola non possono scordare come il generale ucraino Grigorij Omelcenko avesse svelato il segreto dell'incidente occorso nel 2010 al Tu-154, a Smolensk costato la vita a Kaczy?ski: provocato nientemeno che da agenti del FSB e del GRU facenti capo alla sezione “astrologia militare e magia nera”.

A ricordarsi di tutto, e aproposito di “permessi di transito”, viene in mente che proprio Varsavia fu tra le cause principali che determinarono il fallimento dei tentativi di alleanza anti-hitleriana tra URSS, Gran Bretagna e Francia: i pan polacchi si opposero, in più occasioni e in ogni modo (francesi e inglesi non è che comunque “sbavassero” per concludere quell'alleanza!) al transito dell'Esercito Rosso per venire in aiuto alla Cecoslovacchia, nonostante il Commissario alla difesa sovietico, Kliment Vorošilov avesse proposto due ben delimitati corridoi, attraverso Vilnius, allora polacca, e la Galizia.

Insomma, pare che alla base dell'odierno rifiuto placco al transito russo ci sia il solito “Istituto per la memoria storica”: quell'Istituto promotore della legge che prevede fino a tre anni di reclusione per chiunque osi definire “campi della morte polacchi” i lager nazisti in Polonia, oppure si azzardi a parlare di complicità nell'olocausto da parte di cittadini polacchi che denunciavano alla Gestapo interi gruppi di ebrei. Sarebbe sufficiente ricordare i lavori dello storico britannico Keith Lowe, del polacco Jan Grabowski, dello storico americano di origine polacca, Jan Gross. Ma: un'altra volta. Lo stesso Istituto che ha preso parte attiva anche all'elaborazione della legge voluta da estrema destra e fondamentalismo cattolico per cui, col pretesto di proibire le “organizzazioni che glorifichino il nazismo tedesco o un qualsiasi altro regime totalitario” ha di fatto messo fuori legge il Partito comunista polacco, accusandolo dell'uso di “simboli proibiti” e “glorificazione del comunismo”.

Ci sono però ipotesi meno “storicistiche” e molto più attuali sul perché del gesto dei pan oscurantisti di Varsavia: se il personale sanitario russo in Italia copre malcelati obiettivi di disgregazione della sacra Alleanza, almeno la Polonia potrà dire di aver fatto la propria parte di contrasto alla satanico intrigo dei “moskaly”. Certo: Varsavia non è Kiev; là, gli schiavi ucraini – tali erano per i pan settecenteschi e tali sembrano esser rimasti agli occhi della borghesia reazionaria odierna – non muovono dito senza aver ricevuto ordine diretto d'oltreoceano. Varsavia può invece mostrare, là dove si deve, che è in grado di prendere iniziative proprie e che tali iniziative debbano esser ricompensate, là dove si può: meglio se in euro, perché in dollari: hai visto mai. In ogni caso, ci si lasci dubitare che dal Quartier generale di Bruxelles non sia giunto il disco verde alla “autonoma” iniziativa polacca; nell'espansione a est di USA e NATO, la Polonia costituisce il vertice nell'accerchiamento militare della Russia e Washington è ben lieta di innalzare la Polonia a nuovo bastione della “democrazia”.

Il “Centro per le ricerche orientali” polacco scrive nero su bianco che “Il sostegno della Russia nella lotta al coronavirus può avere conseguenze per le future relazioni tra Mosca e Roma e per la posizione italiana riguardo la minaccia militare russa in Europa. I passi a dimostrazione della preparazione operativa russa nel prestare tali tipi di aiuti... permettono di vedere in essi un ulteriore elemento degli sforzi di Mosca per la distruzione della compattezza degli alleati NATO”. E che compattezza! La si è vista in azione nell'ultimo mese e l'iniziativa polacca ne è (per ora) il naturale coronamento: scusate il forse inopportuno accostamento virale. Nonostante tutto, a Varsavia non sembrano aver messo bene a fuoco il rivolgimento (dovremo forse convertirci tutti alla fede nel padreterno se non sfocerà in una guerra guerreggiata) di ruoli, posizioni, forze e “alleanze”, che proprio il virus contribuisce ad accelerare e rendere evidente anche a chi non lo voglia vedere. G

Gli osservatori di NTV riportano le parole di una cittadina italiana: “Sono felice che alla fin fine si sia potuta vedere la vera faccia della Unione Europea senza “maschera”. In questa pesante situazione, nel momento della crisi, l'Europa non muove un passo per uno dei paesi che la compongono”. Certo, ha fatto notare a tsargrad.tv il tenente-generale Igor Kirillov, responsabile della Difesa chimico-biologica delle Forze armate russe, l'esperienza che il personale sanitario militare russo può ricavare dalla missione in Italia nella lotta contro la diffusione del coronavirus non è secondaria: si tratta di una esperienza preziosa di attività in territorio straniero, a vantaggio di popolazione che non sia quella russa e a sostegno di un intero Stato. Bene: fatto sta che tale aiuto arriva, e non dall'Unione Europea o dalla NATO!


Non è possibile ignorare, d'altronde, anche un altro punto di vista, sul perché l'Italia abbia consentito l'arrivo di biologi militari russi. Tra i pettegolezzi da barbiere c'è anche chi arriva a dire che forte sarebbe stata la pressione sul Cremlino e su Palazzo Chigi da parte di Vladimir Solovëv (il Bruno Vespa russo), ansioso di poter tornare a passare le vacanze sul lago di Como, dove a suo tempo, aveva realizzato l'ennesima, non molto riuscita, ricostruzione del famigerato “oro di Dongo”.

Tanto per cercare di sdrammatizzare.


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