Shitstormimg liberal contro Chef Rubio: Israele non si può criticare


di Fabrizio Verde


Quelli che si ammantano delle vesti più democratiche sono spesso i primi a smentire nei fatti quanto affermano per principio. Abbandonano il principio democratico con le peggiori offese dove trasudano snobismo e una presunta quanto inaccettabile superiorità intellettuale.

Una rappresentazione plastica l’abbiamo avuta in occasione dello scambio polemico venutosi a creare tra Chef Rubio e il giornalista Enrico Mentana.

Quando lo chef romano ha definito il giornalista come «il peggior sionista» è partita la reazione molto poco politically correct dei liberali nostrani. Non hanno perso occasione per confermare la loro stucchevole doppia morale.

Enrico Mentana non ha trovato di meglio che definire Rubio «lo chef del paese» in maniera sprezzante. In ‘soccorso’ di Mentana è arrivato anche il comico Luca Bizzarri; «Il peggior sionista. Minuti che mi chiedo chi sarà il migliore»; il giornalista del Corriere della Sera, Tommaso Labate scrive «vieni avanti cheffino».

Come possiamo vedere tutta la tolleranza, i discorsi contro gli haters, l’odio in rete e via dicendo viene a cadere quando qualcuno tocca certi nervi scoperti. Uno di questi è sicuramente il sostegno acritico da parte di buona parte dei liberal-liberali italici alle malefatte criminali di Israele.

Nella sua risposta, inoltre, Mentana scrive rivolto a Rubio: «Per farlo tacere bisognerebbe rispondergli: 'Parla di quel che sai’».

Abbiamo quindi deciso di dare voce a qualcuno che conosce bene a situazione in Palestina come Oren Ben Dor. Israeliano, già professore di legge e filosofia presso l’University of Southampton School of Law, nel Regno Unito.

«L’entità statale di Israele è fondata su un’ideologia ingiusta che è causa di umiliazione e sofferenza inflitta a coloro che sono classificati come non-ebrei, secondo parametri religiosi o etnici. Per nascondere questa immoralità primordiale, Israele incrementa per sé un’immagine di vittima. Provocare la violenza, consapevolmente o inconsapevolmente, contro la quale si deve poi difendere è un aspetto determinante della mentalità vittimistica. Dal momento che ha bisogno di perpetuare un simile tragico ciclo, Israele è uno Stato terrorista come nessun altro. (...).

La stessa creazione di Israele richiese un atto di terrore. Nel 1948, la maggior parte degli abitanti indigeni non-ebrei subirono la pulizia etnica e furono espulsi da quella parte della Palestina che divenne Israele. Questa operazione era stata attentamente pianificata. Senza la pulizia etnica, non sarebbe stato possibile fondare uno Stato con una maggioranza e un carattere ebraico. Dal 1948, gli «arabi israeliani», quei palestinesi che riuscirono ad evitare di essere espulsi, hanno subito una continua discriminazione. Nei fatti, molti sono stati dislocati nello stesso Israele, ufficialmente per «ragioni di sicurezza», ma in realtà allo scopo di prendere le loro terre e darle agli ebrei. Non è forse sicuro che la memoria dell’Olocausto e il desiderio di Eretz Israel (la terra d’Israele, dal Nilo all’Eufrate, ndt) non sarebbero mai stati sufficienti per convincere il mondo della necessità della pulizia etnica e di uno Stato etnocratico? Allora per evitare la destabilizzazione che verrebbe da una indagine sull’eticità di Israele, lo Stato israeliano ricorre anche ad altri mezzi per nascondere il problema centrale, e lo fa alimentando una mentalità vittimistica tra gli ebrei israeliani. Per tenere in piedi quella mentalità e per mantenere l’impressione davanti al mondo che gli ebrei sono le vittime, Israele deve alimentare le condizioni della violenza. Tutte le volte che le prospettive di violenza contro di esso diminuiscono, Israele deve fare il massimo per ricrearle: il mito che Israele è una povera vittima che cerca la pace e che però non trova «nessun partner per la pace» è un elemento fondamentale nel quadro che Israele ha elaborato per nascondere la sua immoralità primordiale e continua».

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