NOTAV. Giuristi Democratici: Dana Lauriola, un’incarcerazione inspiegabile ed inaccettabile

Il sito https://www.notav.info/ riporta la presa di posizione dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici sull’arresto di Dana. Una riflessione che sottolinea come l’intero iter giudiziario che ha portato alla sua condanna sia macchiato di un’evidente eccezionalità in virtù del fatto che Dana vive in Valsusa e fa parte del movimento No Tav.

La condanna per la quale Dana Lauriola, attivista e portavoce del movimento No-Tav, è stata condotta in carcere qualche giorno fa, è relativa ad una manifestazione tenutasi nel 2015, dopo che un altro attivista del Movimento era caduto da un traliccio su cui era salito, nel corso di una manifestazione, per sfuggire a un poliziotto che lo inseguiva.

Quella manifestazione di protesta contro l’accaduto, chiamata “Oggi paga Monti”, aveva avuto come obiettivo un casello dell’Autostrada Torino-Bardonecchia, ove i manifestanti, senza alcuna violenza fisica alle persone, ma con interventi sulle strutture, avevano tenuto aperti i passaggi da cui gli automobilisti erano transitati gratuitamente.

La Lauriola era stata condannata per il suo contributo morale, per avere parlato con un megafono durante la manifestazione.

Purtroppo, il Tribunale di Torino, come troppo spesso accade, ha irrogato una pena per il reato di violenza privata e di interruzione di servizio di pubblica necessità lontana dalla pena edittale minima, ma soprattutto dai criteri di applicazione delle pene in altri processi per identici reati; la sentenza è stata, poi, confermata in sede di appello e di Cassazione.

La responsabilità principale dell’attuale situazione va perciò fatta risalire alla sentenza di primo grado che non solo ha irrogato una pena spropositata, ma non ha concesso a nessuno degli imputati la sospensione condizionale della pena, pur sussistendone, in astratto, la concedibilità.

Dana, così, ha dovuto presentare istanza di ammissione all’affidamento in prova o, in subordine, di detenzione domiciliare al Tribunale di Sorveglianza di Torino, cui ha dimostrato anche la sua attività lavorativa e il suo pieno inserimento sociale.

Con un provvedimento francamente inaccettabile ed inspiegabile, il Tribunale di Sorveglianza ha respinto entrambe le richieste con una motivazione che lascia esterrefatti.

In termini concreti si può dire, in un caso come questo, che non c’è limite al peggio, se solo si ha riferimento alle motivazioni utilizzate dal Tribunale di Sorveglianza. Esse, infatti, si basano su due aspetti principali: il fatto che Dana non abbia preso le distanze dal Movimento No-Tav, (quasi che anche solo la simpatia fosse sintomo di pericolosità) e la circostanza che il luogo della sua abitazione sia in Valsusa, all’interno, perciò, dei territori in cui vive l’opposizione alla linea ferroviaria Torino-Lione.

Dunque, ciò che fa ritenere Dana pericolosa socialmente, al punto di doverla costringere a scontare in carcere la pena, pur essendo incensurata prima di questa condanna, è il fatto di non aver abdicato ai suoi ideali e di aver scelto come luogo di residenza proprio quella Valle ritenuta in sé pericolosa per il movimento che ospita ormai da 30 anni.

Evidentemente, questa decisione costituisce una sorta di avviso ai militanti No-Tav, per molti dei quali a breve le sentenze di condanna per episodi anche di minor conto di quello qui esaminato diventeranno definitive: o si abiura a quegli ideali, oppure lo Stato sarà inflessibile esecutore della pena inframuraria.

In conclusione, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza dimostra, ancora una volta, come siamo di fronte all’applicazione di quel “diritto penale del nemico” che si allontana sempre più dal diritto penale classico applicabile a ogni cittadina e cittadino.

Non possiamo che protestare vivamente contro provvedimenti di questo tenore: chiediamo pertanto che la magistratura, soprattutto torinese, comprenda le ragioni della protesta e del dissenso sociale ed adegui le pene, quando le responsabilità siano accertate, in considerazione delle motivazioni sociali alla base dei comportamenti che le hanno determinate, tornando a considerare la pena un istituto volto alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, come disposto dall’articolo 27 della Costituzione ed a rammentare il principio di concreta offensività della condotta, almeno in collegamento con la residua pericolosità del condannato. Principi che nel caso di Dana Lauriola non appaiono minimamente rispettati.

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