Sul perché sia importante il conflitto tra Armenia e Azerbaigian nei territori contesi del Nagorno Karabah e come questa vicenda ci riguarda da vicino vi rimandiamo all’analisi di Alberto Negri sul Quotidiano del sud.
È importante e molto, come è noto, la storia in questa vicenda. Ma il presente e le variabili geopolitiche in gioco lo sono di più. "Ci stiamo preparando per una guerra a lungo termine. Perché? Perché, lo ripeto, l'attore principale qui non è l'Azerbaigian ma la Turchia". A dichiararlo ad un programma YouTube lettone è stato Vagarshak Harutiunian, ex ministro della difesa, attuale consigliere del primo ministro armeno e uno dei massimi esperti delle vicende nella regione contesa.
Secondo Harutiunian, Ankara è "direttamente coinvolta" nel conflitto nella regione che, sebbene rivendicata dall'Azerbaigian, funziona "de facto" come uno stato indipendente con forti legami con l'Armenia.
RT, principale organo di comunicazione russo e il termometro più affidabile delle emozioni al Cremlino, non a caso ha oggi dato ampio risalto alle parole di Harutiunian, secondo cui il conflitto non finirà presto. "La sua durata dipenderà da molti fattori", tra cui "come si svolgeranno le ostilità [e] la reazione della comunità internazionale".
Il ministro armeno ha poi criticato la Turchia per aver usato l'Azerbaigian e "spinto" quel paese in un conflitto bellico per promuovere i propri interessi geopolitici nella regione. In questo contesto, ha concluso, "Ankara oggi si comporta come un 'Terminator' ed è in guerra praticamente con tutti i suoi vicini”.
Sul perché la Russia sia molto interessata alla vicenda che allarga de facto lo scontro con la Turchia su un terzo fronte, dopo Siria e Libia, lo spiega molto bene Paul Robinson, professore all'Università di Ottawa, esperto di storia russa e sovietica, in un editoriale pubblicato oggi sempre e non a caso da RT.
“L'Azerbaigian non ha mai dimenticato l'umiliazione degli anni '90 per mano dell'Armenia. Ora più forte del suo nemico giurato e incoraggiato dal sostegno turco, l'assertività di Baku sta creando un mal di testa per Mosca.”, scrive Robinson.
Dopo aver ben ricostruito le vicende del federalismo sovietico e la differenza tra “repubbliche autonome” e “regioni autonome” nell'Unione Sovietica, Robinson scrive come la dissoluzione ha portato indipendenza solo alle prime lasciando aperte molte questioni nelle seconde, come nel caso della regione autonoma del Nagorno-Karabakh, un'enclave armena all'interno dell'Azerbaigian. Dopo il tentativo di separarsi dall'Azerbaigian e di unirsi con l'Armenia, la guerra che scoppiò al momento della dissoluzione dell'URSS si è conclusa con una vittoria armena. “Non solo gli armeni riuscirono a scacciare gli azeri dal Nagorno-Karabakh, ma conquistarono anche una fascia di territorio azero che collegava l'Armenia con la regione separatista”, scrive Robinson.
Il Nagorno-Karabakh, da allora autoproclamato stato indipendente, non riconosciuto da nessuno e interamente dipendente dal sostegno armeno, è stato al centro di 30 anni di scontri tra Armenia e Azerbaijan, che non ha mai abbandonato la sua rivendicazione sulla sua provincia perduta.
Questo fine settimana, la violenza è divampata di nuovo ma ad un livello da guerra totale. Un livello che preoccupa molto la Russia per il quadro geopolitico attuale.
E quali sono le variabili che preoccupano Mosca per lo storico di Ottawa? Innanzitutto, l'Azerbaigian è molto più forte militarmente – per gli ingenti investimenti negli anni grazie ai proventi petroliferi – ed economicamente di quando ha subito la sconfitta per mano dell'Armenia 30 anni fa. Quindi, ha tutte le intenzioni di arrivare ad uno scontro totale forte anche dei 10 milioni di abitanti contro i 3 milioni di armeni. Ma soprattutto, prosegue Robinson, per il pieno sostegno attivo del suo principale alleato, la Turchia. Il presidente turco Recep Erdogan ha invitato "il mondo intero a schierarsi con l'Azerbaigian nella sua battaglia contro l'invasione".
E questo sostegno turco sta incoraggiando, prosegue lo storico di Ottawa, la leadership azera a non fare marcia indietro, con il livello dello scontro che sta assumendo connotati diversi dalle scaramucce e scontri del recente passato. E proprio per questo, la Russia, che ha ufficialmente adottato una posizione di neutralità nella disputa del Nagorno-Karabakh e invitato tutte le parti a risolvere pacificamente le loro divergenze, sostiene uno status quo che questa volta potrebbe essere infranto. Ed è a favore dello status quo, ricorda correttamente Robinson, perché essere per lo status quo siginifica favorire l'Armenia, paese membro dell’Unione economica Eurasiatica.
“Il conflitto nel Nagorno-Karabakh contrappone quindi indirettamente la Russia alla Turchia. Mina anche una narrativa comune che afferma che la Russia cerca di minare la democrazia e promuovere forme di governo autoritarie. Dopo tutto, l'alleato della Russia, l'Armenia, è una democrazia, mentre l'alleato della Turchia, l'Azerbaigian, non lo è. Il Nagorno-Karabakh non è l'unico luogo in cui i delegati russi e turchi si scontrano. In Siria, la Russia ha appoggiato il governo di Bashar Assad mentre la Turchia ha sostenuto i ribelli anti-Assad nella provincia di Idlib. E in Libia, si dice che la Russia sostenga il generale Khalifa Haftar, mentre la Turchia ha recentemente inviato sostanziali aiuti al governo di Tripoli”, sintetizza Robinson.
Tom Fowdy, nota analista britannico di politica internazionale, sempre su RT oggi (e davvero non è un caso) scrive come nel conflitto Azerbaigian-Armenia, “la Turchia gioca il ruolo della classica potenza media e mira a coinvolgere Russia e Stati Uniti nella situazione perseguendo i propri interessi.”
Secondo Fowdy, “nonostante il fatto che Ankara definisca l'Armenia come "la più grande minaccia per la regione", il vero problema è la politica estera apertamente espansiva e nazionalista della Turchia, e il suo obiettivo di stabilire un'egemonia regionale. Ankara sta diventando una forza destabilizzante crescente per Medio Oriente e Caucaso”.
Nelle scelte di Ankara, prosegue nella sua analisi l'analista britannico, rientrano anche “motivazioni geopolitiche per inserirsi nel conflitto, tra queste, in particolare, la ricerca di maggiori gettoni di contrattazione contro Mosca. La politica estera turca non aderisce a nessun ideale universalista, nonostante i suoi legami con l'Occidente. Ciò si traduce in una politica estera che cerca in primo luogo di proteggersi e di mantenere costantemente ambiguità nei suoi rapporti tra Mosca e l'Occidente, sperando di trarre vantaggio dalle sue relazioni con entrambi senza impegnarsi in una seria amicizia.”
Quali saranno quindi le future scelte di Mosca con il terzo fronte che si apre con la Turchia? Robinson offre questa risposta: “La Russia ha quindi buone ragioni per considerare la Turchia come uno spolier che voglia minare l'influenza russa nel Caucaso, nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Ma la Russia non è l'unico Stato che la Turchia ha irritato negli ultimi anni. La Turchia ha attualmente pessime relazioni con gli altri membri della NATO, e questo offre un'opportunità che la Russia può sfruttare a proprio vantaggio. Anche ad Ankara si prospettano opportunità economiche, come dimostrato dalla recente decisione turca di acquistare missili di difesa aerea S-400 di fabbricazione russa. Di conseguenza, ogni volta che negli ultimi anni Russia e Turchia si sono scontrate, il Cremlino ha cercato di calmare rapidamente le cose. Non sorprende che ora stia adottando lo stesso approccio per quanto riguarda la situazione nel Nagorno-Karabakh. Da un lato, la Russia deve sostenere il suo alleato armeno. Dall'altro, vuole evitare un'escalation che lo porterebbe in conflitto con la Turchia. Un ripristino del cessate il fuoco e dello status quo ante sarà l’obiettivo di Mosca. Per ora, questo approccio potrebbe funzionare. A lungo termine, tuttavia, considerazioni economiche e demografiche significano che il potere nel Caucaso meridionale probabilmente continuerà a spostarsi a favore dell'Azerbaigian. Allo stesso modo, l'azione di bilanciamento della Russia nei confronti della Turchia potrebbe diventare sempre più difficile da mantenere”, conclude Robinson.
E potrebbe essere sempre più difficile da sostenere perché, sempre RT e non a caso, ci informa, riportando un approfondimento del Guardian a proposito, come la Turchia stia presumibilmente spostando migliaia di terroristi “ribelli moderati” addestrati dalla Siria al confine con l’Armenia. Potrebbe essere questa la scintilla che renderebbe impossibile per Mosca continuare con la sua politica di bilanciamento.
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