USA: Biden presidente. Nessun motivo per festeggiare



di Fabrizio Verde

Festeggiamenti, giubilo, gioia internazionale. Joe Biden riesce ad agguantare il numero sufficiente di grandi elettori per essere nominato 46° presidente degli Stati Uniti d’America. Sconfitto il ‘mostro’ Donald Trump. Nessuno qui si sogna di difendere un reazionario come Trump. Nemico giurato di ogni istanza socialista o anche solo timidamente antimperialista. Ma celebrare l’elezione di Biden come foriera di nuove speranze o significativi cambiamenti negli USA, ci sembra francamente eccessivo.

Joe Biden, bisogna sempre tenerlo a mente, era pur sempre il vice del premio 'Nobel per la Pace' Barack Obama. Altro presidente celebrato come una speranza di cambiamento per gli states. Sappiamo tutti come è andata. Il 'Premio Nobel per la Pace', durante la sua presidenza ha sganciato bombe su Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria. Ha imposto sanzioni criminali contro il Venezuela, definito «minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale», armato i golpisti a Caracas così come a Managua nel tentativo, naufragato, di rovesciare il governo sandinista guidato dal Comandante Daniel Ortega in Nicaragua. Sostenuto le operazioni di lawfare in America Latina che hanno condotto al golpe parlamentare contro Dilma Rousseff in Brasile e il killerraggio politico dell’ex presidente argentina Cristina Kirchner.

La famiglia Biden ha legami e affari poco chiari con i neonazisti in Ucraina. Hunter Biden - figlio di Joe - entrò nel consiglio d'amministrazione della Burisma Holdings, compagnia ucraina del gas, nel maggio 2014, con uno stipendio di 50 mila dollari al mese. Il figlio di Biden venne scelto nonostante non parlasse la lingua e non avesse particolari esperienze nel campo energetico. Ma venne cooptato pochi mesi dopo la decisione di Obama di affidare al suo vice il compito di seguire la transizione politica in Ucraina. Dove per transizione si intende la rivoluzione colorata che ha portato al potere in Ucraina i neonazisti in luogo del presidente Viktor Yanukovich.

Insomma, i sinceri democratici e antimperialisti non hanno motivi per celebrare l’elezione di Joe Biden. D’altronde bisogna comprendere che negli Stati Uniti vige un regime a partito unico. Le politiche e gli interessi portati avanti sono i medesimi. Solo che questo partito è diviso in due tronconi: Democratici e Repubblicani.


Magari cambieranno le forme, ma la natura rapace, guerrafondaia e profondamente antidemocratica del regime statunitense è immutabile.

Non possiamo non concordare con il candidato alle presidenziali per il Green Party - di cui non conoscete l'esistenza a causa delle storture di un sistema falsamente democratico come quello statunitense - Howie Hawkins, quando afferma tramite il proprio profilo Twitter: "Non importa chi siede alla Casa Bianca, continueremo a lottare per la giustizia sociale, la democrazia e i diritti umani centrati sulle persone".


C'è un però. Se il vecchio Jo dovesse scegliere la via della Carta delle Nazioni Unite in luogo della vecchia e già battuta strada delle bombe, delle sanzioni e dei crimini internazionali, siamo pronti a fare ammenda. E saremo anche i primi a scriverlo. L'augurio è quello di poter raccontare con stupore delle politiche di discontinuità applicate dall'amministrazione Biden. Ci pare assai arduo questo possa accadere viste le premesse. Ma non vogliamo porre limiti alla provvidenza.

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