«La Libia prima del 2011 era unita: sono convinto che tornerà ad esserlo. Il processo di cambio del potere è stato molto difficile e sanguinoso. Da allora ognuna delle nostre regioni, delle tribù, delle città ha pensato unicamente ai propri interessi. L’assenza dello Stato centrale ha favorito i tribalismi centrifughi. Abbiamo finito con l’avere tre governi paralleli, due parlamenti, due banche centrali, numerose micro-agenzie del petrolio e via dicendo per tutte le istituzioni nazionali», così il nuovo primo ministro libico Dabaiba intervistato dal Corriere della Sera fotografa il suo paese devastato dalla guerra scatenata dalle forze NATO per rovesciare Gheddafi.
A tal proposito scrive l’analista russo esperto di Medio Oriente, Vladimir Platov, su New Eastern Outlook: «Dieci anni fa, Washington scatenò l’aggressione armata totale contro la Libia. Il 17 marzo 2011, Washington non solo ingannò la comunità mondiale, creando un’immagine di supporto universale e legalità delle operazioni militari in Libia, ma dichiarò guerra usando le mani di qualcun altro. L’invasione del Paese nordafricano coinvolse 17 Paesi, oltre agli Stati Uniti, e il lavoro sporco fu svolto dagli europei, ovvero francesi, italiani e britannici».
In particolare Stati Uniti e Francia furono in prima linea nella devastazione della Libia: «Gli Stati Uniti erano preoccupati dal successo del cosiddetto “socialismo arabo” e dalla crescente influenza internazionale della Libia e di Gheddafi. Inoltre, Gheddafi intraprese la guerra politica con Arabia Saudita e Qatar e finanziò segretamente la campagna elettorale presidenziale di Nicolas Sarkozy in Francia. Inoltre, fu Gheddafi a invadere il sancta sanctorum del sistema finanziario mondiale in dollari, proponendo di creare una valuta araba globale alternativa, il dinaro d’oro. Ecco perché, con aperta vanteria, i nemici occidentali e arabi della Libia uccisero Gheddafi davanti le telecamere (con grida pubbliche di estatica ammirazione da parte di Hillary Clinton) e con estrema ferocia. Successivamente sequestrarono decine di miliardi di dollari dal Fondo nazionale di sviluppo libico e dal Fondo petrolifero delle banche internazionali, come presunto denaro rubato di Gheddafi, lasciando il Paese in rovina ad affrontare il proprio destino.
Le operazioni militari furono guidate dalla Casa Bianca, prima con l’aiuto del Comando africano degli Stati Uniti, poi con l’uso della NATO, ma ancora sotto il comando di Washington. Il capo organizzatore dell’operazione al Pentagono, oltre all’aviazione d’attacco e da bombardamenti, portarono delle forze impressionanti sulle coste libiche: quattromila marines con un gruppo d’assalto anfibio sempre pronto, il 22° Corpo di spedizione dei marine, due cacciatorpediniere classe Arleigh Burke, due sottomarini nucleari polivalenti classe Los Angeles, un sottomarino nucleare strategico classe Ohio. Sforzandosi di tenere il passo con Washington e i suoi alleati occidentali, in particolare, la Francia schierò quattro fregate e la portaerei Charles de Gaulle. Sebbene la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite prevedesse solo un regime di non volo sulla Libia, gli aerei statunitensi e della NATO furono i primi a colpire obiettivi terrestri in Libia. In 7 mesi furono effettuate 30mila sortite, 40mila bombe e missili lanciati. 6400 persone furono immediatamente uccise e 15000 ferite. Anche alla vigilia dell’operazione con la partecipazione dell’aviazione navale della NATO in Libia, i gruppi tribali locali e islamisti ostili al governo libico furono finanziati e armati, e forze speciali, soprattutto dal Qatar, si infiltrarono nel Paese per incitare a scontri armati».
Così anche l’Italia prese parte alla distruzione del suo miglior alleato sulla sponda nordafricana, nonché fornitore di energia come petrolio e gas.
Ma il nuovo premier Dabaiba nella già citata intervista al Corriere auspica un ritorno delle aziende italiane in Libia. «Con Draghi esamineremo quali aziende importanti italiane vorremo facilitare. Penso per esempio a grandi gruppi, come Salini Impregilo, con cui abbiamo in trattativa un contratto per oltre un miliardo di dollari. Io stesso quando ero un uomo d’affari, ai tempi degli accordi Gheddafi-Berlusconi nel 2008, lavorai come supervisore per quei progetti. Vorrei davvero vedere tante piccole aziende italiane tornare a lavorare e la vostra ambasciata in piena attività per favorirle. Alitalia dovrebbe presto riaprire con noi, come del resto le nostre linee aeree volare su Roma e Milano. Quanto all’Eni, è un partner fondamentale per petrolio e gas. Mi attendo che investa anche per la difesa del nostro ambiente e lo sviluppo. Si è cominciato già con il progetto di piccoli sistemi a pannelli solari, potranno aiutare a fornire energia pulita in vista del caldo estivo. Ma spero che Eni lavori anche per migliorare i nostri ospedali. I loro tecnici parteciperanno all’esplorazione di nuovi pozzi in Cirenaica».
Vedremo se nel futuro effettivamente possa riprendere un cammino di stabilità. Resta però il fatto che la devastazione del paese nordafricano targata NATO ha trasformato la Libia nel «il più grande esportatore regionale di instabilità e caos, ma gli Stati Uniti, che di recente si sono battuti per la sicurezza dei libici, ignorano ipocritamente il paese», come evidenzia l’analista russo Platov.
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