di Alberto Fazolo - Contropiano
Lo scorso 19 febbraio il quotidiano La Stampa ha pubblicato un articolo del famoso filosofo e politico francese Bernard-Henri Levy. L’articolo contiene un resoconto del suo recente viaggio in Ucraina e del tour compiuto insieme all’esercito lungo la linea del fronte nel Donbass.
Tralasciando ogni giudizio sull’autore, sull’articolo e sul senso del viaggio, va comunque segnalato che questi ci fornisce (involontariamente) un dato preziosissimo: Levy ci testimonia di un grave crimine di guerra compiuto dagli ucraini.
Nel suo reportage Levy racconta di muoversi con i soldati e afferma di viaggiare lungo la linea del fronte con “una falsa ambulanza spacciata per vera, blindata, ricoperta di croci rosse“.
Una cosa inammissibile che va severamente sanzionata, infatti la Convenzione di Ginevra vieta questo genere di espedienti. Utilizzare le insegne mediche per condurre operazioni militari oltre che un crimine adeguatamente normato, è anche qualcosa di riprovevole dal punto di vista umano.
Da molti anni ormai circola la voce che l’esercito ucraino utilizzasse i mezzi sanitari per movimentare le truppe e condurre operazioni militari. Con il resoconto di Levy non solo arriva la conferma, ma si testimonia di un’ulteriore salto di qualità: non più mezzi sanitari usati per le operazioni, ma mezzi blindati camuffati da mezzi sanitari. Un altro caso in cui la (triste) realtà supera l’immaginazione.
Questo però ci aiuta a capire le reali dinamiche dei fatti che a volte sembrano troppo meschini per poter essere possibili. Sul campo di battaglia l’Ucraina ha una condotta criminale e immorale, un qualcosa che ci viene costantemente confermato dai fatti (il caso più eclatante è il costante bombardamento indiscriminato di edifici civili), ma sul quale la comunità internazionale non vuole prendere posizione. Il motivo è noto e risiede nel fatto che spesso i valori vengono piegati alla convenienza geopolitica: i nostri governi stanno facendo un gioco in cui si può solo perdere, tanto la partita quanto la propria identità.
Bisogna inoltre ricordare che in Donbass l’OSCE ha schierato sul campo dei propri osservatori che dovrebbero vigilare proprio su fatti del genere. A questo punto non c’è scusa che tenga: il crimine, già più volte denunciato, è stato involontariamente confessato e quindi non può bastare l’apertura di una qualche inconcludente investigazione. L’OSCE se vuole salvare la faccia intervenga nella maniera più celere e risoluta possibile. Se così non fosse, non solo l’OSCE perderebbe ulteriormente di credibilità, ma soprattutto si assesterebbe un duro colpo al Diritto Internazionale e alla Pace.
Questa volta non si può far finta di non sapere, bisogna porre fine a questi crimini e sanzionare i responsabili.
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