“Sin dal suo inizio, nel 2015, gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo cruciale nel supportare la guerra a guida saudita nello Yemen. Tuttavia, dopo otto anni di guerra e dopo i drammatici mutamenti geopolitici che hanno avuto luogo nello Yemen, nell’Asia occidentale e nel mondo, gli obiettivi di Washington adesso sono diversi da quelli del suo Stato cliente saudita”. Così l’incipit di un articolo di The Cradle.
L’articolo spiega come gli Usa abbiano supportato in tutto e per tutto l’aggressione “brutale e non provocata” di Riad in Yemen – per usare i due aggettivi ripetuti ossessivamente dalla stampa americana per connotare l’invasione russa -, attraverso la quale hanno tentato di riprendere il controllo del Paese, perso da quando i ribelli houti hanno osato spodestare il dispotico fantoccio filo-occidentale al potere.
In questi lunghi anni di stragi ininterrotte, gli Stati Uniti “hanno fornito ai sauditi una gamma completa di attrezzature e servizi: armi di precisione, supporto militare e logistico e sofisticate immagini satellitari”.
“Tra il 2010 e l’inizio della guerra nello Yemen del 2015, gli Stati Uniti hanno venduto all’Arabia Saudita armamenti per un valore di appena 3 miliardi di dollari. Tra il 2015 e il 2020, quel numero è salito alle stelle, fino a toccare l’incredibile cifra di 64,1 miliardi di dollari, senza contare un equivalente aumento di armi vendute ai paesi che hanno affiancato i sauditi nel conflitto yemenita, come ad esempio gli Emirati Arabi Uniti”.
Ricordiamo che il conflitto ha causato la morte di oltre 370mila persone (stime del 2021), ha ucciso o ferito gravemente 11mila bambini, creato oltre 4 milioni di sfollati, il 79% dei quali donne e bambini, ridotto allo stremo 20 milioni di persone, le quali hanno un “disperato bisogno di assistenza”, come registra l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite. A causare tante ristrettezze non è solo la guerra, ma anche il blocco internazionale, che spesso ha riguardato anche gli aiuti umanitari, che da anni strangola il Paese.
Ma un fatturato di oltre 100 miliardi di dollari (tanto dovrebbe aver incassato l’apparato militar industriale Usa se si sommano le forniture a sauditi ed emirati) sembra valere queste immani sofferenze, al cui confronto quelle del popolo ucraino, pure tragiche, impallidiscono.
A far cassa, peraltro, non sono solo le aziende produttrici di armi, come annota ancora The Cradle. Infatti, all’acquisto di armamenti si associano “i servizi logistici che le società statunitensi svolgono per conto delle forze armate dell’Arabia Saudita (SAAF), contratti che superano di gran lunga il valore delle vendite di armi”.
Si comprende perché questa sporca guerra non riesce a trovare una soluzione, nonostante Biden avesse promesso di porvi fine subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca.
Ma qualcosa è cambiato. Da quanto Riad si è sganciata dall’orbita Usa il conflitto ha conosciuto lunghi periodi di tregua, che hanno tenuto nonostante le tante violazioni del cessate il fuoco (che hanno causato ulteriori danni e vittime).
E ora i sauditi sembrano intenzionati a sottrarsi alla pugna, mettendo fine all’aggressione. Tale prospettiva è compresa nell’accordo siglato nei giorni scorsi a Pechino da Teheran e Riad.
Lo riferisce anche la conclusione dell’articolo di The Cradle: “Nonostante il brutale assedio imposto allo Yemen, l’esercito yemenita ha notevolmente potenziato le sue capacità offensive e la qualità dei suoi progressi militari, costringendo il Regno a cercare una via di uscita dalle ostilità per proteggere gli ambiziosi progetti economici nazionali del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e salvare la faccia per la sconfitta subita in Yemen”.
“Questa è l’attuale priorità interna di Riyad. Ma occorre considerare che gli Stati Uniti […] insistono nel voler mantenere aperto il conflitto dello Yemen per poterlo usare come leva nelle loro strategie regionali a più ampio raggio. Ciò comprende lo sfruttamento delle catastrofiche conseguenze umanitarie della guerra per aumentare la pressione interna su Ansarallah [cioè gli Houti ndr]”.
“Insomma, prorogando all’infinito la tregua esistente – ma solo a condizione che il blocco economico dello Yemen continui –, porre fine alla guerra non rientra nei piani di Washington”. Da qui una “divergenza” tra Riad e Washington, come da titolo dell’articolo citato, che però non permette ancora ai sauditi di liberarsi dalla morsa del potente alleato.
Ma gli accordi di Pechino con l’Iran, come abbiamo scritto, potrebbero aiutare Riad a divincolarsi. Ciò perché tali accordi sono molto più che una semplice tregua tra i due rivali regionali, un semplice ripristino dei rapporti diplomatici. A Pechino, infatti, i Paesi rivali hanno siglato accordi riguardanti la mutua sicurezza.
In base a tali accordi, ad esempio, Riad ha promesso di non finanziare più i movimenti che Teheran ritiene terroristi e che tanto filo da torcere hanno dato alla Sicurezza iraniana. E Teheran a sua volta impedirà agli houti di attaccare entro i confini dell’Arabia Saudita, evitando a Riad le ritorsioni che in passato hanno flagellato il suo territorio.
A elencare nel dettaglio gli accordi raggiunti dai due Paesi è un altro articolo di The Cradle, che riporta informazioni di prima mano, e che, oltre a evidenziare il ruolo decisivo svolto dalla Cina in tale processo, spiega come l’intesa abbia come obiettivo la stabilizzazione del Medio oriente, che sia Teheran che Riad ritengono ormai vitale per raggiungere i propri obiettivi nazionali (1).
E conclude: “La cosa forse più significativa e che illustra meglio la determinazione delle parti a concludere un accordo senza influenze esterne, è che le delegazioni dell’intelligence iraniana e saudita si sono incontrate nella capitale cinese per cinque giorni senza che l’intelligence israeliana ne fosse a conoscenza”.
(1) A indicare le nuove prospettive di Riad anche un articolo del National Interest, che documenta come i sauditi si apprestino a diventare “un hub tecnologico” globale. E annota come “Riyadh ha fatto della trasformazione digitale un obiettivo fondamentale. Tuttavia, considerando le realtà geopolitiche contemporanee, [per ottenere risultati sperati] Riyad deve abbracciare la diplomazia, l’autonomia strategica e una prospettiva multipolare”.
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