Le elezioni nella regione autonoma della Gagauzia hanno visto una sfida tra candidati considerati filorussi. Abbastanza per etichettare l’esito come non valido, secondo il doppio standard del governo atlantista di Chisinau.
L’Unità Territoriale Autonoma della Gagauzia è un’area della Moldova situata nella parte meridionale dell’ex repubblica sovietica, caratterizzata dalla forte presenza dell’etnia turcofona dei gagauzi, che dà appunto il nome alla regione, e rappresenta l’82% della popolazione complessiva. Per questa sua specificità, la Gagauzia gode di un’ampia autonomia, accordata dal governo di Chi?in?u nel 1994. Inoltre, la Gagauzia si è sempre distinta per la sua forte impronta filorussa, come hanno dimostrato gli esiti elettorali nel corso degli anni.
Dopo otto anni di governo da parte della filorussa Irina Vlah, le elezioni di quest’anno, svoltesi su due turni tra il 30 maggio e il 14 aprile, hanno confermato l’orientamento della regione verso Mosca con l’elezione di una nuova governatrice (baskan), Evghenia Gutul, rappresentante del partito euroscettico e filorusso SOR. Gu?ul ha ottenuto il 26,47% delle preferenze al primo turno e il 52,34% al ballottaggio, battendo Grigorii Uzun, del Partito dei Socialisti della Repubblica di Moldova (Partidul Sociali?tilor din Republica Moldova, PSRM), altra formazione considerata filorussa ed euroscettica, ma con un orientamento marcatamente socialista.
Dove sarebbe il problema nel riconoscimento del risultato elettorale, dunque? Non ci sarebbe, se il governo di Chi?in?u, di impronta filo-occidentale, non avesse deciso di obbedire pedissequamente agli ordini di Washington, dimostrando come il concetto di democrazia venga applicato a fasi alterne a seconda delle convenienze dell’imperialismo nordamericano. Già a fine aprile, Ilan Sor, leader dell’omonimo partito, aveva accusato il governo moldavo e la presidente Maia Sandu di essere sotto il controllo delle forze occidentali in funzione antirussa: “I regimi occidentali hanno messo in Moldova una persona che ha compiti chiari, e uno di questi è quello di litigare con la Russia. Maia Sandu lo ha fatto perfettamente. Ora il popolo della Repubblica di Moldova deve pagare per queste decisioni con le proprie tasche: pagare per il gas e l’elettricità cinque volte di più. Non è giusto“. “Le parole ‘integrazione europea’ vogliono unicamente dire che la Moldova è uno Stato in ostaggio”, aveva continuato il leader dell’opposizione. “Per chiarire: questa è la prima volta che accade nella storia del nostro Paese che gli ambasciatori dei Paesi occidentali dicono ai ministri moldavi cosa fare e come comportarsi. E i ministri non sono responsabili nei confronti della leadership del Paese, ma degli ambasciatori. A Chisinau, questo non è un segreto per nessuno“.
Le affermazioni di Ilan Sor rappresentano quasi una premonizione di quanto sarebbe accaduto con le elezioni di Gagauzia. Non si tratta però di un fenomeno paranormale, in quanto gli elementi per prevedere quello che sta accadendo in questi giorni erano alla luce del sole. Già prima delle elezioni, il governo di Chisinau aveva dimostrato la propria ostilità nei confronti di Mosca, rifiutandosi di consentire all’ambasciata russa in Moldavia di inviare i propri osservatori nella regione autonoma. “I rappresentanti della Russia hanno sempre partecipato all’osservazione dell’elezione del capo di questa regione. Sfortunatamente, all’ambasciata russa in Moldavia questa volta è stata negata tale opportunità, a differenza del personale delle missioni diplomatiche di numerosi altri Paesi“, aveva fatto notare in quell’occasione Marija Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. “Stiamo aspettando il ballottaggio elettorale e speriamo che gli elettori abbiano l’opportunità di esprimere davvero liberamente la loro volontà. Ci auguriamo che la nuova leadership eletta della regione continui la sua politica volta a sviluppare legami tradizionali con il nostro Paese e con le regioni russe“, aveva aggiunto la diplomatica di Mosca.
Prima del ballottaggio, Ilan Sor aveva nuovamente attaccato il governo di Chi?in?u, affermando che in caso di vittoria alle elezioni in Gagauzia il suo partito avrebbe chiesto l’interruzione del processo di integrazione europea lanciato dal governo filo-occidentale. “Noi, il partito SOR, chiederemo e insisteremo affinché qualsiasi integrazione moldava in Europa sia sospesa, poiché contravviene alla nostra Costituzione“, aveva spiegato il leader politico in un’intervista rilasciata all’emittente Rossija-24. Il politico ha accusato le autorità moldave di ignorare il principio di neutralità, sancito dalla legge fondamentale del Paese, oltre a non mostrare alcun rispetto per quei cittadini che, a suo dire, sono favorevoli a “una neutralità senza compromessi e sono contrari a vedere la Moldova trascinata in qualsiasi alleanza“.
Al contrario, il governo moldavo sembra intenzionato a perseguire una politica di servilismo nei confronti dell’imperialismo statunitense, come dimostra l’intenzione dichiarata di uscire dalla Comunità degli Stati Indipendenti, che riunisce la maggioranza delle ex repubbliche sovietiche, secondo le dichiarazioni rilasciate da Igor Grosu, presidente del parlamento di Chisinau. Da quando Maia Sandu è stata eletta alla presidenza, nel 2020, non ha partecipato a un solo vertice della CSI. Di recente, il ministro degli Esteri Nicolae Popescu ha inoltre denunciato una serie di accordi firmati sotto l’egida dell’organizzazione intergovernativa, ricevendo forti critiche da parte dell’opposizione.
Igor Dodon, ex presidente del Paese, ha fortemente criticato questa posizione, etichettandola come un “passo poco saggio” che “nasce dal desiderio di compiacere i propri sostenitori occidentali e non tiene conto dell’opinione della maggioranza della popolazione del nostro Paese, che, secondo i sondaggi, non vuole per tagliare i legami con la CSI”. Inoltre, Dodon ha sottolineato che anche se il governo e il parlamento prendessero una tale decisione, ciò non significherebbe un ritiro de facto e de jure dalla CSI, per il quale sarebbe necessario il consenso di tutti i Paesi membri ed una successiva attesa di dodici mesi.
Secondo l’opposizione, un’uscita della Moldova dalla CSI provocherebbe una grave crisi economica nel Paese, con aumenti significativi di gas, elettricità e prezzi alimentari e tassi di inflazione superiori al 30%, raggiungendo il livello più alto degli ultimi 20 anni. “Una rottura con la CSI creerà maggiori problemi ai cittadini del nostro Paese a causa della denuncia degli accordi firmati all’interno della CSI, compresi quelli relativi a esenzioni dal visto, dazi doganali e tasse, nonché altri documenti importanti”, ha spiegato ancora l’ex presidente Dodon.
Infine, la Moldova continua a fare pressioni sulla Transnistria, la regione de facto indipendente, che mantiene stretti legami con la Russia. Andrej Safonov, deputato del parlamento di Tiraspol’, ha dichiarato che la Repubblica Moldava di Pridnestrovie, nome ufficiale della Transnistria, si oppone alla rottura dei legami con la CSI. “Chi?in?u tende a ridurre tutti gli argomenti relativi alla Transnistria alla narrazione che la Moldavia si ritirerà dalla CSI e che la Transnistria passerà sotto il controllo dell’Occidente insieme a Chi?in?u”, ha detto Safonov. “Ma la Transnistria rifiuta questo approccio e non reciderà i legami con la Russia e non abbandonerà il progetto di integrazione eurasiatica“, ha sottolineato. “Penso che in un tale contesto, sarebbe saggio che la Russia ribadisse che la Transnistria e il suo popolo hanno il diritto di decidere del proprio futuro e che nessuno può imporre loro un futuro che non vogliono“, ha concluso, facendo appello al sostegno di Mosca.
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