Quei 20 milioni di rifiuti radioattivi in Niger

03 Agosto 2023 16:00 Piccole Note


PICCOLE NOTE

Il colpo di Stato in Niger continua a tenere banco. Fortunatamente L’Ecowas, che ha comminato sanzioni e dato sette giorni alla giunta militare per ripristinare l’ordine pregresso, minacciando anche un intervento armato, ha frenato, dichiarando che la guerra è l’ultima opzione.

Un golpe diverso da altri…

Da parte loro, anche i militari nigerini stanno cercando di rassicurare il mondo sulle loro intenzioni, sia mostrando la foto sorridente del presidente deposto, Mohamed Bazoum, sia rassicurando Parigi, che come altri Paesi sta rimpatriando i suoi cittadini, di non avere intenzioni ostili verso la Francia.

I motivi geopolitici della tensione sono evidenti. La Francia ha perso l’ennesima ex colonia, dopo Mali e Burkina Faso, e vede pericoli per l’uranio nigerino necessario alle sue centrali atomiche, comprato a prezzi di favore.

Non solo la Francia. Niamey era una pedina chiave della proiezione africana degli USA, come spiega Joshua Meservey, docente dell’Hudson Institute, a Politico: “Il Niger era il paniere in cui Stati Uniti e Francia stavano mettendo tutte le loro uova”. Infine, resta inaccettabile la propensione verso Mosca della nuova giunta militare.

Da qui le pressioni di UE, USA e ECOWAS, definite “illegali, ingiuste, disumane e senza precedenti” dal capo di Stato ad interim Abdourahmane Tchiani. Non ha tutti i torti: ieri la Nigeria, unico fornitore di energia elettrica del Niger, ha interrotto la fornitura, facendo piombare il Paese nel buio.

Il punto è che quello del Niger “non è un colpo di Stato come altri”, come recita un titolo del New York Times. Infatti, a differenza di tanti altri golpe africani, non è stato patrocinato dai Paesi occidentali (e neanche da Mosca…). Da cui la sua specificità.

Lo stesso Niger ha conosciuto altri golpe in passato e tutti legati all’uranio – la ricchezza sventurata del Niger – estratto dalla multinazionale francese Areva, diventata poi Orano, e da sue controllate.

A spiegare il perverso intreccio tra politica e uranio il dossier L’uranium de la Françafrique“, che interpella anche Raphaël Granvaud, autore del libro Areva en Afrique. Une face cachée du nucléaire français. Riportiamo stralci del dossier.

“Dall’inizio dello sfruttamento dell’uranio del Niger, il suo prezzo è stato ufficiosamente fissato da Parigi. ‘Il controllo dell’uranio, insieme a quello del petrolio e di altre risorse, è stato uno dei motivi per cui la Francia ha mantenuto un sistema di dominio economico, politico e militare sulle sue ex colonie’, sottolinea Raphaël Granvaud”.

L’uranio e i golpe

“[…] La turbolenta vita politica del Niger è sorprendentemente legata agli alti e bassi del rapporto commerciale con la Francia. Nel 1974, Hamani Diori, il capo di stato in carica, fu vittima di un golpe poco dopo aver avuto l’audacia di chiedere un aumento del prezzo dell’uranio”.

“[…] Trent’anni dopo, il presidente del Niger si chiama Mamadou Tandja. Ha commesso lo stesso errore del suo predecessore, ha chiesto e persino ottenuto un aumento sostanziale dei prezzi nel 2008. È stato rovesciato nel 2010 dai militari. Raphaël Granvaud spiega: ‘[…] Tandja ha solo ritardato [di due anni] il momento in cui ha dovuto pagare l’affronto fatto alla Francia con il suo tentativo di ottenere condizioni più vantaggiose'”.

“Si organizzano le elezioni e un governo eletto democraticamente prende le redini del Paese: alla sua guida, Mahamadou Issoufou, ingegnere minerario formatosi in Francia, che ha lavorato in tutti i settori dell’attività mineraria dell’uranio in Niger” e in buoni rapporti con “molti leader occidentali. Un curriculum vitae ideale per negoziare al meglio con la Francia: ha concluso un accordo nel 2014 che ha modificato le tasse sull’attività mineraria”.

“Questa apparente vittoria, che consente [a Niamey] di recepire aliquote fiscali più dignitose sul minerale estratto, viene rapidamente denunciata dalle ONG che notano che Areva ha molte leve per sfuggire a questa tassa (Areva au Niger – transparence en terrain miné, di Quentin Parrinello)“.

“Senza contare le gratuità di cui beneficia l’azienda per prelevare milioni di litri d’acqua dalla falda di Agadez, in mezzo al deserto: un privilegio spaventoso, purtroppo classico dell’industria mineraria”.

“‘C’è un notevole divario tra il prezzo pagato nel corso della sua storia da Areva e il valore strategico dell’uranio’, commenta Raphaël Granvaud. Da una parte un piccolo paese occidentale, ma dotato di energia atomica, e il cui livello di sviluppo richiede una quantità sempre maggiore di energia elettrica; dall’altra un paese del Sahel due volte e mezzo più grande del primo, ultimo al mondo nella lista dell’indice di sviluppo umano (Rapport sur le développement humain 2019, Onu), dove la maggioranza della popolazione non ha accesso all’elettricità, che viene importata dalla vicina Nigeria’” [che ieri gli l’ha tagliata… ndr].

“L’estrazione dell’uranio in Niger ha anche aggravato la situazione dei nomadi che si sono visti confiscare molte aree atte al pascolo necessarie per l’allevamento. Queste terre sono ora sorvegliate da società di sicurezza private gestite da ex soldati francesi”.

Le montagne di rifiuti radioattivi

Fin qui il dossier, che parla anche della contaminazione radioattiva causata dalle miniere, alcune delle quali sono addirittura “a cielo aperto“. Contaminazione che provoca “malattie ignote” ai minatori e alla popolazione, delle quali, però, non parla nessuno. Per avere un’idea di quanto si è consumato in Niger, la testimonianza della documentarista Amina Weira, sempre nel dossier.

“Arlit è la mia città, è lì che estraiamo la ricchezza del paese. Si chiama ‘Piccola Parigi’. Vorrei davvero che fosse così! Si ha l’impressione che sia circondata da montagne, come quelle vicino alle quali i Tuareg si stabiliscono per proteggersi dal vento del deserto. Ma queste montagne sono state create da zero. Infatti, sono formate dall’accumulo delle scorie radioattive derivanti dall’estrazione dell’uranio”.

A conferma, si può leggere anche una nota di Anadolu del 17 marzo 2023 dal titolo: “20 milioni di tonnellate di rifiuti parzialmente radioattivi alimentano la paura in ??Niger”; ma anche l’Express, che parla anche del rischio, ovvio, di contaminazione anche dell’acqua potabile.

La Francia sa perfettamente la situazione. Gli USA, spiega la CNN, hanno diverse basi militari in Niger. Possibile che non si siano mai accorti di niente? Tale “il mondo basato sulle regole”, formula cara all’Occidente.

I militari che hanno preso il potere dicono di voler salvare il Paese. Non sappiamo se sia vero né se possano farlo. Ma che il Paese debba essere salvato è un dato. E non può farlo chi lo ha devastato né quanti sono stati conniventi. Al netto di tale considerazione, il vero scandalo è rappresentato da quelle montagne di detriti contaminati più che dall’attentato alla presunta democrazia nigerina.

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