La reazione di Washington alla pacificazione della Siria

Il 2023 per la Siria era iniziato nel peggiore dei modi. Non bastavano le feroci sanzioni degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea, il continuo furto di petrolio e grano con la complicità delle milizie filo curde, a febbraio si aggiunse il terribile terremoto che ha colpito anche la Turchia. Oltre alle perdite di vite umane, è stato un ulteriore colpo per la già disastrata economia siriana.

Sul fronte politico, il 2023 è stato, al contrario, un anno molto positivo per Damasco con la ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita, quelle già avviate con gli Emirati Arabi Uniti, paesi fra i principali sponsor del terrorismo in Siria dal 2011.

Per non parlare del ritorno della Siria nella Lega araba dopo 12 anni e la richiesta di adesione ai BRICS.

Davanti a questo scenario Washington non poteva stare a guardare. Già aveva dovuto ingoiare il rospo sul mancato aumento della produzione di petrolio da parte di Riad dopo la guerra in Ucraina per sopperire al blocco degli idrocarburi russi. Inoltre, la ripresa delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran, grazie alla mediazione della Cina, avevano messo all’angolo gli USA, forse mai così isolati nella regione con rapporti non troppo idilliaci con Israele a causa della riforma della giustizia voluta da Benjamin Netanyahu.

La reazione di Washington, dunque, non si è fatta attendere. E la Siria ha conosciuto una serie di attività destabilizzanti con un modus operandi terroristico che ricordano quello tipico di oltreoceano.

Alla vigilia della festività dell’Ashura, il 27 luglio scorso, una potente esplosione al Santuario di Sayyida Zaynab, alla periferia di Damasco, aveva causato la morte di 6 persone e il ferimento di altre decine.

Ha fatto seguito un attacco dell’ISIS il 3 agosto nella zona desertica della regione di Al Mayadeen, nord est della Siria, con la morte di decine di soldati siriani.

Nel frattempo, in un’intervista concessa a Sky News in lingua araba, il Presidente siriano Bashar al Assad aveva avvertito sui tentativi di far precipitare la Siria in “uno stato del terrore” per ripetere lo scenario di Libia e Iraq.

Può essere complottistico affermare che Washington sostenga o si serva di organizzazioni filo al Qaeda o dell’ISIS? Assolutamente no, è utile ricordare che gli USA si sono serviti della mafia per sbarcare in Sicilia durante la Seconda guerra mondiale, dei fascisti per la strategia della tensione e in Cile per rovesciare Salvador Allende, degli estremisti islamici per destabilizzare l’URSS in Afghanistan. Tutto torna, quindi.

Sul versante diplomatico, Washington con il suo strumento di guerra, alias le sanzioni, ha minacciato di comminarle agli Emirati e all’Arabia Saudita se avessero aiutato economicamente la Siria.

Come ha svelato, lo scorso 2 agosto, il quotidiano Al- Akhbar, citando fonti diplomatiche “tutte le promesse degli Emirati e dell'Arabia Saudita di aiutare la Siria e di attivare investimenti nel paese a diversi livelli sono rimaste parole sulla lingua e inchiostro sulla carta, e nessuna di esse è stata tradotta in realtà."

Gli USA non trascurano nulla. Infatti, da mesi si rischiano incidenti aerei nei cieli siriani con i velivoli russi, con Mosca che accusa Washington di violare i protocolli di volo stabiliti.

Provocazioni per ribadire la sua presenza nella regione e, allo stesso modo, sfidare e fiaccare la Russia su un altro fronte di guerra.

Non potevamo mancare le provocazioni contro l’Iran con l’invio di navi da guerra e di migliaia di marines in Asia occidentale.

Nei giorni scorsi, tra l’altro, come ha riferito il media Asharq Al-Awsat, l'esercito statunitense avrebbe studiato il riposizionamento delle sue truppe in Iraq e Siria in preparazione di una possibile operazione militare.

Sono anche circolati sul web foto e video di movimenti di truppe statunitensi in quella che sembra essere un'attività di truppe su larga scala. Non a caso, un leader di una fazione armata nel nord-ovest dell'Iraq ha ipotizzato che l'obiettivo strategico dell'operazione sia quello di "cambiare le regole di ingaggio con i russi in Siria".


Fonti irachene ritengono, addirittura, che le forze statunitensi che occupano la Siria orientale stiano pianificando un'operazione per tagliare l'ultimo valico di frontiera con l'Iraq sotto il controllo di Damasco.

Un atto di guerra che Mosca e Damasco non potrebbero tollerare.

Tirando le somme, c’è il serio rischio che la Siria sia colpita di nuovo, per conto terzi, da una serie di attacchi terroristici, orditi da Washington dalla base illegale di al-Tanf al confine con la Giordania che, oltre a colpire Assad, hanno lo scopo di destabilizzare in un sol colpo gli alleati di Damasco, ovvero Iran e Russia.

A quale prezzo di sangue è facile immaginare. Ma cosa importa a quella bestia morente e per questo ancor più pericolosa dell’imperialismo statunitense?

Il cambio di rotta con la creazione di un mondo multipolare, per evitare spargimenti di sangue, oltre che una realtà che si sta sempre più affermando con il vertice dei Brics in corso a Johannesburg, Sudafrica, è una necessità.

Quello che sta succedendo in Siria è una chiara dimostrazione.

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