Gabon, la dinastia Bongo e gli Stati Uniti


PICCOLE NOTE


Il generale che ha guidato il golpe in Gabon, Brice Nguema, si è eletto presidente a interim del Paese, affermando che presto ci saranno nuove elezioni, una nuova Costituzione e le altre cose che in genere si promettono in questi casi. In altre note abbiamo sottolineato, come altri, che il colpo di Stato poneva nuove criticità nella Françafrique e poneva fine a una dinastia ultradecennale quella dei Bongo, padre e figlio.

Ma il capo delle opposizioni unite, Albert Ondo Ossa, uscito sconfitto dalle recenti elezioni stravinte per brogli da Alì Bongo e annullate dai golpisti subito dopo la pubblicazione dei risultati, ha dichiarato che in realtà si tratta di “una rivoluzione di palazzo, non un colpo di stato”.

Lo ha detto ad al Jazeera, spiegando che il generale è un cugino di Bongo e grazie a lui ha fatto carriera, come altri dei golpisti attuali. “Penso che la famiglia Bongo si sia sbarazzata di uno dei suoi membri, che gettava ombra sulla famiglia, perché volevano che il potere dei Bongo si perpetuasse impedendo ad Albert Ondo Ossa di salire al potere”, ha concluso.


Il dittatore deposto: uomo degli Stati Uniti in Africa

Insomma, una semplice successione familiare, benché forzata. Analisi che potrebbe non essere del tutto lucida, perché i golpisti si sono mossi dopo la sconfitta elettorale -di Ossa che lo relegava comunque fuori dal potere – e che potrebbe essere viziata da un interesse personale, cioè far pressione sulla giunta per avere spazio. Ma sembra avere un fondo di verità.

Infatti, Fabio Carminati su Avvenire racconta una storia analoga, aggiungendo un dettaglio: “Così nella realtà capovolta africana può succedere che la figlia del presidente gabonese deposto Ali Bongo Ondimba, la deputata Malika Bongo Pereira, si congratuli su Facebook con i golpisti che hanno rovesciato il padre nel giorno stesso del colpo di Stato, il 30 agosto”.

Anche diversi media, pur annotando le analogie con il recente golpe nigerino, hanno posto dei distinguo tra i due. A Niamey c’è stata una vera e propria svolta, a Libreville è tutto da vedere. Ma va tenuto conto che anche una rivoluzione di palazzo può aprire spazi alla società civile, chiusi in precedenza, o dar vita a una politica estera meno prona a indebiti interessi esteri.

Così, come abbiamo scritto nelle note pregresse, il futuro del Gabon resta incerto. Ma sul passato c’è ancora qualcosa da scoprire e riguarda i rapporti del deposto autarca, o dittatore che dir si voglia, con il mondo.

Se è vero che il Gabon aveva stretti rapporti con l’ex padrone coloniale francese, che ne usava per i suoi interessi, Alì Bongo aveva anche altri munifici protettori, ai cui interessi doveva ovviamente dare spazio. Di tali amici riferisce un articolo pubblicato su Monthly Review, sito ignoto ai più che però rimanda a documentazione mainstream (e verificata).

Sulla rivista, il rapporto tra Alì Bongo e il presidente americano Barack Obama: “Il legame tra Obama e Bongo era così stretto che Foreign Policy definì il leader gabonese ‘l’uomo di Obama in Africa’”.

“La biografia di Bongo sul sito web del WEF lo definisce ‘portavoce dell’Africa per la biodiversità” […]. Il sedicente uomo del Rinascimento [africano] è riuscito ad andare d’accordo con Obama, a scherzare con Klaus Schwab e a toccare la carne di Bill Gates”.


Il regime-change libico e il premio NATO

Non solo scherzi e attestati. Quando gli Stati Uniti si lanciarono nell’operazione di regime-change in Libia, 2011, “ironicamente giustificata come un esercizio di ‘promozione della democrazia’, grazie al sostegno di Washington il Gabon fu inserito nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove ha aderito a tutte le risoluzioni statunitensi, che hanno imposto prima sanzioni contro la Libia e poi una No Fly Zone” sui suoi cieli.

“Lo spirito cooperativo di Bongo gli valse una visita da Obama a Washington quattro mesi dopo. Lì, mentre si trovava nella residenza personale del presidente, divenne il primo leader africano a chiedere a Gheddafi di rinunciare al potere”. Inutile ricordare i disastri di quell’intervento, del quale ancora oggi paghiamo il prezzo in termini di instabilità e terrore dilaganti nell’africa del Nord e subsahariana.

“[…] Appena un mese dopo la sua rielezione, ottenuta nel 2016 con una votazione controversa, Bongo fu richiamato negli Stati Uniti, questa volta dall’Atlantic Councill, sponsorizzato dalla Nato, per ricevere il Global Citizen Award al gala di alta classe che si sarebbe tenuto nel 2016 a New York City”.

“Ma dal momento che in patria persistevano dubbi sui brogli elettorali – dato che in una regione aveva ottenuto il 95% dei voti con un’affluenza alle urne di quasi il 100% dei votanti – fu costretto ad annullare il viaggio”.

“‘L’Atlantic Council rispetta la decisione del presidente gabonese Bongo di rinunciare a ricevere il Global Citizen Award a motivo delle priorità che deve affrontare nel suo paese’, annunciò il think tank in una dichiarazione assurda pubblicata sul suo sito web”.

Da qualche giorno i media infieriscono su Alì Bongo e sul suo regime, dimenticando di dire chi erano i suoi tanti amici internazionali che lo hanno supportato per così tanto tempo, quelli che in un drammatico appello il suddetto ha chiamato a “fare rumore“.

Qualcuno dovrebbe suggerirgli di evitare simili iniziative. Rischia di innervosire i suoi amici di un tempo che, caduto in disgrazia, lo hanno disconosciuto in tutta fretta nel timore che il loro augusto nome sia accostato al suo.

p.s. Nella foto di apertura lil presidente Barack Obama e la First Lady Michelle Obama con Ali Bongo Ondimba, presidente del Gabon alla Casa Bianca nell’agosto 2014

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