Il gesto che stappa il velo sull'ipocrisia di Washington

Il veto degli Stati Uniti alla risoluzione ONU sul cessate il fuoco a Gaza, accompagnato dal rilascio di tutti i prigionieri israeliani in mano ad Hamas, strappa il velo sull’ipocrisia di Washington: il re è nudo e la sua connivenza con la mattanza che si sta consumando non si può più celare. Interpellato dalla Cnbc, Ian Bremmer ha affermato che tale posizione “isola” gli Stati Uniti dal resto del mondo.

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Per una coincidenza temporale, prima del voto all’ONU il figlio di Biden è stato incriminato per evasione fiscale. Rischia 17 anni di carcere. Se c’era qualche possibilità che l’imperatore potesse esercitare pressioni sui membri sua amministrazione, in particolare sul bellicoso Segretario di Stato Antony Blinken, perché mutassero la loro posizione sul conflitto, è sfumata. Distratto, Biden non ha potuto far nulla in tal senso.

Così il massacro continua. Peraltro, l’obiettivo dichiarato di eliminare Hamas appare sempre più una foglia di fico che nasconde altro. Ne scrive Paul Pilar su Responsibile Statecraft: “Anche se si prendessero alla lettera le dichiarazioni di Israele, secondo le quali l’attacco alla Striscia di Gaza e ai due milioni di persone che la abitano è finalizzato a ‘distruggere Hamas’, l’operazione israeliana è troppo fuori registro perché gli Stati Uniti o qualsiasi altra potenza possano sostenerla o legittimarla”.

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“Non è possibile distruggere Hamas con le bombe e con un’invasione di terra e, anche se ciò fosse possibile, l’operazione sta peggiorando, e non rafforzando, la futura sicurezza dei cittadini israeliani”.

In realtà, secondo Pilar, le dichiarazioni pubbliche di Tel Aviv nascondono altro. Lo dice la “brutalità” dell’operazione militare, lo dicono i numeri, che vedono i civili cadere come mosche.


Nessuna salvaguardia per i civili, verso la Nakba

Sulla brutalità di cui sopra e sulle misure adottate da Israele per salvaguardare le vite dei civili, segnaliamo un passaggio dell’articolo di Pilar: “L’affermazione dell’esercito israeliano di aver predisposto avvertenze adeguate per cercare di ridurre le vittime civili si è rivelata poco più che uno scherzo crudele”.

“Ai civili viene ordinato di fuggire dalle loro case, ma poi vengono comunque bombardati lungo il percorso o nelle aree nelle quali è stato detto loro di fuggire. Poi viene loro ordinato di spostarsi di nuovo – se c’è ancora un posto dove possano trovar rifugio – per essere bombardati ancora una volta”.

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“I codici QR sui volantini che danno informazioni sulle zone sicure sono inutili dal momento che le comunicazioni sono state interrotte e che la maggior parte dei palestinesi non ha accesso a Internet. Israele non si prende nemmeno la briga di usare la sua precedente pratica di ‘bussare sul tetto’, che consiste nell’utilizzare un proiettile di piccolo calibro per avvertire gli occupanti di un edificio che sta per essere distrutto – come se, peraltro, fosse accettabile bombardare la casa di persone che versano in gravi in difficoltà avvisandole pochi minuti prima che saranno bombardate”.


Numeri fuori scala

Anche i numeri, secondo Pilar, dicono che l’obiettivo dichiarato di eliminare Hamas, sembra nascondere altro. Il cronista, infatti, annota che al momento in cui scrive Israele ha dichiarato la morte di 5mila miliziani di Hamas, mentre le vittime totali erano 16.000, di cui più di 5.000 bambini.

Prendendo per buone le cifre sui caduti di Hamas – cosa sulla quale ci sia permesso di dubitare – eliminare i 30mila militanti di Hamas, tanti sarebbero in totale secondo i calcoli israeliani, comporterebbe la morte di 100mila palestinesi, di cui 30mila bambini.

“Questi numeri – commenta Pilar – sono di un ordine di grandezza superiore a qualsiasi azione possa giustificarsi come risposta alla brutalità commessa da Hamas in Israele lo scorso ottobre. E suggeriscono con forza che, oltre a eliminare Hamas, uno degli obiettivi israeliani è uccidere civili e cacciare il maggior numero possibile di palestinesi da Gaza”.

Peraltro, tale obiettivo è stato dichiarato apertamente da diversi esponenti della leadership israeliana – Pilar enumera alcune dichiarazioni in tal senso e altre se ne potrebbero aggiungere – e cita uno rapporto riservato allo studio del governo israeliano nel quale si segnalava l’opportunità di sfollare Gaza degli attuali occupanti.

Reuters: “I palestinesi che lasciano la città di Gaza assediata temono la nuova Nakba”


“Più recentemente – annota Pilar – si dice che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia incaricato il ministro degli Affari strategici, nato negli Stati Uniti, Ron Dermer, di sviluppare un piano per ‘diluire’ la popolazione della Striscia di Gaza al minimo. Questo retroscena è stato rivelato dal quotidiano israeliano Israel Hayom, che sostiene Netanyahu e che si ritiene abbia buone entrature”. D’altronde, come annotava la Reuters, lo spettro di una seconda Nakba ha accompagnato questa guerra fin dal suo inizio (con Nakba si intende l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre avvenuta nel ’48).


Non c’è una soluzione militare

Ma anche tale piano andasse in porto, ritiene Pilar, Israele non eliminerebbe Hamas “dall’equazione regionale”, né porterebbe a Tel Aviv la sicurezza che ritiene giustifichi le proprie azioni, dal momento che creerebbe milioni di “esuli insoddisfatti”, per usare un blando eufemismo.

HAREETZ: “Israele non può battere Hamas. È ora di fermare i combattimenti e pensare in futuro”


Anche Tom Heager ritiene che “Israele non può eliminare Hamas”. Ne scrive su Haaretz, spiegando che è giunto il momento per un cessate il fuoco e per pensare a una soluzione seria del conflitto israelo-palestinese, che può risolversi solo con la creazione dello stato palestinese. Ciò perché “le operazioni militari non riusciranno a cambiare la realtà politica che si è creata”, cioè a eliminare Hamas dalla scena mondiale.

Dello stesso tenore un articolo di Foreign Affaires dal titolo: “Il fallimento della campagna di bombardamenti israeliani a Gaza”. Questo il sottotitolo: “La punizione collettiva non sconfiggerà Hamas”. Il neretto è nostro.

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