A Sudzha la fine politica di Zelensky


di Clara Statello per l'AntiDiplomatico


La città di Sudzha è stata liberata. Mercoledì 12 marzo le truppe russe entravano in città, ma le prime immagini dei militari che si facevano fotografare davanti alla stele cittadina circolavano già dal giorno prima. Ieri mattina il ministero della Difesa russo aveva annunciato la riconquista dei sobborghi vicini, esattamente Kazachya Loknya, 1° Knyazhiy, 2° Knyazhiy, Zamostye e Mirny.

Nel pomeriggio il canale ucraino Deep State, collegato con l’intelligence militare di Kiev, segnalava che i combattimenti si erano spostati nella periferia ovest di Sudzha. Le forze ucraine, dunque, erano state cacciate dalla cittadina, occupata dal 14 agosto. L’annuncio ufficiale del ministero della Difesa è arrivato soltanto stamattina. Significa che la città è stata completamente messa in sicurezza e dentro non c’è più traccia di soldati ucraini in vita.

Per quanto piccola, il crollo di Sudzha è una sconfitta catastrofica della linea politica e militare del presidente Volodymyr Zelensky e potrebbe segnare la sua fine politica e quella del suo entourage.

Il fallimento politico e militare di Zelensky

La disfatta nel Kursk arriva nel peggiore dei momenti possibili, ovvero all’avvio delle trattative per il cessate il fuoco. Uno schiaffo per Zelensky, che ha cercato in tutti i modi, con il supporto dei partner europei e dell’ex amministrazione statunitense, di far entrare l’Ucraina nei negoziati da una posizione di forza.

Invece si siede al tavolo doppiamente indebolita: primo, perché le viene a mancare l’unica carta per ottenere concessioni da Mosca, poi perché porta con sé il peso di una cocente sconfitta. Forse è troppo affrettato, ma suona come il segno premonitore di una capitolazione.

La responsabilità della debacle non potrà non ricadere su Zelensky, che ha fortemente voluto lanciare l’offensiva sul territorio russo, in maniera autonoma da Washington, allungando il fronte e distogliendo truppe specializzate da altri settori. Un’operazione incomprensibile per tanti esperti militari, che ancora si chiedono quale fosse il vero obiettivo strategico di un’offensiva lanciata su un lembo di territorio russo per lo più rurale e poco popolato.

Probabilmente Kiev mirava alla conquista di obiettivi strategicamente più significativi di Sudzha (paese di poco più di 7000 uomini), come la centrale nucleare di Kursk o lo stesso capoluogo della regione, da poter cambiare con territorio al tavolo dei negoziati. Tuttavia l’operazione, nonostante l’indubbio successo iniziale, ha iniziato quasi subito a mostrare delle criticità. L’attivazione di un nuovo fronte, dopo appena due settimane, ha messo in serie difficoltà l’esercito ucraino in Donbass, mentre le truppe di Mosca iniziavano ad accelerare il ritmo in direzione Selidovo.

È stato un momento di svolta per l’esercito russo che riusciva a penetrare nelle falle della difesa ucraina, conquistando insediamento dopo insediamento, sino a portarsi a pochi chilometri dal confine con la regione di Dnipro.

Alla luce di ciò, le uniche due ragioni che giustificavano la presenza di truppe in territorio russo erano di natura propagandistica, l’umiliazione militare inflitta alla Russia, e politica, la possibilità di chiedere qualcosa in cambio al tavolo negoziati. Il crollo della testa di ponte ucraina a Kursk, proprio nel momento in cui iniziano le trattative per il cessate il fuoco, dà la misura del fallimento politico e militare che pesa su Zelensky. Qualcuno dovrà rispondere delle decine di migliaia di vite distrutte per nulla. La prima testa è già caduta. Syrsky ha licenziato il generale Dmytro Krasilnikov a comando delle truppe Nord delle Forze Armate Ucraine. Non sorprenderà se lo stesso Syrsky verrà sacrificato e se ciò basterà a salvare il presidente ucraino.

Le ultime fasi dell’occupazione ucraina nel Kursk

Il comando del gruppo di forze del Nord ha riferito a Putin che l'operazione per liberare la regione di Kursk è entrata nella sua fase finale. In totale, durante le operazioni offensive, più di 1.100 chilometri quadrati del territorio della regione di Kursk, ovvero più dell'86% dell'area precedentemente sotto controllo delle forze di Kiev.

Soltanto negli ultimi cinque giorni sono stati riconquistati 24 insediamenti e 259 chilometri quadrati di territorio nella regione di Kursk. L'area dell'incuneamento è diminuita di oltre 2,5 volte.

Nel suo rapporto al presidente Putin, in visita ieri sul fronte di Kursk, il capo di Stato Maggiore, il generale Valery Gerasimov, ha riferito che nelle operazioni militari in direzione di Kursk, le forze ucraine avrebbero perso più di 67 mila militari. Le perdite comprendono non soltanto i caduti, ma anche feriti gravi o irreversibili e prigionieri. Si tratta delle unità più addestrate, altamente mobili e motivate delle forze armate dell'Ucraina, nonché di una formazione di mercenari stranieri.

Inoltre sarebbero stati distrutti circa 7.000 equipaggiamenti militari, tra cui: 391 carri armati, 2.780 veicoli corazzati da combattimento, oltre 1.000 pezzi di artiglieria e mortai. Naturalmente si tratta di un bilancio di parte, per cui va d’obbligo il condizionale, ma non sorprenderebbe che si tratti di cifre verosimili.

Le battaglie nella testa di ponte sono state ferocissime, sin dai primi giorni dell’operazione. La stampa internazionale ha descritto più volte l’inferno di fuoco provocato dall’artiglieria e dai droni russi, sottolineando come i soldati ucraini combattessero in condizioni insostenibili.

Putin, in qualità di comandante in capo delle forze armate russe (per questa ragione durante la visita indossava un’uniforme militare), ha ordinato dichiarato di prendere in considerazione la creazione di una zona di sicurezza lungo il confine di Stato, dopo la liberazione del territorio russo.

Inoltre ha disposto che il personale militare ucraino nella regione di Kursk venga considerato terrorista. Tuttavia, ha aggiunto, tutti i prigionieri dovranno essere trattati umanamente. Ha ricordato, però che i mercenari stranieri non sono tutelati dalla Convenzione di Ginevra.

Al momento in cui si scrive, il capo delle Forze Armate Ucraine, Aleksandr Syrsky, non ha ancora emanato l’ordine di ritirata. Da quel che si vede nei tanti video diffusi sui social, i soldati ucraini si ritirano in maniera caotica, finendo il più delle volte sotto il fuoco dei droni russi.

Il comandante del battaglione ceceno Akhmat, Apti Alaudinov, ha dichiarato che mancano 4 insediamenti per la riconquista dell’intero territorio. Tuttavia l’area è ben fortificata, la liberazione è estremamente significativa e non può essere sottovalutata.

Le truppe d'assalto della formazione combinata, composte da oltre 600 uomini, hanno utilizzato la conduttura del sistema di trasporto del gas per coprire una distanza di circa 15 chilometri e si sono addentrate nelle formazioni di combattimento delle forze armate ucraine. Queste azioni colsero di sorpresa il nemico e contribuirono al crollo della sua difesa e allo sviluppo della nostra offensiva nella regione di Kursk.

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