PICCOLE NOTE
Alla caduta di Assad seguono i consueti topos narrativi, che già accompagnarono quelle di Saddam e Gheddafi, con le descrizioni delle orrorifiche prigioni del regime – come se le carceri di massima sicurezza turche e israeliane fossero migliori – e il consueto tour nelle magioni del tiranno deposto che dimostra come vivesse nel lusso a fronte della povertà della sua gente.
L’usuale character assassination hollywodiano, che deve dimostrare la positività del regime-change, ma che con Assad riesce meno.
Nonostante gli sforzi per dimostrare quest’ultimo assunto, il Washington Post deve pur riportare la testimonianza di un uomo d’affari che viveva vicino a lui, il quale ricorda che “come leader della Siria per quasi 25 anni, Assad e la sua famiglia ‘vivevano, in un certo senso, una vita normale di fronte alla gente […]. I suoi figli andavano a scuole normali’ insieme ai comuni cittadini di Damasco, anche se benestanti, ha detto, piuttosto che frequentare accademie d’élite o collegi all’estero. La famiglia guidava auto normali e indossava semplici ‘jeans e maglietta” mentre erano in giro. ‘Mia sorella vedeva sua figlia in una piscina del club, seduta con le sue amiche'”.
Poi, però, il Wp denuncia lo sfarzo del Palazzo presidenziale, comune a tutti i palazzi presidenziali della zona e oltre. Mentre grida eureka perché hanno trovato che la moglie aveva una borsa Louis Vuitton, qualcosa di Dior ed Hermés… la pistola fumante, come se le mogli dei leader della regione andassero in giro vestite di saio.
Di interesse, poi, notare quanto sia tragicamente ironico il cenno commosso alla povertà del popolo siriano, dal momento che tale povertà è stata causata da 13 anni di guerra e instabilità prodotte delle operazioni più o meno segrete di Usa & c. per ottenere il regime-change, con tanto di sanzioni durissime contro il Paese, conservate anche dopo il recente, devastante, terremoto.
Non si tratta di difendere Assad, che certo avrà avuto i suoi difetti, né la sua Sicurezza, di certo più che stringente e con derive criminali dato anche lo stato di assedio del Paese e l’usuale potere corruttivo dal potere, solo sottolineare quanto siano stantii certi cliché. Peraltro, nessun cenno al fatto che la Siria era uno dei pochi Stati laici del Medio oriente, con una presenza cristiana importante e libera. Da vedere se così resterà. Tutto ciò serve a far vedere come Assad fosse il male assoluto. Noi e al Qaeda, siamo il bene. Sarà…
Un altro cliché è quello che vede lo Stato siriano produrre in maniera massiva il Captagon, al quale si ascriverebbe una parte importante degli introiti del regime. Tale droga, in realtà, è stata inventata, all’opposto, per favorire il regime-change siriano, tanto che fu “chiamata ‘la droga dei jihadisti’, per l’uso che ne fanno i combattenti in Siria”, come rivelava la BBC nel novembre 2015 (cioè quelli che hanno preso Damasco e ora stanno rivelando al mondo i laboratori della droga di Assad…).
D’altronde, non è una cosa nuova per le guerre made in Usa. Avvenne lo stesso con il fiorente traffico di oppio che serviva a finanziare i mujahidin afghani al tempo della guerra contro la Russia, un traffico gestito da al Qaeda – nome quest’ultimo, della base informatica usata da Osama bin Laden per classificare i mujahidin in questione – l’organizzazione terroristica protagonista del regime-change siriano avviato nel 2011 e finito col suo attuale trionfo (sul punto vedi anche l’articolo di Ted Snider su Antiwar).
Né è una cosa nuova che al Qaeda sia usata come un ariete per i regime-change made in Usa, basta legge l’articolo più che documentato di Alan J. Kuperman, professore della lbj School of Public Affairs di Austin (Texas), pubblicato sul National Interest nell’agosto del 2019 dal titolo più che significativo: “La missione poco nota degli Stati Uniti per sostenere il ruolo di Al Qaeda in Libia”.
Sottotitolo dell’articolo: “La ribellione in Libia è stata guidata da veterani islamisti delle guerre in Medio Oriente. Così, gli Stati Uniti e i loro alleati, senza rendersene conto al momento [sic], sono intervenuti per supportare un gruppo di terroristi”. Nell’articolo, si accenna a come l’intervento Nato abbia portato al successo “una ribellione che in realtà era guidata da militanti di Al Qaeda”.
Quanto si è consumato in Siria ricalca, quindi, quanto avvenuto nel 2011 in Libia. Da vedere se, come avvenuto in Libia, anche la Siria diventerà un Paese fallito e in preda al caos. Al momento, Israele, oltre a rubare parte del territorio siriano, ne ha reso un Paese smilitarizzato, avendo distrutto, insieme agli States, quasi tutto l’apparato militare siriano senza nessuna base legale (così le Nazioni Unite). Un sogno che coltivava da tempo. E già pensa a finire il lavoro con l’Iran. Questa la minaccia di Netanyahu, che fa il paio con un titolo del Timesofisrael: “L’IDF vede la possibilità di attaccare i siti nucleari dell’Iran dopo aver messo fuori uso le difese aeree siriane”.
D’altronde, si tratta di un’agenda nota da tempo. Così Ted Snider su Antiwar: “Wesley Clark, ex generale dell’esercito americano, ha ricordato quanto gli è capitato poche settimane dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, quando visitò il Pentagono. Allora gli fu mostrato un documento classificato che programmava come gli Stati Uniti avrebbero ‘eliminato sette paesi in cinque anni, iniziando dall’Iraq, poi la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan per finire con l’Iran”.
Di anni ne son passati più di cinque, ma quel programma prosegue inesorabile. L’Iraq non riesce a uscire dalla devastazione post-bellica ed è attualmente occupato dalle forze americane, nonostante sia stato loro chiesto di andarsene. Libia e Siria si sa, la Somalia è un non-stato, il Sudan è attualmente devastato da una spietata guerra intestina fomentata dall’esterno che lo sta divorando; il Libano presto potrebbe vedere un redde rationem per eliminare Hezbollah, più che indebolito dalla caduta di Assad. Manca l’Iran, appunto.
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