di Antonio Di Siena
A proposito di vaccino anticovid.
Il British Medical Journal, una delle più antiche e prestigiose riviste mediche del mondo, ha pubblicato un interessante editoriale in cui getta ombre lunghissime sia sul vaccino di Astrazeneca che sui due americani, Pfizer e Moderna.
Accuse pesanti.
In primo luogo si denuncia la scarsissima trasparenza dei dati. Al netto degli annunci roboanti su tempistica ed efficacia (buoni per far salire la quotazione in borsa dei rispettivi titoli, immediatamente monetizzati) pare, infatti, che dei vaccini che salveranno il mondo non si sappia praticamente niente.
Nessuna informazione sul campione di soggetti sottoposto a sperimentazione. Nessuna informazione sull’efficacia nel medio/lungo periodo. Nessuna sulla capacità dei vaccinati di contagiare o meno gli altri.
Il poco che si sa, invece, riguarda gli effetti collaterali alcuni dei quali, seppur di lieve entità, comparsi in fase tre sono considerati “gravi".
Difronte ad un fatto del genere ci sono da fare alcune, banalissime, considerazioni.
La prima è relativa al principio di autorità. Io lo detesto. Quindi neanche in questo caso prendo per oro colato quanto affermato dal BMJ. Così come non lo farei in caso contrario.
Quello che qui interessa è la liceità dell’esercizio del dubbio. Il diritto allo scetticismo, motivato dal semplice fatto che dietro al vaccino anticovid c’è un giro di soldi talmente gigantesco che dubitare a priori è semplice buon senso. Una precauzione che, invece, viene fatta passare per “negazionismo” da un branco di lobotomizzati semicolti pronto a bersi qualunque cazzata, purché propalata a reti unificate da un manipolo di sedicenti esperti. E ripetuta all’infinito come avviene con le presunte “leggi economiche”.
La seconda considerazione è invece di natura più strettamente politica. Perché quanto scritto nero su bianco dal BMJ è più o meno quanto sistematicamente affermato per screditare il vaccino russo. In assenza totale di dati, quindi, si getta aprioristico discredito sul vaccino di Putin (cui invece guardano con interesse gli israeliani) e si santificano quelli “nostri” degni di incondizionata fiducia. Lasciando trasparire un’attitudine dogmatico fideistica più simile alla propaganda da guerra fredda che al metodo scientifico.
Perché quando si ha a che fare con la propria salute - o con quella ancor più importate dei propri figli - quello che conta maggiormente è il consenso informato. Un pilastro del diritto costituzionale applicato all’ambito sanitario. E che non può limitarsi alle rassicurazioni del Burioni di turno. Un consenso da esplicarsi partendo dal rigoroso controllo dei dati e soprattutto dalla piena trasparenza delle informazioni scientifiche - in assenza delle quali un obbligo vaccinale diventa semplicemente un sopruso - unici presupposti per aversi un dibattito pubblico serio e nell’esclusivo interesse della salute pubblica (e per questo aperto a tutti i cittadini). E non di quel pezzo di mondo politico e scientifico a libro paga delle multinazionali del farmaco che, grazie alla pandemia, già pregustano di arricchirsi spropositatamente sulla pelle dei cittadini.
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