Andrea Zhok - Usa, Israele e quei toni da sicari della mafia


di Andrea Zhok*

Ieri il senatore americano Lindsey Graham ha proclamato in diretta televisiva l'intenzione (si presume a nome dell'amministrazione americana) di uccidere il leader di Hamas Yahya Sinwar: "Sinwar, noi non abbiamo intenzione di metterti sotto processo, noi ti uccideremo."


Tralasciamo bazzecole come il fatto che negli stessi contesti in cui chiudono un sito di analisi geopolitica come "The Cradle", con l'accusa di "fomentare l'odio", poi ritroviamo serenamente ministri come l'israeliano Ben Gvir o senatori come Graham a promettere a reti unificate eccidi o assassini.

Ciò che credo meriti un'adeguata valutazione è il fatto che questi toni da sicari della mafia si trovano a livello istituzionale soltanto in alcuni specifici contesti, ovvero nell'ambito della politica americana e israeliana. Toni simili li si può trovare occasionalmente nei filmini Home Made di qualche tagliagole islamista o nei proclami dell'ISIS (e qualcuno direbbe che è una conferma di chi c'è davvero dietro l'ISIS), ma a livello ufficiale, istituzionale, governativo non mi vengono in mente altre nazioni, neanche proverbiali "stati canaglia" che si permettano queste uscite.

E, naturalmente, questa non è semplicemente una questione di buona educazione né di parole fuori controllo.

Si tratta di qualcosa di molto più concreto, perché sia gli USA che Israele adottano da tempo, sistematicamente, la forma dell'assassinio politico come forma ordinaria di lotta sul piano della politica internazionale.

C'era un tempo, negli anni '70, in cui queste forme "sbrigative" di trattare gli avversari politici venivano ancora in parte negate o coperte. Ma oramai da tempo qui non c'è più nessun segreto. Non solo perché assassini politici e rovesciamenti di regime di mezzo secolo fa (soprattutto in America Latina) sono stati desecretati e ci hanno fatto sopra pure un bel po' di cinematografia, ma soprattutto perché la brutalità della minaccia di morte pubblica, da parte di chi ha ovviamente i mezzi per farlo, è oramai un mezzo ordinario per esprimere il proprio potere contrattuale sul piano internazionale. Semplicemente oggi l'ultimo velo di pudore è stato strappato.

In questo contesto la posizione israeliana è particolarmente interessante e delicata. Israele ha avuto sin dalle origini un atteggiamento, diciamo, di conclamata insofferenza per il "diritto internazionale". Per ragioni storiche questo è comprensibile, avendo vissuto negli anni '30 e '40 molte situazioni in cui apparenti formalismi del diritto internazionale avevano consentito, e talvolta facilitato, le pratiche genocidarie cui il popolo ebraico è stato sottoposto. E' su questa base che negli anni successivi gli interventi dei servizi segreti israeliani in violazione del diritto internazionale non hanno smosso molto le coscienze: per prendere un caso esemplare, si pensi al rapimento di Eichmann nel 1960 a Buenos Aires. Certo, si trattava di una palese violazione del diritto internazionale, ma visto che da una parte c'era un carnefice e dall'altra le sue vittime, nessuno fece troppi problemi e anche lo stato argentino considerò chiuso il caso in fretta.

Nel rapporto tra diritto e giustizia c'è sempre un sottile e problematico rapporto, tale per cui la lettera della legge può essere forzata in presenza di una chiara percezione di quale sia "la cosa giusta" da fare. Si tratta di una tendenza umana, comprensibile, di cui non ci si deve stupire.

Ma naturalmente, come sempre accade nella storia, l'equilibrio, la proporzione, la "prudentia" latina, la "phronesis" greca sono parte essenziale della sostanza di cosa conti come giusto o come sbagliato.

Nel corso del tempo questo atteggiamento sbrigativo, "pragmatico", presente per ragioni diverse sia nella tradizione americana (il Far West), sia nelle recente storia dello stato di Israele, ha preso in sempre maggior misura il sopravvento.
Anche qui, le ragioni di questo sviluppo non sono particolarmente misteriose. Gli USA a livello mondiale e Israele nell'area medioorientale (grazie al sostegno USA) sono stati a lungo le potenze militari di gran lunga più forti. E l'abbinamento tra 1) il possesso di una forza superiore e 2) il sentirsi svincolati da forme di diritto diverse dal proprio senso di giustizia, è un pessimo viatico per la preservazione di un qualche senso morale.

Potersene infischiare sistematicamente del "diritto internazionale", salvo quando selettivamente applicabile ai propri avversari, è una caratteristica dominante che accomuna la politica estera americana e israeliana, in particolare negli ultimi decenni.

Ciò che purtroppo sfugge a tutto l'Occidente, e in particolare a quella malinconica colonia americana che è diventata l'Europa, è che questo atteggiamento abusante e privo di scrupoli viene percepito in maniera acuta nel resto del mondo. Più precisamente, in tutte le parti del mondo che non siano rivestite della cappa mediatica edulcorante dei media occidentali.

Noi vediamo film americani in cui famiglie del Wisconsin si chiedono, tra un corn flake e l'altro, "il perché di tanto odio" nei loro confronti. Vedono scene di bandiere americane (risp. israeliane) date alle fiamme e non capiscono perché gente così brava e buona come loro, che si alza ogni mattina per andare al lavoro, dovrebbe essere così ferocemente odiata.

Sarà razzismo? Sarà invidia? Valli a capire questi barbari.

In questo contesto i più tristi di tutti sono gli europei, che non hanno nemmeno il beneficio di coltivare una tale credenza nel proprio interesse.
Noi siamo la claque, le pom pom girls dell'impero americano.

Ciò che inesorabilmente avverrà è che gli equilibri della storia cambiano, che chi per 70 anni è stato in una posizione non sfidabile, verrà ricondotto a una posizione di commensurabilità nei rapporti di forza.

E quando questo accadrà tutto il risentimento accumulato troverà la propria espressione, probabilmente colpendo di più incolpevoli famiglie del Wisconsin o di Tel Avviv o di Busto Arsizio che i ministri e senatori e giornalisti che hanno nutrito irresponsabilmente questa violenta cecità.


*Post Facebook del 6 settembre 2024

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