Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, sostiene che l’Italia deve tornare a fare avanzi primari.
D’altronde, come al solito, «ce lo chiede l’Europa».
In realtà ce lo impone, non ce lo chiede, l’Unione Europea.
È una delle condizioni per continuare a ricevere i fondi del Recovery Fund (soldi che dovremo restituire, ricordiamolo, e che dovremo spendere come dice la UE in cambio di dolorosissime riforme lacrime e sangue).
L’avanzo primario, ricordiamolo, è quando lo Stato in tasse e balzelli toglie ai cittadini più di quanto gli dia in stipendi, beni e servizi.
Ti tassa 100 e spende 90, per capirci.
L’Italia lo fa dal 1992. Ogni anno tranne 2 (quello post crisi del 2008 e lo scorso anno).
Sono 28 anni di avanzi primari. Per un totale dci circa 1.000 miliardi di euro. Mille miliardi di euro sottratti ai cittadini italiani attraverso il taglio della spesa pubblica. A parità di entrate fiscali ovviamente.
Lo hanno fatto, i nostri politici, per ridurre il debito pubblico e il rapporto debito/PIL.
Ovviamente sono aumentati entrambi.
Perché la spesa pubblica è una delle 4 componenti fondamentali della domanda aggregata e, quindi, del PIL.
Se la tagli, tagli il PIL.
Addirittura più della diminuzione della spesa pubblica per l’effetto moltiplicatore, che vale sia quando aumenti la spesa pubblica che quando la tagli.
Il taglio della spesa pubblica (tra cui rientra ovviamente la stagione delle grandi privatizzazioni, prima tra tutte la svendita dell’IRI, e delle liberalizzazioni) ha portato all’aumento della disoccupazione (anche quella ovviamente ce la chiede l’Europa tramite parametri come l’output gap, il NAIUR e il NAWRU), l’aumento del precariato, la diminuzione dei salari, l’aumento della povertà assoluta e delle disuguaglianze (tornata ai livelli di fine 800).
Il Governo Draghi vuole tornare immediatamente all’austerità tanto cara (soprattutto quando si tratta del nostro Paese) all’Unione Europea.
A ridosso di una crisi quasi senza precedenti (inflazione esogena dovuta a strozzature dal lato dell’offerta e all’aumento delle materie prime, energetiche, ma non solo, in primis). Vuole tornare a tagliare la spesa pubblica in un momento in cui sarebbe invece fondamentale aumentarla.
Così facendo invece ci proietta nello scenario peggiore possibile, peggio anche della stagflazione: la depressione inflazionistica.