Brasile. Due politiche estere a confronto



di Ludovica Morselli


Sono passati quattro anni dal passaggio di testimone tra Lula e la Rousseff in Brasile e il cambiamento non poteva essere più evidente, soprattutto in politica estera. I due provengono dalla stessa ala politica, Lula ha fatto da mentore all’attuale Presidente, l'ha candidata e appoggiata in campagna elettorale, eppure la loro impronta riguardo la politica estera non potrebbe essere più diversa.
Facciamo un passo indietro e rivediamo le posizioni dell’ex presidente in ambito internazionale.
Lula è stato tra i primi a intuire che i tempi stavano cambiando, soprattutto per i paesi in via di sviluppo che, incoraggiati da sorprendenti crescite economiche, potevano finalmente ritagliarsi un posto al sole nella “comunità internazionale”. L’unione fa la forza si dice e il Brasile è uscito politicamente rafforzato da questi cambiamenti. Non a caso infatti tra il 2003 e il 2010, gli anni dei due mandati Lula, il mondo conosce i Brics e il presidente brasiliano si fa promotore della nascita del G20, assicurandosi un ruolo di primo piano.
Inutile dire che diplomazia ed economia si sono alimentate a vicenda.
Il boom economico del Brasile si è presentato dapprima con Lula quando il paese divenne creditore del FMI, registrò surplus record della bilancia dei pagamenti grazie all’impennata dei prezzi di materie prime di quegli anni che garantirono al Brasile una considerevole crescita delle esportazioni e infine, quando la crisi economica internazionale scoppiò nel 2008 partendo dagli USA, il Brasile risultò praticamente immune al contagio.
Caratteristica di Lula è stata la promozione di forum internazionali e dialoghi non solo tra i vicini di casa del continente sud americano ma anche tra altri partner commerciali che molto avevano in comune con il Brasile non solo economicamente ma anche riguardo alle problematiche sociali comuni. Lula si è spinto oltre utilizzando sapientemente il soft power quando nel 2009 ha portato in Brasile Shimon Peres - era dal 1966 che un presidente Israeliano non si recava in Brasile - il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas e quello iraniano Mahmoud Ahmadinejad: un traguardo a dir poco fondamentale per la politica estera brasiliana. Prima di lasciare la presidenza, Lula ha riconosciuto i confini palestinesi così come stabiliti nel 1967 e ha compiuto un passo importante: insieme alla Turchia ha negoziato un accordo per risolvere l’annosa questione del nucleare iraniano, rifiutato dalla comunità internazionale poiché ritenuto eccessivamente generoso nei confronti di Teheran.

Infine, cruciale è il rapporto che Lula ha stabilito con la Cina la quale è diventata il primo partner commerciale brasiliano nel 2009, scalzando gli USA, e dando vita ad una partnership che va molto al di là dell’ambito economico e che si è dimostrata fortissima in politica internazionale come dimostrano le conquiste ottenute nel FMI e la sempre maggiore influenza del G20.
Veniamo alla Rousseff che anche solo per il primo mandato è molto indietro rispetto ai risultati ottenuti da Lula nello stesso periodo di tempo. Certo, c’è da dire che la congiuntura economica ora è diversa ma la causa principale di questa differenza può essere dovuta proprio al diverso approccio internazionale del Presidente, meno orientato alla politica estera. Basta osservare il suo coinvolgimento riguardo le proteste in Venezuela e le difficoltà del governo Maduro: la cautela della Rousseff a riguardo è stata evidente e molto probabilmente la politica di Lula si sarebbe mossa verso una direzione opposta considerato il fatto che gli altri paesi dell’America Latina si sono dichiarati disponibili ad aiutare il Venezuela nella crisi politica che sta attraversando. Il Venezuela è sempre stato un alleato del Brasile nonostante le differenze ideologiche eppure ora il rapporto è cambiato. Certamente pesano le elezioni incombenti: associarsi a un tale caos politico di certo non aiuta nei sondaggi e in più il Brasile viene da una tradizione di politica internazionale dialogante e conciliante per cui dimostrazioni più forti poco si addicono al caso brasiliano.
Ad essere cambiato è anche il rapporto con la Cina che sembra scricchiolare. Quello che era il primo partner commerciale del Brasile preferisce rivolgersi altrove per comprare manufatti - anche se rimane un grande compratore di soia - e soprattutto pare aver abbandonato il Brasile nella cornice delle Nazioni Unite.
Anche uno dei tratti distintivi della politica di Lula, ovvero la forte unione con i vicini dell’America Latina, è venuta meno: Cile, Perù, Colombia e Messico si sono smarcati dal Mercosur per organizzarsi in un’alleanza autonoma di libero scambio, l'Alleanza del Pacifico.
Il problema attuale della politica estera brasiliana è la sua ambivalenza intrinseca riguardo all’esercizio di una vera leadership: la Rousseff dovrebbe lavorare su un’area continentale che promuova integrazione basata su interessi comuni, in cui il Brasile riprenda ad aprirsi alle altre economie imponendo però allo stesso tempo regole stabilite e una strategia politico-economica ben definita.

L'incerta politica estera della Rousseff non le sta portando alcun beneficio e il confronto con Lula sulla questione è impossibile da reggere, almeno per ora.

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