“Business Forum Italia-Libia”? La Fiera del Colonialismo italiano in Libia

30 Ottobre 2024 11:00 Michelangelo Severgnini

Si è tenuto ieri a Tripoli il “Business Forum Italia-Libia”. Un appuntamento organizzato per favorire lo scambio commerciale e gli affari tra imprenditori italiani e imprenditori libici. Sbagliato. Tra gli imprenditori italiani e gli imprenditori libici della Tripolitania.

Per quanto in Italia ci si ostini, dal governo alle Ong, a chiamare i nostri interlocutori libici “Libia”, in realtà i nostri rapporti si esauriscono ad una porzione di territorio che non va oltre il 20%: la Tripolitania, appunto.

Toni trionfalistici provengono dal Presidente della Camera di Commercio di Tripoli, Mohamed Al-Raeed: “Agli imprenditori italiani è stato permesso di entrare in Libia senza restrizioni, dopo aver rimosso le condizioni imposte dal governo italiano al loro ingresso. Il forum è stato un successo e ha visto una grande presenza da parte italiana, con più di 120 imprenditori. Sono stati firmati 8 accordi appartenenti a più parti, tra cui un accordo di cooperazione tra l'Unione libica delle Camere e l'Unione Italiana delle Camere”.

Peccato che questi accordi, come gli altri precedentemente firmati tra Italia e “Libia”, siano carta straccia. Perché a firmarli, sulla sponda libica, non sono le legittime autorità libiche, ma un governo illegittimo e usurpatore, in carica senza voto di fiducia del parlamento e grazie alla difesa militare delle milizie che difendono Tripoli.

Un governo parallelo che l’Occidente si ostina a considerare valido, a dispetto del voto popolare libico del 2014. Voto popolare che, non a caso, da allora, 10 anni fa ormai, non viene più interpellato, proprio per mantenere questa facciata alle spalle della quale ormai brulica un’economia marcia, composta dalle peggio mafie africane e mediterranee, responsabili per anni del furto del petrolio libico e dello sfruttamento bestiale della manodopera composta dai cosiddetti “migranti” (che ormai da anni sono in trappola e non migrano più): 600mila presenze in ostaggio delle milizie.

Possiamo scommettere che la manodopera per gli imprenditori italiani saranno loro, a gratis, in regime di schiavitù, com’è la prassi da quelle parti.

Per darsi un tono il premier usurpatore di Tripoli Dabaiba (una sorta di Guaidò che ce l‘ha fatta) ha persino rispolverato l‘idea di ripristinare il “Trattato di amicizia Italia-Libia”, quello firmato nel 2008 da Gheddafi e Berlusconi, in realtà un’idea cara a tutti i cittadini libici, ma non certo al governo italiano. Ma per fare colpo era sicuramente l’argomento giusto.

La Meloni dal canto suo, presente a Tripoli, per fare colpo sull’opinione italiana ha rispolverato il classico “intensificare gli sforzi contro l’immigrazione clandestina”. Tranquilli, le partenze dalla Tripolitania sono crollate, nell’ordine di qualche migliaia all’anno. Ma non per gli sforzi della Meloni. Quanto piuttosto perché il confine sud tra Libia e Niger da un paio di anni è stato sigillato dall’Esercito Nazionale Libico, l’esercito ufficiale votato dal Parlamento e guidato da Khalifa Haftar. Tra parentesi: l’unico esercito africano a non aver preso nemmeno un euro dall’Europa.

E siccome altri migranti non arrivano, tantomeno possono partire, altrimenti la manodopera gratuita scomparirebbe. E poi gli imprenditori italiani chi fanno lavorare nei cantieri?

Fuori dalla Fiera tuttavia, il resto della Libia grida al colonialismo.

Il “Movimento della volontà del popolo” annuncia in un comunicato di presentare un memorandum sulla necessità delle forze straniere di lasciare i territori libici.

In gergo, ci si riferisce alla Turchia, all’Italia e al Regno Unito, presenti militarmente in Tripolitania. Quanto alla presenza della Wagner, essendo questa all’interno di un piano di cooperazione militare con il governo di Bengasi, si dà per scontato che non siano forze occupanti, ma forze alleate.

Continua il comunicato: “Oggi troviamo queste forze che tornano ad occupare di nuovo il nostro Paese, attraverso cospirazioni esterne per prendere di mira e occupare la patria.

La Libia è diventata ostaggio degli interessi e dell'avidità dei paesi coloniali stranieri, una vergogna per le forze straniere, l'intelligence e i mercenari, causando il peggioramento delle divisioni politiche e dei deterioramenti economici.

Con i cadaveri sul petto del popolo, non sono riusciti a realizzare le loro ambizioni di porre fine alla divisione e condurre le elezioni generali, e eliminare corruzione e deterioramento economico.

Questi cadaveri sono quelli che hanno aiutato a evitare le elezioni, e hanno attirato forze straniere e mercenari che vogliono impadronirsi del nostro paese e saccheggiare la nostra ricchezza e la nostra carità.

Sottolineiamo la necessità che tutti gli stranieri e i mercenari debbano lasciare la Libia senza alcuna restrizione o condizione. Il nostro Paese non sarà più ostaggio del dominio coloniale e del conflitto internazionale tra le grandi potenze”.

A questo comunicato fanno eco le parole di Samira Al-Farjani, ex ministro degli Affari Sociali del fu Governo del Soccorso: “Giorgia Meloni guida l’Italia con mentalità coloniale, ci ha riportato al colonialismo italiano, vuole controllare la Libia e insediare gli immigrati nel nostro Paese con il sostegno degli europei”.

Nel frattempo, dal momento che le elezioni in Libia non si tengono pur di non dar voce alla volontà popolare, a Stephanie Khoury, responsabile americana ad interim della missione ONU in Libia, è venuta un’idea geniale: un referendum per abolire il parlamento legittimo, e di conseguenza il governo, di stanza a Bengasi.

Come a dire: non facciamo elezioni, delegittimiamo gli avversari, così l’occupazione continuerà senza ostacoli.

Stupendo. Al referendum, c’è da giurarci, qualora si tenesse, si farà in modo che partecipino solo i cittadini della Tripolitania, in maggioranza sostenitori delle legittime autorità di Bengasi. Ma in un territorio controllato da milizie armate che possono decidere della vita e della morte di chiunque, a cominciare da quella dei migranti, sarà così difficile orientare l’esito del referendum?

Nel restante 80% della Libia al contrario non si bada a chiacchiera, piuttosto si va sul concreto.

Le forze russe stanno realizzando trasformazioni radicali nella regione. Sono stati osservati cambiamenti in 4 basi militari strategiche a Jufra, Qardabiya, Brega e Tobruk. Immagini satellitari avrebbero rilevato il diffuso dispiegamento delle forze russe.

Per dire, tra Jufra e Tripoli ci sono meno di 600 km, mentre il confine con la regione della Tripolitania è ancora più vicino.

Ne sono al corrente gli imprenditori italiani presenti ieri a Tripoli?

La sensazione è che non ci voglia ormai più molto per far saltare la baracca a Tripoli.

Dunque la Fiera del colonialismo non poteva che essere più inutile, ridicola, ma anche rischiosa.

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