Chi dice “paesaggio” sta cercando di ingannarti

di Leandro Cossu

Laddove non può limitarsi al semplice nascondimento dei fatti e delle proteste, l’apparato propagandistico in difesa della speculazione energetica in Sardegna ha messo su una serie di strumenti retorici da snocciolare a memoria non appena l’ideale manuale del progressismo italiota indica l’assenza di una via d’uscita alternativa. Non è un caso che capiti sempre più spesso che anche chi sardo non è sappia di polemicucce sterili e artefatte montate ad arte dai signori dell’ambientalismo liberal. Per esempio, per delegittimare l’immenso movimento di popolo costituitosi in Sardegna da almeno tre anni contro l’orrore della speculazione energetica – un vero e proprio sacco coloniale che, a colpi di pale eoliche e pannelli solari, devasterà irreversibilmente ogni aspetto della vita delle comunità locali – non si accontentano certo del benaltrismo petrolifero: ovvero, di fronte a ragionamenti rigorosi e argomentati che attraversano ogni aspetto della questione, rispondere aggressivamente che l’interlocutore, che lo sappia o meno, fa il gioco del carbone, dei petrolieri, del gasolio. Molto più subdolamente, quando ne parlano, curvano le linee del discorso, ricombinano a piacimento frasi dette da persone diverse in momenti diversi, in modo da rendere caricaturale l’urlo di dolore di un popolo, che diventa improvvisamente un ammasso di retrogradi fascisti trincerato dentro il proprio orticello per proteggere gli interessi locali di fronte alla marcia seducente e irresistibile della cosiddetta “transizione energetica”.

Avremo sicuramente modo di ricostruire tutta la questione in modo da offrire strumenti ermeneutici e politici in grado di comprendere la situazione e rispondere in modo democratico e organizzato anche a chi si ritrova a vivere la stessa situazione nella propria terra (penso per esempio ai siciliani o ai pugliesi). Lo scopo di questo breve articolo è smontare definitivamente uno degli argomenti fantoccio esemplificativi della malafede del circo green, denunciandone tutte le conseguenze che, a cascata, ne derivano.

«La preoccupazione principale dei sardi per le fonti di energia rinnovabili è legata principalmente al paesaggio»

Questa innanzitutto è una balla statistica. Ovvero, solo una esigua minoranza di persone risponderà di opporsi alla speculazione energetica per un motivo strutturalmente legato al paesaggio in quanto tale, inteso dai sacerdoti del green come mera istanza estetica, di apparenza. Ciò non significa ovviamente che il paesaggio non c’entri, ma ci arriveremo. È abbastanza chiaro il motivo per cui hanno interesse a ridurre tutta l’opposizione a questa farsa: così, possono far passare il messaggio che si tratta di una contrapposizione tra gli eroici ambientalisti che riescono a vedere al di là del proprio naso per il bene della Terra contro il cinquantenne tonto che vuole semplicemente vedere il tramonto sui bastioni di Alghero mentre sorseggia uno spritz a 8 euro.

Dire che un sardo si oppone alla speculazione per motivi paesaggistici equivale a dire che una qualunque persona si opporrebbe all’amputazione di una gamba da parte di un sequestratore sadico per motivi estetici. L’indignazione dei sardi è dovuta all’appropriazione dell’improprio da parte di multinazionali senza scrupoli con il placet di UE, Stato e Regione. E questo improprio è costituito proprio da tutto ciò che tocca tutti senza appartenere a nessuno: Storia, cultura, archeologia, antropologia, società, fauna, flora – in una parola, paesaggio come reciproca e irriducibile interazione tra uomo e natura, quest’ultima mai offertasi come idillio impermeabile a una antropizzazione, la quale può presentarsi anche come assenza della presenza materiale dell’uomo.

La questione estetica è sì presente, ma è una subordinata di secondo grado. Sopra tutto siede l’ingiustizia del ritrovarsi assoggettati all’arbitrio sovrano dei signori del sole e del vento; da cui deriva lo stravolgimento dei sensi della vita delle comunità sarde; infine, la bruttezza di pale e pannelli che diviene sintomo di un rapporto di potere, la conseguenza, offertasi ai sensi, di questo vero e proprio saccheggio. Se le pale eoliche fossero invisibili, sparirebbe il sintomo ma non la malattia che permette di parlare usando le categorie di stupro, saccheggio e colonialismo energetici.

Oltre alla banalizzazione dell’opposizione a tutto questo, l’argomento estetico-paesaggistico ha due gravi conseguenze politiche. In primis, consente finte mediazioni ai bardi del green: «sediamoci» dicono loro «e identifichiamo pure le aree idonee per le aziende rinnovabili. Capiamo che alcuni posti dovranno essere esclusi, e siamo qui per trovarli insieme». Ma proprio questa finta mediazione in realtà ribadisce la presunta ineluttabilità del sacco speculativo che vogliono loro. Per cui impedire in modo assolutamente non strutturale tre o quattro stabilimenti eolici diventa una vera e propria opera di ingegneria sociale per disinnescare la rabbia e la voglia di riscatto e ribadire la necessità di tutti gli altri.

A differenza del radical chic medio, il sardo non è stupido. Non sostiene una posizione solo per lo spauracchio pavloviano di essere associato alla destra da un editoriale del manifesto o di Repubblica. Da secoli vive la materialità dei problemi materiali, e non saranno le mistificazioni dei bardi della transizione a occultare questo orrore.

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