“Margini di errore. Perché i medici sbagliano” è il saggio molto asciutto e diretto di Daniele Coen, che si è occupato di medicina d’urgenza per tutta la vita (Mondadori, 2019, 160 pagine, euro 17).
Nel 1981 il dottor Coen iniziò a lavorare in un Pronto Soccorso, e in quel periodo “i medici godevano ancora degli ultimi strascichi della fiducia reverenziale dei malati che aveva caratterizzato la prima metà del secolo scorso… nessuno pensava davvero che si potesse citare un medico in tribunale per una diagnosi o una terapia sbagliata” (p. 5). Naturalmente oggi le cose sono cambiate per tutti e le bellissime o bruttissime storie di alcuni pazienti, raccontate da Daniele Coen, testimoniano il grande amore per la sua professione e per il grande mistero della vita.
La cosiddetta “Medicina difensiva”, con tutte le relative preoccupazioni mediche legali, ci procura “un eccesso di esami inutili, costosi e non sempre privi di effetti collaterali”, che a volte prolungano per troppo tempo la valutazione globale e finale di un determinato caso clinico. In moltissimi casi, ai medici, basterebbe sentire il parere di un collega sul posto o a distanza, oppure l’opinione di un semplice infermiere (che di solito seguono per più tempo il paziente), per evitare la strada più breve per scontrarsi con un grosso errore. Secondo la teoria del “formaggio svizzero” dello psicologo inglese James Reason, “il percorso che conduce all’errore richiede che più eventi causali si verificano contemporaneamente, assimilando gli errori a quei pochi buchi che riescono ad attraversare” il gruviera, a causa delle bolle d’aria (p. 5).
In genere gli errori più diffusi sono quelli legati alla scarsa o alla cattiva comunicazione tra i vari professionisti (medici, infermieri e operatori vari). Le carte e i risultati diagnostici sono comodi e indispensabili, ma bisognerebbe trovare il tempo per le discussioni faccia a faccia per i casi più complessi, più misteriosi e più gravi. La gestione delle varie emozioni ha sempre un ruolo di primaria importanza, e una buona organizzazione e una costante formazione possono ridurre le probabilità di errore a pochissimi casi su mille o centomila persone. Comunque nel 24 per cento dei casi l’errore si materializza nella fase del passaggio delle consegne nella gestione del paziente, tra i vari professionisti, quando ci sono i normali cambi del personale legati ai turni di lavoro.
Inoltre tutti i test hanno dei margini di errore e affidarsi solo a un esame diagnostico può essere molto pericoloso. Di conseguenza affidarsi a test di massa significa creare dei malati artificiali: se un test crea un 10 per cento di falsi positivi alla malattia, fare 10.000 test significa creare 1.000 malati immaginari, cioè sani, che vanno incontro ai rischi degli effetti collaterali della paura, dei farmaci e delle terapie . Quindi una delle più frequenti cause di errore è “l’eccessiva fiducia nel risultato degli esami. Infatti, fa parte del pensare comune l’idea che un numero o un’immagine siano più affidabili, in quanto “oggettive”, del pensiero o della valutazione di una persona” (p. 18).
Ogni “diagnosi è un processo probabilistico. Il medico accumula elementi della storia del paziente, dalla sua visita e dagli esami fino a quando non raggiunge un livello di certezza (raramente il 100 per cento) tale da convincerlo che somministrare un trattamento abbia più benefici che rischi. Ogni passo di questo processo avvicina alla diagnosi, ogni passo comporta una probabilità di errore” (p. 24). In ogni caso solo un medico superficiale non cambia mai idea. Inoltre il fattore tempo in medicina è essenziale e gli ostacoli e le lungaggini della burocrazia non aiutano nessuno. Comunque il sovraffollamento del Pronto Soccorso sarebbe da considerare la principale causa indiretta degli errori, dovuti alla cattiva organizzazione e ai tagli sbagliati agli investimenti sanitari.
Naturalmente i quasi errori o gli “eventi sentinella” sono più facili da affrontare e da rielaborare, in quanto si è evitato l’errore più o meno fatale. Gli eventi rischiosi devono essere segnalati alla direzione ospedaliera per legge e da molti anni vengono presi in esame nel risk management, con la garanzia “dell’anonimato garantito ai medici e agli altri operatori coinvolti” (p. 8). Oggigiorno quasi tutti gli ospedali hanno attivato procedure di sicurezza con braccialetti nominativi da portare ai polsi, ma in condizioni emergenziali a volte qualche controllo può sfuggire, e due persone con lo stesso cognome possono ancora rischiare una verifica superficiale e sbagliata.
Gli errori vanno riconosciuti e vanno ammessi per evitare di ripeterli e per evitare che anche altre persone commettano gli stessi errori. Per questo motivo anche i pazienti dovrebbero essere più tolleranti: se dimostrano di comprendere l’inevitabile imperfezione umana consentono ai medici di essere più razionali nelle loro scelte diagnostiche e terapeutiche. Altrimenti si corre il rischio che i medici si affideranno in maniera troppo acritica ai vari percorsi terapeutici non personalizzati, soprattutto per tutelarsi a livello legale. Quindi in tutte le scuole di ogni ordine e grado dovrebbero insegnare l’arte di scusarsi e di perdonare (pratica da affinare durante i tirocini professionali).
Per fortuna, la forza della natura, cioè il potenziale di autoguarigione presente in ogni persona, riesce a risanare alcune scelte infelici e molte terapie sbagliate. Del resto tutte le organizzazioni umane sono imperfette e le malattie incurabili o difficili da curare esisteranno sempre. Quindi “L’unico vero fallimento è quello da cui non impariamo nulla” (John Powell, p. 158).
Daniele Coen ha fatto il medico d’urgenza fino all’età della pensione. Ha diretto il Pronto Soccorso dell’Ospedale Niguarda di Milano, ha collaborato con l’Istituto Mario Negri e ha pubblicato più di cento lavori scientifici (ha svolto anche il ruolo di perito in alcuni processi per cause mediche).
Interviste molto rivelatrici: https://www.starbene.it/salute/news/troppi-errori-pronto-soccorso; https://www.donnamoderna.com/news/societa/medici-errori (gennaio 2020). I giornalisti più realisti delle grandi testate potrebbero prendere in esame l’idea di intervistarlo sul Covid-19.
Nota sugli infarti – La paura del Covid-19 ha portato le persone a evitare il Pronto Soccorso, con un incremento degli infarti: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/coronavirus-infarti-1.5115284. A volte “gli anziani, le donne e i diabetici possono avere un infarto cardiaco senza provare alcun dolore, ma solo disturbi poco indicativi” come la nausea e la stanchezza (forti o durature). Alcune persone possono sentire uno strano dolore diffuso, che può localizzarsi tra l’ombelico e la radice del naso. In effetti nessun “dolore toracico è più tipico di un dolore atipico”. Nel 1988 la mortalità legata all’infarto era circa del 20 per cento, mentre oggi è del 7 per cento.
Nota di filosofia medica – Augusto Murri, che è stato uno dei più grandi clinici italiani disse: “Nella clinica, come nella vita, bisogna avere un preconcetto, uno solo, ma inalienabile – il preconcetto che tutto ciò che si afferma e par vero può essere falso” (p. 61).
Nota personale – Fare il medico è ancora oggi la cosa più difficile del mondo, nonostante tutta l’innovazione tecnologica. Non basta la formazione indicata dai progetti di Educazione Continua in Medicina (ECM). Ogni medico dovrebbe leggere più libri per approfondire la propria cultura scientifica. Per favorire una maggiore diffusione delle conoscenze in un Pronto Soccorso dovrebbe essere presente un supervisore esterno a rotazione, appartenente ad un’altra azienda ospedaliera, per svolgere il ruolo di specchio di confronto dialettico, ma senza nessun potere arbitrale. Inoltre bisogna tenere presente che “ogni dieci anni quasi la metà delle conoscenze mediche risultano superate” (p. 77). Se un medico ascolta bene il suo paziente ha già trovato un buon consulente (però dovrebbe accettare e valutare bene anche i molti dubbi, i suggerimenti e le critiche di tutti).
Nota sul test relativo al Covid-19 – Il test utilizzato per stabilire la positività al Covid-19 potrebbe essere troppo approssimativo, poiché nato per scopi di ricerca con la chiara avvertenza di non essere utilizzato a scopo diagnostico. Forse sarebbe il caso di avviare una serie di controlli e di adeguati processi giudiziari.
Nota finale – Una vera analisi scientifica prende in esame anche le voci dissonanti. E lo dico avendo lavorato per una società che si occupava di consulenza organizzativa e formativa in ambito sanitario. Il dispotismo acritico basato sui numeri non mi ha mai entusiasmato. Molti epidemiologi dovrebbero uscire più spesso dai loro uffici per guardare quello che succede o non succede negli ambienti reali. Purtroppo quando la scienza viene fatta dai media, la scienza diventa un affare mediatico (https://coronablues.org/it/podcasts-it). Quindi dovrebbero esistere più associazioni come https://choosingwiselyitaly.org/progetto di Torino, che promuovono il dialogo tra i medici i pazienti, e tra le varie associazioni di medici e di pazienti.
Appendice finale: https://www.asst-mantova.it/plasma-iperimmune-conclusa-la-sperimentazione; https://www.youtube.com/watch?v=JZ7Ds0gS7CY (Prof. Giuseppe De Donno, Ospedale di Mantova). Forse a molte persone troppo danarose non piace che il plasma iperimmune muti insieme al virus garantendo delle cure certe e sicure al cento per cento..
Approfondimenti specialistici per medici, ricercatori, professori, avvocati e giornalisti (a cura del Prof. Marco Mamone Capria dell’Università di Perugia): http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/nuocontri_3/covid_mamone.pdf?fbclid=IwAR1N-eOiVBv9VT23S9vSGm56z3-Ax_LJnEtnoD1QELVt9ToTo1z874LGqCA.
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