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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione giunta alla nostra redazione.
di Francesco Sobrero*
L’ evolversi dell’operazione militare speciale russa in Ucraina può suggerire alcune considerazioni che non so quanto possano apparire “eretiche” sia a lettori di sinistra sia di destra, dato che questi termini hanno oggi un significato ambiguo.
L’andamento bellico guidato dalle gerarchie militari russe è iniziato in un modo ed è continuato poi in un altro, risultando l’avversario più agguerrito del previsto anche a causa del massiccio appoggio ricevuto dalla NATO che di fatto ha reso gli Ucraini dei combattenti per procura.
Le modifiche tattiche, organiche, logistiche, il potenziamento di talune produzioni belliche, lo sviluppo di certe tecnologie fatti “in corso d’opera” sono sempre difficili, ma mi pare che i Russi li abbiano realizzati in modo abbastanza valido.
In sostanza i Russi sanno imparare dai loro errori, sia a livello tattico che strategico.
Non so cosa venga insegnato durante le lezioni di storia militare nelle accademie, prima in quelle sovietichE in cui per ragioni di età si sono formati gli attuali vertici delle forze armate, poi in quelle russe in cui si sono formati gli odierni quadri intermedi. Ma al di là delle critiche spesso di sapore propagandistico che in occidente si sono rivolte in ogni epoca all’ Armata Rossa è indubbio che in varie occasioni la strategia russa sia stata inizialmente sbagliata, ma quasi sempre il potere politico ha saputo correggersi in corso d’opera e rimediare in modo sostanziale alle carenze tattiche, logistiche, di armamento, ecc., cosa che non sempre è stata fatta in un occidente forse portato a sopravvalutare le pur importanti conquiste tecnologico-scientifiche applicate agli strumenti bellici.
Bene la guerra elettronica, gli attacchi cyber, gli aerei invisibili; ma viene sempre il momento – ed è venuto anche stavolta - che la guerra diventa trincea/assalto alla trincea, fuoco di batteria/fuoco di controbatteria, attacco al suolo/contraerea; campo minato/sminamento. Un bagno di realismo (e purtroppo di sangue) ha lambito anche le ipertecnologiche teorie belliche occidentali.
Nella storia dell’ ultimo secolo della politica sovietico-russa (uso questo termine perché c’è una certa continuità) e delle sue offensive militari portate in prima persona o “per procura” possiamo dire che i fallimenti sono stati veramente pochi: citerei la sconfitta contro i Polacchi del maresciallo Pilsudsky, ma in quegli anni il regime era nato da pochissimo; poi l’ Afghanistan, ma in quegli anni il regime era ormai entrato in crisi e gli “amici” dei sovietici in quel paese erano veramente pochi e soprattutto infidi (Karmal, Amin, ecc…); infine la guerra di Spagna.
Ebbene, osservando questi 16 mesi di conflitto in Ucraina non ho potuto fare a meno di notare delle somiglianze con la guerra di Spagna, ma a parti invertite; nel senso che i Russi sembrano aver fatto tesoro - oltre 80 anni dopo - di quanto portò alla vittoria dei nazionalisti contro i repubblicani da essi fortemente appoggiati con armi, consiglieri e commissari politici.
Qui qualcuno salterà sulla sedia per lesa maestà storica, ma mettiamoci calmi ed analizziamo senza tabù.
Nella fase iniziale con un colpo a sorpresa ed in modo inaspettato i nazionalisti di Queipo de Llano presero Siviglia, zona molto rossa e sicuramente lontana politicamente e geograficamente da Galizia, Navarra o Vecchia Castiglia. Similmente la grande città presa di sorpresa dai Russi nelle prime ore del conflitto è stata Kerson.
Così come in Spagna ci fu inizialmente una puntata contro la capitale Madrid fermata a Brunete anche perché Franco deviò volutamente parte delle sue forze per liberare l’alcazàr di Toledo, obiettivo di scarso valore strategico, ma di fondamentale rilevanza simbolica per i nazionalisti, allo stesso modo poco dopo l’inizio dell’operazione i Russi sono giunti a qualche chilometro da Kiev, ma poi, visto l’”osso duro”, si sono ritirati per concentrare gli sforzi altrove.
Dove? Principalmente a Mariupol, con un lungo e sanguinoso assedio a forze nemiche asserragliate perfino nei sotterranei della Azovstal . il che porta a ricordare l’attacco e la conquista di Oviedo dove i minatori asturiani resistettero anche nelle gallerie delle miniere. L’azione richiese grandi sforzi da parte dei nazionalisti, ma era necessaria per la continuità fra la Galizia e la Navarra. Ricorda niente sulla continuità territoriale con la Crimea?
Tra l’altro allora a fianco dell’esercito rosso combatterono parecchi volontari internazionali così come anche oggi ce ne sono tanti a fianco degli Ucraini.
Gli attacchi e contrattacchi su Bakhmut durati mesi possono ricordare i passaggi di mano di Teruel In Aragona, che finirono comunque con la presa della città da parte dei nazionalisti.
E arriviamo alle evoluzioni di oggi, che avvengono dopo neanche un anno e mezzo di conflitto, mentre in Spagna avvennero nel ’38, oltre due anni dopo l’inizio delle ostilità: confrontiamo la “controffensiva ucraina” e la “controffensiva dell’Ebro”. Nell’ estate di quell’anno il presidente Negrin di fronte alla lenta ma inarrestabile avanzata delle forze di Franco, anche o soprattutto per far vedere agli “alleati” occidentali (Francia, Inghilterra, USA) che ce la poteva fare a ribaltare le sorti del conflitto decise una controffensiva nella valle dell’Ebro. Si seppe poi che il suo comandante in capo il generale Lister e, a livello di comandanti di divisione, anche il generale El Campesino erano contrari perché non c’erano forze sufficienti, ma la politica rendeva necessario riprendere l’iniziativa.
Inizialmente il contrattacco ebbe successo anche perché i nazionalisti si attendevano un’azione più a sud-est, lungo la costa, nella zona di Castellon de la Plana, volta a ricreare la continuità fra la Catalogna ed il Levante. Invece i rossi attaccarono nell’interno, verso l’Aragona. Passarono l’ Ebro in due punti, avanzarono di oltre 20 chilometri fin davanti a Gandesa (che non presero) e lì si fermarono. Curiosamente i repubblicani facevano affidamento su dei carri armati russi BT-7 forniti da Stalin che non dettero buona prova, anzi: nei filmati dell’epoca di parte italiana (Istituto Luce) appaiono come dei mezzi esili, con delle torrette molto esposte e facile bersaglio delle artiglierie nazionaliste.
Anche la Cecoslovacchia (sotto influsso francese) aveva fornito delle moderne artiglierie Skoda che però non bastarono.
Aggiungiamo che la copertura aerea fornita da Italia e Germania o direttamente (Savoia Marchetti e Junker) o tramite fornitura di vecchi biplani Fiat all’ aviazione falangista fu anche decisiva contro l’aviazione repubblicana ormai ridotta ai minimi termini.
Esaurita definitivamente la spinta offensiva dei repubblicani, nel novembre ‘38 i nazionalisti passarono a loro volta l’Ebro e all’inizio del 39 discesero fino a Barcellona incontrando scarsa resistenza da parte di un esercito che si era consunto inutilmente nei mesi precedenti. Negrin ed il governo fuggirono in Francia e di lì a poco Valencia, Madrid ed ultima Alicante si arresero: così finì l’avventura della repubblica spagnola.
Facciamo un gioco di sostituzione:
Al di là dei parallelismi che possono apparire forzati, ma che sono comunque abbastanza significativi, oggi i Russi sembrano aver pianificato questa campagna mirando alla conquista ed al mantenimento del territorio.
E’ noto che Franco sapeva di dover vincere militarmente, ma anche di dover preparare con un minimo di consenso un futuro governo del paese: non poteva prendere iniziative in cui la scorciatoia militare eccessivamente violenta venisse imposta alla popolazione: era pur sempre uno spagnolo che combatteva con altri spagnoli. Ricordiamo che responsabile della distruzione di Guernica fu l’aviazione tedesca.
Più in generale l’esercito franchista conquistava paesino dopo paesino, costone dopo costone, strada dopo strada, ponte dopo ponte, respingendo i nemici e facendo in modo che la parte conquistata non venisse ripresa. Franco ragionava come un militare – quale era per formazione – e non come un politico portato a pensare “in grande”.
Infatti si attirò l’ironia di Mussolini che dopo l’ennesimo rifiuto di accelerare un’avanzata disse di lui che era “…un grande comandate di battaglione, ma non sarebbe dovuto andare oltre il grado di maggiore…”.
Merita appena ricordare che Mussolini a forza di pensare in grande finì appeso a testa in giù in un distributore di benzina, l’altro morì di vecchiaia nel suo letto…
Mi fermo qui nell’esposizione spero non banale di quanto mi sono trovato a pensare in questi mesi.
Lungi da me l’aver voluto offendere la memoria della Spagna; spero di aver dato degli spunti di riflessione ed una chiave di lettura inusitata di quanto sta avvenendo.
*Professore liceale
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