Cosa ci insegna la firma di un contratto nazionale al ribasso?

di Federico Giusti

Il contratto nazionale delle Funzioni Centrali è stato sottoscritto al ribasso nonostante la contrarietà della stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici del comparto che rappresenta l’8% della intera forza lavoro nella PA. Nei giorni scorsi il CCNL è stato ratificato dalla Corte dei Conti nonostante il Referendum consultivo lo abbia bocciato e pur in presenza di molte prese di posizioni di centinaia di delegati Rsu, appartenenti alle sigle firmatarie, che hanno smentito l'operato delle loro stesse organizzazioni sindacali chiedendo di non sottoscrivere l'intesa contrattuale.

In questi giorni ci siamo imbattuti in tanti consigli, per altro non richiesti e men che mai graditi, di giornalisti ed esperti che invitano i lavoratori a prendere posizione al fine di sottoscrivere anche gli altri contratti del comparto pubblico con la perdita di due terzi della inflazione. Queste esortazioni, mosse da un apparente buon senso che assume i connotati della resa, vanno nella direzione auspicata dal Governo ossia sottoscrivere intese che sanciscono la erosione del potere di acquisto. E non servono gli inviti a sottoscrivere in fretta le intese per recuperare, nelle future tornate contrattuali, il potere di acquisto perduto perchè il Governo ha già stanziato risorse, irrisorie, per il prossimo triennio, ergo recuperi salariali non saranno possibili.

Verrebbe da chiedersi se queste indicazioni siano disinteressate o se invece spingano, come crediamo, verso la accettazione di contratti al ribasso con una perdita di potere di acquisto che non recupereremo in futuro (come il passato dimostra eloquentemente). E questi consigli, badate bene, arrivano da chi percepisce salari di gran lunga superiori ai nostri e non si vergogna a chiederci sacrifici e compromessi al ribasso.

E non sono sufficienti le rassicurazioni sul lavoro agile e sulla corresponsione del buono pasto per chi opera in smart visto che solo l'arrendevole posizione assunta dai sindacati ha permesso alle amministrazioni pubbliche il diniego di erogare il ticket perfino nei tempi pandemici quando il lavoro in presenza era di fatto impossibile. La scelta dello smart ha permesso ad interi comparti della PA, e a numerose aziende, prestazioni che in presenza non sarebbero state possibili se non a costi economici decisamente superiori dovendo rispettare le circolari e le norme sul distanziamento, sulla sanificazione....

E per restare sulla parte normativa ci sembra la classica promessa da marinaio l'impegno sulla settimana corta, 4 giorni di lavoro invece di 5, quando gli orari settimanali restano a 36 ore e corre l'obbligo di erogare servizi sempre sui 5 giorni.

Per capire quanto grave sia la situazione è sufficiente guardare ai 165 euro lordi di media e confrontarli con le ultime bollette arrivate alle famiglie.

Un raffronto tra le bollette degli ultimi 34 anni dovrebbe bastare per cogliere la erosione del potere di acquisto e indurre ogni lavoratore a prendere posizione contro aumenti contrattuali inferiori di due terzi al costo della vita. È una battaglia per la dignità salariale e contrattuale determinante per la forza lavoro.

E sempre sulla parte cosiddetta economica il ritocchino dello 0,22% dei tetti di spesa per il fondo accessorio sono veramente poca cosa se teniamo conto dei nuovi assunti nell’ultimo triennio (aumentano, pur di poco, gli organici ma la spesa possibile resta invariata) o l’incremento della flessibilità esigibile che spesso e volentieri è solo svantaggiosa per la forza lavoro.

I soldi ci sono, stanziati dall’ultima manovra, continua a sostenere il ministro della PA ma questi soldi sono veramente pochi se confrontati al costo della vita e del tutto inadeguati a salvaguardare il potere di acquisto. E non si dice poi che con il CCNL statali inizia l’abbandono del contratto nazionale come strumento utile a determinare la crescita delle retribuzioni.

Il problema di fondo, rimosso da molti ma non certo da noi, è quello della dinamica contrattuale.

I contratti sono diventati, soprattutto nel pubblico impiego, una sorta di atto notarile, non ci sono margini sulla parte economica e il potere contrattuale è ridotto ai minimi termini con innumerevoli materie oggetto di informazione e di confronto lasciando così ampio spazio discrezionale alla controparte. Fin dagli accordi del luglio ‘92 e del luglio '93, è iniziata la parabola discendente per il potere di acquisto e di contrattazione e i risultati sono sotto i nostri occhi con i salari della PA italiana tra i più bassi di tutta la Ue, con la forza lavoro più vecchia.

Sottoscrivere allora i contratti al ribasso sarebbe una ulteriore sconfitta e un sostanziale arretramento rispetto alla mobilitazione oltre alla decisione, in perfetto stile Stellantis, di escludere i sindacati non firmatari dalla contrattazione di secondo livello e a prescindere dalla loro effettiva rappresentatività (che a nostro avviso dovrebbe essere misurata votando, insieme alla RSU, una scheda per assegnare la preferenza ad una organizzazione sindacale. In questo caso i consensi reali alle sigle di base metterebbero in discussione una volta per tutte assetti ed equilibri assai discutibili e frutto delle normative vigenti decise negli anni della concertazione, quella concertazione che segna l'inizio della sconfitta sindacale nel nostro paese.

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