di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
La vittoria di Donald Trump toglie il sorriso (a dir poco) dalle labbra del nazigolpista-capo Vladimir Zelenskij. Ma nemmeno per Mosca è detto che, con la sua presidenza, debbano presentarsi tempi assolutamente “spensierati”.
Per quanto riguarda i golpisti di Kiev, stando al Wall Street Journal, sembra che i collaboratori di Trump cerchino di orientarne le scelte ucraine verso un congelamento del conflitto sulla linea del fronte, lasciando «alla Russia i territori conquistati», fissando una zona smilitarizzata e chiudendo a Kiev le porte della NATO per i prossimi 20 anni. La quale ultima condizione è stata la ragione scatenante del conflitto e una questione di principio per Mosca. Su questo, vari osservatori russi ritengono che il Cremlino, in fase di trattative, dovrebbe chiedere appunto la creazione di una zona neutrale in territorio ucraino, preclusa a forze NATO e libera da basi militari.
Ma un tale piano, col congelamento del conflitto, significherebbe anche che in Ucraina dovrebbe essere abrogato lo “stato di guerra”, col cui pretesto Zelenskij aveva annullato le elezioni previste per lo scorso 20 maggio e, dunque, si dovrebbe andare al voto per eleggere un nuovo presidente. Che, ovviamente, stante la situazione “congelata”, non è detto che sia qualcosa o qualcuno di particolarmente diverso dall'attuale nazigolpista; ma che, in ogni caso, dovrà fare i conti col nuovo inquilino della Casa Bianca. Come che sia, anche il politologo Nikita Ljakhovetskij ritiene che uno dei primi passi di Trump nei confronti di Zelenskij sarà quello di imporgli l'indizione delle elezioni, in cui non ha alcuna possibilità di esser confermato, data la situazione economica ucraina e il mezzo milione di morti al fronte.
Dunque: congelamento sulla linea del fronte, secondo uno “scenario coreano” e su questo Trump potrebbe lanciare il suo primo ultimatum ai contendenti, per poi cominciare a trattare, anche se deve in ogni caso tener conto che l'iniziativa sul campo di battaglia è al momento in mano russa, afferma il politologo Marat Baširov: su questo Trump dovrà cedere, altrimenti non ci sarà alcun accordo di pace.
Per il resto, per quanto riguarda garanzie politiche, è improbabile che la Casa Bianca intenda venire incontro a Mosca; la loro posizione è semplice, dice Baširov: mettiamo un punto, non riconosciamo nulla e continuiamo a premere sulla Russia. In sostanza, gli USA mettono fine alla guerra, per quanto li riguarda direttamente, mentre i territori contesi restano come i danteschi “color che son sospesi”, quale è del resto lo status della Crimea.
Sulla persona concreta di Zelenskij e delle sue relazioni americane, non va dimenticato, tra l'altro, come in occasione della sua visita in USA lo scorso settembre, i media di gran parte del mondo avessero messo ben in rilievo come il nazigolpista avesse deliberatamente bruciato l'ultimo ponte repubblicano allorché, durante il “giro d'affari” alla fabbrica di munizioni in Pennsylvania non solo avesse fatto apertamente campagna per Harris, ma avesse anche criticato Trump. E The Donald avesse reagito affermando che “l'Ucraina non esiste più” e Zelenskij è «il più grande commerciante della storia: ogni volta che viene da noi, se ne torna via con 60 miliardi di dollari». In quell'occasione, Trump aveva promesso di rivedere la politica USA nei confronti dell'Ucraina e di Zelenskij in particolare.
Proprio sulla questione ucraina, molti sia in Russia che a Kiev si dicono in attesa di “discorsi ultimativi” da parte di Trump, del tipo “Se non congelate il conflitto, farò questo con la Russia e quest'altro con l'Ucraina” e, in questo caso, Zelenskij potrebbe fingere di essere d'accordo con Trump più di quanto non lo possa essere Putin, dato che ha bisogno che il presidente USA dia seguito alle sue minacce contro la Russia. Inoltre, il capo-golpista, ridotto a mal partito, potrebbe cercare di sfruttare anche i materiali compromettenti sulla famiglia Biden in suo possesso, nel caso siano ancora di qualche interesse per Trump, nonostante questi li avesse chiesti, senza ottenerli, prima delle elezioni.
In realtà, quanto a “ultimatum”, in Russia ipotizzano che le minacce di Trump nei confronti di Mosca per tentare di convincere il Cremlino ad addivenire a (per ora) non meglio precisate “condizioni di pace” USA, potrebbero non riguardare espressamente invii di armi e soldi a Kiev, dal momento che Trump pare intenzionato a tenere abbastanza “sotto controllo” bilancio e debito estero; potrebbe invece minacciare nuove e dure sanzioni, difficili da prevedere sul momento. Ma, ancora di più e peggio, nessuno si sente di escludere l'abrogazione delle restrizioni agli attacchi con missili NATO a lungo raggio contro la Russia: cosa non facile, ma possibile.
L'unico argomento che può in qualche misura tranquillizzare, afferma il politologo Dmitrij Bavyrin, è la dichiarazione - insieme a tutta una serie di promesse vuote - secondo cui «Niente più guerre durante il mio mandato. Fermerò le guerre». Si vorrebbe però che Trump procedesse sulla strada della pacificazione, dice Bavyrin, «non con la forza. Se cercasse di parlare alla Russia con il linguaggio degli ultimatum, allora ci potremmo ritrovare a discutere della probabilità di una guerra nucleare».
Tra gli scenari ancora ipotizzati, quello considerato meno “doloroso” per Trump sembra quello per cui se non fosse possibile congelare il conflitto, l'Ucraina passerebbe per lui in secondo piano. Formalmente, potrebbe cambiare poco o nulla, ma gli invii di nuove armi avverrebbero allora senza regolarità, senza che vengano approvati nuovi bilanci, coi media occupati su altre questioni, dalla medicina al prezzo della benzina, ecc. In breve: «dell'Ucraina si parlerebbe molto meno e verrebbe lasciata alla mercé delle forze russe. Ma non è detto che questa sia la migliore soluzione, dal momento che Zelenskij e i nazisti che lo circondano, sentendosi lasciati nell'indifferenza generale, potrebbero arrivare a colpi di testa dalle conseguenze tragiche e proprio per questo è invece necessario fermarli», anche se, come ovvio, ancora per diverso tempo gli aiuti yankee al regime di Kiev continueranno ad affluire a volume più che cospicuo e nessuno azzarda pronostici su eventuali colpi di coda “democratici”, con Joe Biden che autorizza Kiev all'impiego di missili a lunga gittata.
Oltretutto, nota ad esempio il generale polacco Boguslaw Pacek, l'ormai classica uscita di Trump di metter fine alla guerra in ventiquattr'ore, non è che uno slogan elettorale e non è così semplice per Washington uscire immediatamente dal pantano ucraino. In ogni caso, però, per continuare la guerra, Kiev sarà presto costretta a cercare finanziamenti altrove, con i paesi UE che si assumeranno il maggiore fardello del sostegno alla junta nazista.
Perché, in effetti, le priorità della politica estera della nuova amministrazione USA derivano dall'agenda interna, che verrebbe abbastanza penalizzata, notano a Mosca, dal mantenimento, o ancor peggio dall'inasprirsi dell'attuale livello di confronto con la Russia e, questo, anche supponendo la più che probabile esclusione di qualsiasi forma di confronto diretto tra superpotenze nucleari.
Dunque: non tutto sembra poter procedere secondo le migliori aspettative di Mosca. Tra le scelte “sgradevoli” che il Cremlino potrebbe attendersi dalla nuova amministrazione yankee, espressione in ogni caso degli interessi finanziari di quei settori del capitale americano che tentano di arrestare, o quantomeno frenare, il tracollo della potenza USA, secondo Ukraina.ru potrebbe esserci una riduzione dei prezzi del petrolio: una delle fondamentali voci d'entrata del bilancio russo. Trump potrebbe cioè sbloccare la produzione di petrolio negli Stati del nord, che Biden aveva sospeso facendo blocco con gli ambientalisti e c'è dunque il pericolo della messa in discussione dell'accordo OPEC+, con USA e altri paesi che allargheranno l'estrazione.
Ci si deve render conto, afferma l'economista Vladislav Šurygin, che nell'America di oggi né Trump, né Harris, né nessun altro è interessato a costruire relazioni normali con la Russia; dunque, verrà proseguita la politica condotta dagli USA negli ultimi 10-15 anni, anche durante la prima presidenza Trump. Washington cercherà di spingere la Russia fuori dallo spazio politico ed economico globale, verso le aree periferiche. Quanto possa riuscirci, è un altro discorso, data la caratura geopolitica odierna della Russia.
Il piano di Trump, afferma ancora Marat Baširov, è quello di fermare i conflitti armati per dirottare ogni sforzo sulle guerre commerciali e, innanzitutto, cercherà di impedire l'aggregazione di Cina, Russia ed Europa, che è oggi la minaccia più importante per gli USA. Mosca dunque non dovrebbe attendersi la cancellazione delle sanzioni, ma semmai un loro inasprimento.
E, però, evidenzia il blogger “Adekvat Z”, è poco probabile che venga continuato l'atteggiamento dei democratici e dei neocon nei confronti della Russia quale nemico esistenziale, pur se, entro i limiti che escludono il confronto diretto, Mosca dovrà attendersi gli usuali metodi di “comunicazione”: agitare una mazza, tentare di spaventare, negoziare e bluffare. Applicato al contesto del conflitto ucraino, ciò può significare che la Casa Bianca consideri quello di Kiev un “asset” non più redditizio, ridotto pressoché a zero, del cui destino finale fregarsene altamente, ma attorno al quale sia ancora possibile organizzare grossi affari.
Ragion per cui, stante la più o meno credibile volontà proclamata di por fine alla guerra, o almeno di ridurne la portata, la cosa si realizzerà non prima di aver esaurito ogni possibilità di giungere a un accordo alle condizioni volute a Washington. In sostanza: nel futuro più o meno prossimo, Trump offrirà termini di accordo che soddisfano poco Mosca; ne riceverà dei rifiuti e controproposte e, infine, dovrà prendere una decisione tenendo conto che più alzerà la posta, più perderà. Infine, afferma “Adekvat Z”, si possono categoricamente escludere eventuali ultimatum, di cui molti parlano, del tipo di “sommergere di armi” gli ucraini: ciò andrebbe decisamente a infrangersi contro la strategia trumpiana su temi di maggiore priorità, sia esterni che interni.
Ma, per ora, è tutto un “staremo a vedere”; senza escludere che, dietro le quinte, ci sia molto più movimento che non sul palcoscenico e gli attori che dovranno calcare la scena, attendano i suggerimenti proprio da quelli che ora sono nell'ombra.
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