Cpi e Israele: l'ordine internazionale "basato sulle regole" (Usa) viene giù

di Giacomo Gabellini

Nei giorni scorsi, l’emittente israeliana «Channel 13» ha riferito che il Consiglio di Sicurezza Nazionale si era riunito in diverse occasioni per dialogare «in previsione della possibilità che nei prossimi giorni vengano emessi mandati di arresto internazionali contro alti funzionari in Israele», ritenuti responsabili di diversi crimini di guerra perpetrati nell’ambito dell’Operazione Iron Swords contro la popolazione residente all’interno della Striscia di Gaza. I principali indiziati erano il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il Capo di Stato Maggiore Hertzi Halevi. Nel corso degli incontri, sarebbero state approvate misure volte ad anticipare la potenziale iniziativa, compreso «il lancio di una campagna politica» a livello internazionale contro la Corte Penale Internazionale (Cpi), a cui Israele non aderisce. Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha dichiarato a «Channel 12» che l’emissione del mandato avrebbe rappresentato «un’ipocrisia assoluta», e annunciato che, «se necessario, eviteremo di lasciare il Paese» come forma di tutela. Il 26 aprile, Netanyahu ha invece pubblicato un post sul suo profilo Twitter/X in cui si legge che: «sotto la mia guida, Israele non accetterà mai alcun tentativo della Corte Penale dell’Aja di minare il suo diritto fondamentale di difendersi». Secondo il quotidiano «Maariv», il premier appariva «spaventato e insolitamente stressato» dal probabile pronunciamento della Cpi, e stava esercitando, sostiene la testata israeliana «Walla», una «incessante pressione telefonica» intesa a prevenirlo.

La campagna di “sensibilizzazione” portata avanti da Netanyahu era diretta soprattutto a mobilitare gli Stati Uniti, che pur non aderendo alla Cpi si sono rivelati particolarmente ricettivi alle sollecitazioni di Tel Aviv.

Interpellata sul punto, la Casa Bianca ha rifiutato di fornire chiarimenti in merito al contenuto dei colloqui telefonici avuti dal presidente Joe Biden con Netanyahu, ma ha tenuto a sottolineare che «la Corte Penale Internazionale non ha giurisdizione in questa situazione e non supportiamo la sua indagine». I membri del Congresso di affiliazione sia democratica che repubblicana si sono spinti oltre, avvertendo la Cpi che eventuali mandati di arresto nei confronti di politici, funzionari e militari israeliani avrebbero scatenato ritorsioni immediate da parte degli Stati Uniti. Stando a quanto rivelato dal sempre ben informato «Axios», i congressisti statunitensi sarebbero già impegnati nella stesura di un disegno di legge concepito dai senatori repubblicani Tom Cotton, Ted Cruz e Marco Rubio per consentire il sanzionamento dei funzionari della Cpi coinvolti nelle indagini sugli Stati Uniti e i loro alleati. Come spiega Cotton, «la Cpi non ha giurisdizione legittima sugli Stati Uniti o su qualsiasi Paese che non ne riconosca l’autorità. Questa legislazione respinge l’appeasement dell’amministrazione Biden nei confronti della Corte Penale Internazionale. Protegge anche i nostri militari, funzionari e alleati dagli attacchi politicamente motivati della Corte, come già accaduto nei confronti delle forze statunitensi in Afghanistan e degli sforzi sostenuti da Israele per difendersi dall’aggressione terroristica». Il provvedimento sconta il pieno appoggio dello speaker della Camera Mike Johnson (repubblicano), secondo cui l’ipotetica emissione di mandati di cattura – definiti «vergognosi e illegali» – contro personale israeliano configuravano un pericolo precedente. «Se non sfidata dall’amministrazione Biden, la Cpi potrebbe assumere un potere senza precedenti, sufficiente a spiccare mandati di arresto contro politici, diplomatici e militari statunitensi», ha evidenziato Johnson. Il quale ha aggiunto che «invece di prendere di mira Israele ingiustamente, la Corte Penale Internazionale dovrebbe portare avanti le accuse contro l’Iran e i suoi alleati sostenitori del terrorismo, incluso Hamas, per aver commesso orribili crimini di guerra», ed esortato il governo a «chiedere immediatamente e inequivocabilmente che la Cpi faccia un passo indietro, e ad impiegare qualsiasi strumento disponibile per prevenire un tale abominio».

La reazione dell’amministrazione Biden e del congresso alle sollecitazioni di Netanyahu consacra l’enorme capacità di condizionamento che Israele è in grado di esercitare sugli Stati Uniti, e palesa la tradizionale propensione di Washington a legittimare l’operato degli organismi internazionali soltanto nel caso in cui i loro pronunciamenti risultino confacenti agli interessi Usa. Qualora quanto deliberato venga ritenuto lesivo o non allineato agli obiettivi Usa, viceversa, istituzioni come le Nazioni Unite o la stessa Corte Penale Internazionale di cui gli Stati Uniti si sono serviti per fornire legittimazione morale alla propria egemonia planetaria diventano oggetto di pesanti attacchi da parte di Washington. È questa, in fine dei conti, l’essenza profonda del cosiddetto “ordine basato su regole” (rules based order) tirato incessantemente in ballo da politici e funzionari statunitensi.

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