di Francesco Ersparmer
L’otto luglio del 1990 c’ero anch’io all’Olimpico a fischiare Maradona e l’inno nazionale argentino. Che schifo. No, non per la mancanza di rispetto: non sono un buonista neppure oggi e sono sempre stato convinto che il rispetto sia dovuto solo alle persone ordinarie e, in maniera assoluta, a chiunque sia in una condizione di inferiorità rispetto alla nostra; ma i simboli (come una bandiera, un inno, un capo di stato), i ricchi e le celebrity non ne meritano alcuno – l’attenzione della gente li avvantaggia dunque devono accettarne anche l’odio e il disprezzo.
La ragione per cui se incontrassi il me stesso del 1990 gli sputerei, è un’altra. È che non avevo assolutamente capito che quel mondiale era una prova generale di liberismo, globalizzazione e, nel caso italiano, berlusconismo. Un test pienamente riuscito anche grazie alla collaborazione di giovani coglioni come me. Per parafrasare la celebre massima di von Clausewitz, Italia 90 fu la continuazione di Drive In con altri mezzi. Forza Italia (un nome che solo allora divenne proponibile per un partito politico) nasce lì: da quell’ubriacatura di qualunquismo, di edonismo, di consumismo mascherato da nazionalismo. Del resto i fischi a Maradona erano il frutto di una campagna di stampa iniziata in quel periodo: un altro test, questo per verificare la capacità dei media di manipolare un popolo sempre più videodipendente: mission accomplished, come mostra il bel film-documentario di Asif Kapadia sul campione argentino e sul suo rapporto con Napoli.
Non mi assolve il fatto che me ne resi conto abbastanza in fretta e che berlusconiano o renziano non lo sono stato mai, a differenza della maggior parte dei miei connazionali, che per di più non se ne sentono in colpa e tanto meno cercano di redimersi, mentre io non so perdonarmi quell’ingenuità, quella presunzione. In effetti se gli italiani di oggi sono quello che sono è anche colpa mia, nostra, di una generazione che ha dissipato il patrimonio morale e culturale ereditato dalle precedenti; e poco importa che adesso le miserie del berlusconismo, del liberismo e della globalizzazione siano molto più evidenti che allora, e dunque chi le promuove o accetta è ancora più colpevole: c’è in giro più stronzaggine, vero, ma a sdoganarla e permetterne la moltiplicazione e trasformazione in un valore in nome del dogma della libertà individuale, sono stati quelli della mia generazione.
“Hijos de puta” ci disse fra i denti Maradona all’Olimpico. Aveva ragione. Fu anche l’ultimo campione sportivo che il denaro e la fama riuscirono sì a distruggere ma non a corrompere, a differenza dei mercenari in vendita al miglior offerente che da allora costituiscono il modello dei giovani e l’oppio dei popoli. Riposa in pace, Diego.
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